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Ibra, schiaffi e malessere: ma c'è dell'altro... Moratti aspetta soci dall'Est Europa. E se non arrivano... Juve: la strategia di Marotta

Ibra, schiaffi e malessere: ma c'è dell'altro... Moratti aspetta soci dall'Est Europa. E se non arrivano... Juve: la strategia di MarottaTUTTO mercato WEB
© foto di Fabrizio Biasin
martedì 7 febbraio 2012, 00:002012
di Fabrizio Biasin
Nato a Milano il 3/7/1978, laureato in Scienze ambientali presso l'Università dell'Insubria di Como, da ottobre 2008 è Capo Servizio Sport presso il quotidiano "Libero". Opinionista tv per Sportitalia, Mediaset Premium e Telelombardia.

Ho conosciuto Ibra. Era maggio. Nel 2007 (primo e ultimo incontro con qualche scazzo successivo: direi che non siamo proprio amiconi). Giocava nell'Inter da quasi un anno ed era bello paciarotto. Ho citofonato a casa sua, a Milano, in centro. Ha aperto la porta e sorrideva. Indossava una tuta di quelle che si mettono in casa per stare belli comodi (Euro 9.90 al centro commerciale) e una maglietta sporcata da un noto "baffo" (mi sa che quelle gliele regalano). Ero emozionato. Anzi no, impaurito. Anzi no, direi più che altro "imbucato".

Prima cosa che mi è venuta in mente: "Se questo mi tira una pizza in faccia mi gonfia come un canotto a Gabicce". (E' colossale, Ibra: due metri di bestia svedese). Seconda cosa: "Mi offrirà un caffè come fanno le persone normali o farà finta di niente?". E' comparsa la compagna col primogenito in braccio, ci ha pensato lei: "Volete qualcosa?". Mi son bevuto una Coca Cola. A casa di Ibra. Gentilissima la signora Ibrahimovic, bella donna, sorridente
pure lei, niente da dire. Lui intanto giocava col figlio, gli diceva "vieni qua!" e si vedeva che era "a casa".

Ecco, se hai la fortuna di osservare Ibra tra le quattro mura (facciamo anche otto...) capisci che non è un tipo qualunque. Ha la faccia di chi sa quello che vuole, di chi domina le emozioni, di chi sa di essere predestinato. Adora famiglia e lavoro, il resto son cazzate che fanno perdere tempo. L'ho sommerso di domande, abbiamo scattato quattro foto orrende, mi ha congedato, s'è arrabbiato per la mia intervista (ma forse ha solo fatto scena), non gli ho mai più parlato.

Quel benedetto pomeriggio mi è tornato in mente domenica. Ibra cammina verso Aronica e molla uno schiaffone a tradimento. Una sciocchezza che lo svedese paga a caro prezzo: tre giornate a guardare i compagni, niente sfida con la Juve (ma le vie dei ricorsi sono infinite...). "Ecco - ho pensato - gli sono partiti i cinque minuti". Poi mi son chiesto: perché a febbraio Ibra non gioca quasi mai? Può essere solo un caso?

Chi scrive è assolutamente convinto che tre giornate di squalifica siano tante, troppe, eccessive. Ibra ha sbagliato, è recidivo, ma non ha ammazzato nessuno. Chi scrive ha anche fatto qualche pensiero malvagio: non è che questo qui è nervoso per altri motivi e sta pensando di cambiare aria? Cioè, è evidente che Zlatan a Milano sta come un pupo alla fabbrica del cioccolato, ma è pure evidente (lo dicono i numeri) che uno come lui non sa cosa voglia dire "perdere". L'impressione è che il mercato "a metà" del Milan non sia piaciuto allo spilungone, l'altra impressione è che presto Mino Raiola (il manager che tutti noi vorremmo avere di fianco anche solo per trattare il taglio del Granbiscotto al super. "Me lo affetti sottile. Ho detto più sottile, non faccia il furbo. Guardi che le scateno Mino...") chiederà un incontro alla società per parlare di prolungamento del contratto e di adeguamento economico.

Dice il beninformato: "Il contratto di Zlatan scade tra due anni e mezzo, c'è tempo". Vero, ma Mino nostro è stato chiaro di recente: "Ibra è richiesto da tanti...". E ancora: "A giugno avrò un attaccante per il Milan". Vuoi vedere che tra uno schiaffone, un ricorso e affari vari
qualcosa succede?

Poi c'è chi sta peggio (perché c'è sempre qualcuno che sta peggio). Domenica l'Inter ha toccato il fondo del pozzo del film "i Goonies" (e quello era un pozzo molto profondo). La situazione è sotto gli occhi di tutti e non paiono esserci soluzioni immediate. Moratti chiede ai suoi di "metterci l'anima", ma ha scelto da qualche tempo di non mettere più il grano. Decisione legittima, presa da un presidente che ha speso oltre un miliardo di euro per
far bella la sua squadra. Però c'è dell'altro. C'è che i tifosi vogliono la verità: se la società ha deciso di sposare il termine "ridimensionamento" deve essere chiara con chi la sostiene. Se invece non ha alcuna intenzione di smobilitare lo deve dimostrare. Il mercato invernale appena concluso dice che Moratti al momento ha un unico obiettivo: abbattere i costi... costi quel che costi. Il risultato è che il club viene affidato alle mani del
destino. Il terzo posto è ancora possibile, ma solo se la fortuna strizza l'occhio. Ranieri aveva chiesto una cosa sola: "Tenetemi Motta". Gliel'hanno venduto come si fa con il caviale sottobanco ("Dottò Leonardo, venga nel retrobottega che c'ho un Motta d'annata e il sor Claudio non vede..."). Da quando l'italo-brasiliano non c'è più sono state solo mazzate. Forse è un caso, forse per davvero è stato Motta a chiedere di essere ceduto, ma allora la questione è un'altra: perché i giocatori dell'Inter appena possono tentano la fuga? Un conto è andare al Real Madrid, altra cosa è il Psg. Servono idee chiare e qualcuno che le comunichi all'esterno. Oriali? Troppo
tardi, ormai le parti sembrano troppo distanti. Servono anche quattrini freschi: chissà che a giugno arrivi qualcuno dall'est a dare una bella mano (qualcuno di quelli che trattano oli e gasoli...)

Questione Juve: Marotta ha il nervoso per la faccenda "rigore non assegnato contro il Siena". Legittimo: il penalty era limpido come l'acqua che beve Messner nel noto spot. La sbottata del direttore bianconero però sembra più che altro studiata a tavolino. Parliamoci chiaro, fino ad ora si è scherzato: le prime in classifica balbettano, vincono ma neanche troppo, prendono gol, hanno squadre incomplete, eppure son lì che combattono per il tricolore. A febbraio inoltrato è evidente che siamo entrati nella fase in cui ogni dichiarazione può fare la differenza. Ti lamenti oggi per non essere fregato domani, piangi qualche lacrima per sensibilizzare i palazzinari del calcio (lo fanno tutti da che mondo e mondo). Braschi fa la
voce grossa, ma intanto ha recepito il messaggio e si adeguerà.

In ogni caso sembra evidente che questo è il campionato dei "braccini": si è fatto poco mercato, si vince a sprazzi, ci si fa belli con le rogne altrui, si tira la cinghia, si dicono un sacco di balle per tenere buoni i tifosi.

Fatti concreti? Pochi. Anzi no, un fatto c'è. Daniele De Rossi rinuncia a una marea di soldi per restare alla Roma. Poteva guadagnare una valanga di palanche in più e invece è rimasto a casa, in una piazza dove vincere non è la normalità, ma l'eccezione. Complimenti davvero.

Altro fatto? Inzaghi non ha sciolto il patto col diavolo ma i suoi rapporti con il club non sono per niente buoni. Fossimo in lui andremmo a bere una Coca Cola a casa di Ibra, chissà che non abbia qualche buon consiglio da dargli (sugli schiaffi non garantiamo, sia chiaro).