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Sventurata la terra che ha bisogno di eroi. E di stranieri

Sventurata la terra che ha bisogno di eroi. E di stranieriTUTTO mercato WEB
La Juventus vince il Viareggio
© foto di www.imagephotoagency.it
lunedì 20 febbraio 2012, 20:002012
di Alessio Calfapietra

Le dichiarazioni di Arrigo Sacchi hanno suscitato un certo scalpore, specialmente tra coloro che continuano a far finta di nulla. Del suo profondo e centrato j'accuse al calcio italiano, salviamo soprattutto questa frase: "Quale cultura sportiva è quella che pensa solo a portare in Italia degli stranieri, senza curarsi di migliorare il prodotto locale?"
Il proliferare dei giocatori non italiani è un tema che desta una certa preoccupazione a chiunque si occupi di calcio e formazione. Si potrebbero elencare le interviste di Azeglio Vicini, Volfango Patarca (lo scopritore di Nesta e Di Vaio), Mino Favini e lo stesso Demetrio Albertini, senza considerare poi i tentativi andati a vuoto di Blatter e Platini che ogni volta che parlano di preservare la specificità dei campionati locali vengono presi per folli e visionari. Un unico tema di fondo, cioè ridurre il numero degli stranieri tesserati in Italia, che però si scontra inesorabilmente con le intenzioni di presidenti e procuratori, i quali al contrario hanno tutto l'interesse ad accrescere il già consistente ricorso ai mercati esteri. I presidenti perchè in alcuni casi preferiscono che il denaro circoli il piu' lontano possibile dal proprio paese, mentre agenti e intermediarii tentano di estendere il loro ambito di competenza (e guadagno) ai quattro angoli del mondo.

Arrigo Sacchi ha parlato in occasione del Viareggio Cup, denominato per decenni Torneo di Viareggio (o Coppa Carnevale), prima che la smania di internazionalismo si appropriasse anche dei nomi delle competizioni. Se gli fosse capitato per caso di vedere la semifinale della Fiorentina, persa ai rigori contro la Roma, probabilmente Arrigo sarebbe stramazzato a terra, con l'undici di partenza dei viola formato da otto/undicesimi di brasiliani, ghanesi, lettoni e danesi. Quale può essere il vantaggio del movimento calcistico italiano se i vivai divengono lo specchio della prima squadra e sono dunque popolati da una valanga di nomi esotici, nordici e anglofoni? Tra quattro mesi ci saranno gli Europei, è bene mettere in chiaro certi aspetti prima di ritrovarsi a piangere lacrime di coccodrillo come due anni fa in Sudafrica.
Partiamo dal numero degli stranieri presenti nella serie A dopo la fine del mercato invernale. Sono 271, praticamente la stessa cifra di un anno fa se si escludono i trasferimenti fuori tempo massimo di Chavez - stendiamo un velo pietoso su questo affare - e Pratto, tornati in Argentina, e l'addio alla serie A di Diamoutene emigrato in Bulgaria.
Quindi oltre la metà degli effettivi risulta non italiano.
Guardiamo come sono distribuiti. Per un esempio virtuoso come quello dell'Atalanta, solo quattro, si passa alle forniture monstre di Udinese ed Inter, arrivate a ben diciannove. Non è da meno il Palermo, con una sola unità di differenza, e fanno la loro parte Milan e Lazio con diciassette. Spiccano Cesena, Fiorentina e Chievo a sedici, segue la Roma con quindici elementi, così come il Catania che ricorre quasi esclusivamente all'Argentina. Un plauso alla Juventus che ha tra le proprie fila solo otto stranieri, stesso trend al ribasso riservato alla Primavera che ha appena vinto il Viareggio schierando ben sei italiani nella formazione tipo. Un lusso di questi tempi, e la Roma che si è permessa addirittura di inserire nove connazionali nell'undici base è peggio di una mosca bianca. Vantano la soglia degli otto anche Parma e Siena, quet'ultimo nel secondo tempo della finale di andata contro il Napoli è arrivato a disporre in campo il solo Larrondo in rappresentanza dei paesi esteri.
In serie B il numero complessivo è quasi la metà, 142, ed è curioso notare come le squadre che piu abbondano di stranieri in organico non traggano alcun beneficio in classifica (Sampdoria, Bari e Brescia sopra quota 10), a discapito del Sassuolo capolista che ne ha solo tre, come il sorprendente Pescara che segue a ruota e poi c'è il Torino che, tutto sommato, si riserva una quota piuttosto esigua con sette.

Questi numeri riguardano soltanto le prime squadre, ed il settore giovanile che pure dovrebbe coltivare i calciatori selezionabili per le varie rappresentative nazionali ha preso la stessa piega. La Primavera dell'Inter ha otto stranieri (incluso Bessa con il doppio passaporto), quella del Milan ne comprende 10 - compresi Ely e Roggia per metà italiani - la Lazio sette, la Fiorentina dieci, pur avendo da poco donato al professionismo campioncini come Carraro, Iemmello e Camporese, il Napoli è fermo al nuovo arrivato Soma Novothny. Se non si privilegia il prodotto locale non si va da nessuna parte. Nè serve rievocare la vittoria ai mondiali del 2006 come dimostrazione della buona salute del calcio nostrano. Quella rosa, infatti, è composta da calciatori cresciuti prima dell'avvento della normativa Bosman che ha aperto le frontiere a tutti. Da allora è passata moltissima acqua sotto i ponti, sono i ragazzi dell'ultimo decennio a doversi confrontare con la concorrenza spietata dell'estero e spesso a soccombervi. Nessuno vuole impedire l'ingresso di calciatori stranieri, ma limitarlo a quelli che effettivamente possono dare qualcosa e non semplicemente fare numero o accontentare le brame dell'agente di turno. Comunitari o extra, cambia poco per i destini della nazionale, a meno che non si voglia ripiegare sulle naturalizzazioni, a volte fantasiose, comunque sconvenienti per una nazione che ha una sontuosa storia calcistica alle spalle. Quando alla fine degli anni ottanta il numero era contenuto a due o tre elementi, le società si impegnavano a cercare il meglio a disposizione secondo le proprie finanze. E infatti il livello medio degli acquisti da oltre confine era decisamente piu' alto di oggi. Queste righe purtoppo si disperderanno al vento, speriamo che anche la spedizione di Prandelli non abbia la stessa sorte.

Concludiamo con Simone Farina. Ma non per accodarci alle migliaia di complimenti e gratificazioni che gli sono stati tributati da quando si è scoperto il suo rifiuto ad un tentativo di combine. Tutto ciò è stato già fatto ed è ovviamente condivisibile. Il problema sta casomai nell'avere esaltato il comportamento onesto di una persona, quando questo dovrebbe rappresentare la normalità. La convocazione in nazionale, il giuramento al Torneo di Viareggio (sì, lo chiamiamo ancora così) e l'invito alla premiazione del Pallone d'Oro. D'accordo, ma ora basta. Simone Farina è un discreto mestierante che ha soltanto fatto il suo dovere non violando la legge e l'etica sportiva. Si è piu' volte ripetuto il motto che Bertolt Brecht fa dire a Galileo: "Sventurata la terra che ha bisogno di eroi". Ragionando in questo modo, come dovremmo giudicare un paese che, difettando ultimamente di personaggi eroici, sia addirittura costretto ad inventarseli?