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Dossier Juve: strategia, management e comunicazione di un'azienda al top

Dossier Juve: strategia, management e comunicazione di un'azienda al topTUTTO mercato WEB
© foto di Daniele Buffa/Image Sport
martedì 25 aprile 2017, 08:002017
di Redazione TMW
fonte Michele Bosco Andretta per virtual14.com
Sono passate poche ore dal sorteggio Champions per gli accoppiamenti delle semifinali. La Juventus giocherà coi francesi del Monaco ed è forte la sensazione che i bianconeri possano giocarsi a Cardiff il sogno di raggiungere il Triplete

I social sono in fibrillazione, l’Italia è divisa a metà. Da un lato i tifosi bianconeri che non aspettano altro per scatenarsi, dall’altro quelli delle altre squadre dello stivale, ormai rassegnati al dominio juventino e terrorizzati dagli sfottò che subirebbero in caso di vittoria europea.

Ma cosa c’è dietro le vittorie della Juventus?
Dopo cinque scudetti, il sesto in arrivo e il possibile grande tris che potrebbe materializzarsi a breve, è lecito sottolineare come niente sia figlio del caso e provare ad analizzare un modello destinato a tracciare un solco tra sé e quello delle altre società italiane, se queste non sapranno imitarlo.

Storia di una grande azienda

Grandi allenatori, fantastici calciatori. Operazioni di mercato milionarie che rappresentano solo la punta dell’iceberg di investimenti ben più importanti. Le parole di Andrea Agnelli, in un’intervista rilasciata a Sky qualche tempo fa, lo testimoniano in modo evidente:

“Gestire la Juventus nell’ultimo decennio è profondamente diverso, rispetto anche solo ai primi anni ’90. Oggi siamo una grande società, con un fatturato di circa 350 milioni e circa 700 dipendenti. La nostra non è più una dimensione ludica, ma quella di una grande azienda, in uno dei pochi settori al momento in espansione. Negli ultimi sei anni, siamo passati da una perdita di 90 milioni all’equilibrio finanziario e i piani triennali approvati sono sempre stati rispettati. La società è bene impostata per reggere le sfide dei prossimi due, tre anni, poi si dovrà capire cosa accadrà nel calcio italiano ed europeo.”

Ma non solo le sorti della propria società, nei pensieri del presidente bianconero, quanto quelle di tutto l’ecosistema all’interno del quale la propria creatura vive e cresce, alimentandosi di vittorie:

“Dobbiamo capire qual è il nostro modello, quale dev’essere la mission della serie A e stilare un piano per rimanere competitivi a livello internazionale. Mi sono sentito spesso dire che sono abituato a innovare, mentre in Italia dobbiamo proteggere. Ecco, dobbiamo eliminare questo principio, perché in questo momento abbiamo poco da proteggere e molto da innovare.

Per le società italiane competere a livello internazionale è più difficile e non solo per i fatturati, ma per i modelli di sviluppo e la programmazione nel medio e lungo periodo. Se penso alla Spagna o all’Inghilterra, noto che le squadre storiche per eccellenza sono il Real Madrid e il Manchester United, eppure guardo il Barcellona e il Chelsea che sono diventati dei fenomeni globali, sfruttando magnificamente gli ultimi 10, 15 anni, arrivando in ogni casa del mondo con un semplice click. Questo ha permesso di monetizzare attività come il merchandising, o gli abbonamenti digitali, e non sono solo ed esclusivamente il botteghino o la pay per view.”

La vera, grande, abilità di Andrea Agnelli è stata quella di saper scegliere le persone, distribuendo deleghe e responsabilità. Un gruppo dirigente che opera seguendo strategie pianificate, rispetto alle quali la parte sportiva rappresenta solo uno degli elementi in un puzzle che non può prescindere da una gestione finanziaria all’avanguardia, l’investimento stadium lo conferma, e dall’evoluzione della comunicazione, altro elemento importantissimo del mosaico bianconero.

Exor, FCA, Ferrari e Juventus: management e programmazione
L’acquisto di Higuaìn dal Napoli, quello di Pjanic dalla Roma, probabilmente non sarebbero mai stati avallati dall’Avvocato Gianni Agnelli.

La Fiat, grande potenza politica oltre che economica del nostro Paese, ha sempre evitato di abusare della propria forza per imporre un’egemonia che, a lungo andare, sarebbe diventata insostenibile e controproducente.


Gli scenari sono cambiati:
l’Italia sta stretta alla famiglia Agnelli che ormai punta a misurarsi su altri palcoscenici, con altre ambizioni. In un distretto calcistico, quello tricolore, che fa fatica a costruire stadi propri ed a dotarsi di management all’altezza del mercato, la Juventus irrompe attaccando e preparandosi a conquistare l’Europa e il Mondo a livello sportivo e non solo.

Del resto, quanto fatto coi bianconeri, rientra perfettamente nelle strategie di Exor ed è coerente col progetto industriale che ha portato due leader italiani, Fiat e Iveco, a diventare due gruppi di dimensioni ed ambizioni mondiali, pur mantenendo base in Italia. Anzi, in Europa.

“Sergio è una persona con cui mi piace dialogare, ha grande esperienza, competenza e cultura. Confrontarmi con lui ogni mese mi arricchisce e aiuta moltissimo.”
Sì, perché le società degli Agnelli sono state trasferite in Olanda, tranne la Juve – controllata con il 63,77% delle azioni – presieduta da Andrea, che racchiude il tifo di una famiglia che, ormai, non ha più confini. Una scelta che l’Avvocato probabilmente non avrebbe mai fatto, ma passaggio indispensabile che il presidente dei Campioni d’Italia e suo cugino Elkann stanno completando con il decisivo ruolo di Sergio Marchionne.

Il bianco, il nero e molto di più: l’importanza della comunicazione

Il 16 gennaio 2017, dopo aver lanciato un countdown sulla propria pagina Facebook, la Juventus ha fatto un altro decisivo passo verso il futuro presentando non solo un nuovo logo, ma una nuova brand experience:

“A cosa pensa la bambina di Shanghai, il millennials di Mexico City, la ragazza di New York? Per questo vogliamo avere un linguaggio meno tecnico e più evocativo.”

Stravolgendo il classico approccio delle altre società, ferme al classico stendardo, la Juventus presenta un logo semplice, iconico, che racconta la volontà di esplorare nuovi target: donne, bambini, millennials world wide, puntando moltissimo sui social network per dialogare con persone che l’azienda vuole intercettare.

Strisce bianche e nere, la J e lo scudetto:
il nuovo logo della Juventus può essere definito minimal ma, in realtà, è il risultato di un’analisi molto elaborata e racconta tutto quanto è necessario della nuova era bianconera.
Gli stessi manager del club spiegano come, al centro di tutto, ci sia il digitale di cui si cerca di sfruttare tutte le potenzialità per rafforzare il legame con i propri fan e sviluppare nuove possibilità di business legate a pubblicità, merchandising, sponsorizzazioni e interazione con altri media.

“Un’attività messa in piedi dal nulla, un progetto di nuova comunicazione che ha una data di avvio precisa: il 27 aprile del 2011.” (Claudio Albanese, Direttore Comunicazione e Relazioni esterne)

Federico Palomba è il responsabile del reparto digital, all’interno della direzione della comunicazione della Juventus, ed è a capo di un team che conta varie figure tra addetti al marketing ed ai servizi digitali.

“Con l’arrivo di Internet e delle nuove tecnologie, è cambiato tutto nel calcio, che prima era un fenomeno mediaticamente esposto ma in modo passivo. Il percorso fatto negli ultimi quattro anni ci ha portato nella classifica dei dieci club sportivi, non solo di calcio ma anche degli sport americani, che hanno sul digitale le audience maggiori a livello mondiale.”
Come una vera e propria Media Company, la Juventus elabora e diffonde i suoi contenuti sui principali social network in svariate lingue tra le quali, oltre all’italiano, l’inglese, lo spagnolo, il giapponese, l’indonesiano e il cinese. E non si tratta di traduzioni, perché si preparano attività specifiche per ogni Paese. In Cina, ad esempio, sono stati stretti accordi con altri due social network. Inoltre, anche su YouTube, ha un canale che conta un grande numero di iscritti.

L’impatto dello Juventus Stadium

Altra scelta strategica fondamentale, per la società torinese, è quella legata allo Stadium. La Juventus è la prima ed unica squadra di Serie A ad essere proprietaria dell’impianto sportivo in cui gioca, che è stato concepito nella logica dei moderni stadi multifunzionali per incrementare i ricavi dalle partite ma anche per diversificarli grazie alla capacità di attrarre visitatori durante tutta la settimana.

Se si analizzano i bilanci della Juventus, si evidenzia una crescita dei ricavi nel corso degli ultimi anni, che sono passati dai 195 milioni del 2011-12 ai 342 milioni del 2015-16.
Questa crescita è di sicuro dovuta ai risultati sportivi degli ultimi 5 anni, che hanno aumentato i ricavi di broadcasting e commerciali ma, soprattutto, proprio alla costruzione dello Juventus Stadium che ha garantito una continua crescita del fatturato relativamente al matchday. La realizzazione dell’impianto ha dato una vantaggio competitivo alla società che, così, ha maggiori possibilità di investimento sul core business aziendale, ovvero la compravendita di calciatori.

La capacità di produrre reddito, per uno stadio, dipende essenzialmente da:

numero di partite giocate;
percentuale di riempimento dello stadio;
ricavo medio per spettatore.
Effettuando una ricerca, e recuperando alcuni dati, si evince come lo Juventus Stadium produca una media di circa 46 milioni di ricavi annui. Al netto delle tasse e delle rate di restituzione del finanziamento ricevuto per il progetto, quindi, l’impianto genera annualmente una media di 16,5 milioni di Euro che possono essere investiti, ad esempio, sul mercato.

Il campo: l’evoluzione europea della Vecchia Signora

L’evoluzione strategica e societaria della Juventus non poteva non avere riscontri anche sul campo. Dove tutto, poi, si traduce in gioco, azioni, gol e vittorie o sconfitte. Queste ultime, però, si contano sulle dita di una mano anche grazie al cambiamento tattico della squadra:

“Non so perché dicono che la Juventus sia vincente ma non bella. Io ho una mia idea e me la tengo per me. Il calcio è semplice ed è fatto da due fasi che bisogna fare bene. Poi contano molto i falli fatti, i duelli aerei che si riescono a vincere e c’è l’interpretazione che cambia in ogni gara. Quando non si attacca non bisogna vergognarsi di difendere bene perché l’obiettivo finale è il risultato che bisogna raggiungere in qualunque modo. Sono contento di quelli che fanno il calcio spettacolo, ma per me lo spettacolo lo si va a vedere al circo. Io ho dei giocatori molto bravi ma le gare non sono tutte uguali: daremo meno nell’occhio di altre squadre ma l’importante è arrivare in fondo agli obiettivi. Quando sento dire così sorrido, non mi arrabbio.”

Dopo aver iniziato col 3-5-2 anche questa stagione, infatti, Allegri ha rivoluzionato il sistema di gioco della Juventus. Ceduto Pogba, il mister bianconero ha fatto non poca fatica a impostare il suo nuovo centrocampo, all’interno del quale Pjanic è stato provato in più ruoli: da interno a metodista ‘alla Pirlo’, fino allo schieramento da trequartista. La linea difensiva a cinque, però, concedeva spesso troppo campo agli avversari e, pur vincendo, spesso la squadra è andata in sofferenza.

Probabilmente, però, la rivoluzione era già programmata.
E, dopo qualche mese di tentativi ed esperimenti, l’allenatore ha stupito tutti puntando sul 4-2-3-1.
Rinuncia a Barzagli, difesa a 4, due centrocampisti centrali di qualità e, soprattutto, la grande sorpresa Mandzukic, schierato nel ruolo di trequartista sinistro a fare da contrappeso a Cuadrado, elemento determinante del nuovo scacchiere dei pluricampioni. Come dice lo stesso Allegri, la Juventus non disdegna di difendere quando è necessario, ma la grande differenza sta nell’elasticità di un sistema che sfrutta l’attaccante croato per lanciare lungo, quando la squadra si abbassa troppo, e riprendere campo sfruttando la velocità del colombiano per ribaltare l’azione. La classe di Dybala e quella di Higuaìn completano un mosaico che, basato su una difesa granitica, diventa letale grazie alla qualità complessiva degli undici che di volta in volta scendono in campo.

Lo spogliatoio: la nuova triade ed una società sempre presente

Dietro le vittorie, però, c’è anche una forte presenza della società anche al fianco del mister e della squadra. Un concetto non nuovo per la Juve, ma sempre attuale a prescindere dalle gestioni che si susseguono nel corso degli anni.

Se in passato erano Moggi, Giraudo e Bettega, oggi la triade si è ricomposta coi nomi di Marotta, Paratici e Nedved. Sempre presenti, in casa e in trasferta ma, soprattutto, nello spogliatoio, per dare forza all’allenatore e supervisionare il rispetto delle regole.

I trionfi bianconeri nascono in corso Galileo Ferraris e si concretizzano a Vinovo.
Simboliche le parole del DG juventino, dopo l’episodio avvenuto in diretta TV durante il match col Palermo: “Bonucci è un grande professionista, di fronte a una situazione del genere era giusto puntualizzare alcune cose e l’abbiamo fatto. La differenza con i casi Dybala e Lichtsteiner? Io non sono un giudice, che pesa i reati che vengono commessi: abbiamo valutato i fatti attentamente e abbiamo preso questo provvedimento. Una scelta doverosa nel rispetto dei compagni e di una società che crede nelle sue regole e che fa in modo che vengano rispettate da tutti. L’allenatore ha suggerito un provvedimento e noi, dopo aver fatto le giuste valutazioni, abbiamo avallato la sua decisione, senza il bisogno di comunicati stampa e risolvendola in famiglia. E ancora:

“Sarebbe stato meglio non fosse successo nulla, ma queste dinamiche nel calcio sono sempre avvenute. Al giorno d’oggi qualsiasi cosa viene vivisezionata dalla moltitudine di telecamere, ma fa parte del gioco. E soprattutto credo che nel calcio debba prevalere il concetto del noi e non dell’io. Anche per questo abbiamo agito: ci dispiace per Bonucci, ma sappiamo che quelli che scenderanno in campo con il Porto saranno altrettanto degni di questa maglia.”
Regole, comportamenti, provvedimenti. Concetti di management applicati al campo. Priorità alle relazioni, alla squadra, al gruppo di lavoro rispetto al singolo. Col focus sempre proiettato sul terreno di gioco e sulla vittoria.

Vincere il fine, vincere il mezzo

Già, la vittoria. Vero unico fine per una società che ne ha fatto un mantra, una vera e propria ossessione che si trasmette a chiunque indossi il bianconero e che si sublima nelle parole pronunciate da Giampiero Boniperti.

“Per la Juventus vincere non è importante, è l’unica cosa che conta.”

La differenza, però, tornando a tutto quanto abbiamo scritto e analizzato, è nella profonda convinzione che vincere rappresenti anche l’unico reale mezzo, in un’azienda anomala come quella calcistica, dove tutta l’organizzazione e i numeri che abbiamo sviscerato si traducono in centimetri e, per pochi centrimetri, può cambiare la storia di una partita, di un campionato, di una squadra e, quindi, di un’impresa.

Con tutto ciò che ne consegue.

I centimetri che segnano la differenza tra un fuorigioco che c’è ed uno che non c’è. I centrimetri che determinano l’entrata in rete, o meno, di un pallone. I centrimetri che sanciscono che un intervento falloso sia stato effettuato dentro o fuori dell’area di rigore.

Vincere ad ogni costo,
in un meccanismo basato sulla valutazione umana e soggettiva di quei centimetri, rende la Juventus tanto amata o tanto odiata. Ed è su quelli che una società lungimirante lavora, per fare in modo che il pallone penda sempre dalla parte giusta.
Ed è sempre su quei centimetri, proprio su quei centimetri, che continuerà sui social e in ogni bar d’Italia, la diatriba tra tifosi, giornalisti ed addetti ai lavori.

Ma alla Juve non importa. Perché, come ribadisce Andrea Agnelli, lo stile Juventus è vincere. L’unica cosa che conta e l’unica cosa per la quale, tutto, viene programmato e pianificato. Al centimetro.