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ESCLUSIVA TMW - Eranio: "Rammarico? La fase finale dei Mondiali del 1994"

ESCLUSIVA TMW - Eranio: "Rammarico? La fase finale dei Mondiali del 1994"TUTTO mercato WEB
giovedì 26 dicembre 2013, 09:152013
di Chiara Biondini
fonte di Gaetano Mocciaro per TMWmagazine.com

E' l'uomo delle prime volte: primo genoano del dopoguerra a vestire la maglia della Nazionale , il primo giocatore ad aver segnato al Pride Park di Derby. Ha lasciato il segno nel derby della Lanterna e vinto tutto col grande Milan. Stefano Eranio ora è un tecnico pronto a mettere a disposizione la sua esperienza per i più giovani, con lo scopo di ridare dignità al gesto tecnico in un contesto storico tecnidove sembra contare di più la fisicità. In esclusiva per il mensile di TMW, TMWmagazine.com si racconta:

Come è nato lo Stefano Eranio calciatore? "Ho iniziato la mia attività da giocatore da un settore giovanile che era il Molassana, il quartiere dove vivevo. A 10 anni poi mi ha preso il Genoa. Per me fu all'inizio uno shock, perché non volevo lasciare i miei amici. Giocavo inizialmente da libero e in una partita feci 3 gol da libero, così mi presero e mi spostarono a centravanti arretrato e così andai avanti fino alla Primavera. Lì mi feci notare da Tarcisio Burgnich che era l'allenatore della Prima squadra e mi porto con sé. Mi disse: quella posizione è di grande responsabilità, io voglio farti giocare e ti provo sulla fascia destra".

Come fu l'approccio con la Prima squadra? "All'inizio mi trovai talmente male che presi tanti fischi. I tifosi mi devastavano. Vedevo giocatori magari tecnicamente non validi ma osannati dal pubblico e questo mi fece pensare. Mi fermai e mi dissi: com'è possibile che certa gente venga osannata e io fischiato? E allora ho iniziato a fermarmi in allenamento un'ora in più a cercare di migliorare dove avevo dei difetti. Sono cresciuto, ho fatto progressi ed è nata la mia carriera come ala destra".

Nel 1986, a soli 19 anni, un grave infortunio che ha messo a repentaglio la tua carriera. "Eravamo a Cesena e su una palla lunga che rimbalzò davanti a me, al momento di calciare Leoni mi fece un fallo di ostruzione, spintonandomi. Persi l'equilibrio, finii chiuso a sandwich da Pancheri e caddi col fianco sinistro sul ginocchio piantato a terra. Non auguro a nessuno quello che ho passato io in quel momento. Dopo 24 ore di osservazione dove i medici non capirono quale fosse il problema di notte mi si aprì la milza e alla fine, dopo essere finito sotto i ferri, videro che c'era il rene schiacciato. Intervennero e dopo 7 mesi e mezzo incominciai di nuovo la mia carriera di calciatore, anche se nessuno si voleva prendere la briga di darmi l'idoneità".

Fortuna che c'era Perotti. "Mi conosceva dai tempi delle giovanili e stavolta guidava la prima squadra: mi mise subito fra i titolari. Certo, l'accoglienza non fu delle migliori dato che al primo intervento subìto parte della mia tifoseria mi cantava: "devi morire". Solo dopo si accorsero di avere in casa un valore aggiunto senza però darmi soddisfazione. Essendo genovese tutto quello che facevo era dovuto, mentre quando le cose andavano male ero il capro espiatorio. A Genova funziona così, forse anche per il mio modo di giocare diverso alla loro concezione: loro sono più legati ai giocatori di grande determinazione mentre io ero più tecnico".

Con Scoglio l'exploit. "Disse alla stampa che mi vedeva terzino fluidificante. E così iniziai a giocare in un ruolo nuovo, ma col quale ho persino raggiunto la Nazionale. Per me fu la grande soddisfazione perché nessun genoano prima di me riuscì nell'impresa: era il 1990, mi chiamò Vicini".

Da Scoglio a Bagnoli: due tecnici molto diversi. "Personalmente Scoglio mi ha dato tanto, ha trovato forse la giusta collocazione in campo. E poi era bravo nella gestione dei tifosi, ha saputo rapportarsi con la gradinata nord, con i tifosi più caldi e questo ci permetteva di lavorare con tranquillità. Devo dire che era una persona che si sapeva vendere e sapeva difendere la squadra. Bagnoli invece era un silenzioso, ma un tecnico strepitoso. Ricordo che dopo un ko contro la Roma e a fine gara il pubblico urlò: "se il derby non vinciamo il culo vi rompiamo" e Bagnoli in sala stampa disse: "ecco perché a Genova non si vince niente. Di tifosi così non ne abbiamo bisogno, se ne stiano a casa". Apriti cielo! Però quello fu il crocevia della nostra stagione e in quel derby io, da capitano, feci l'1-0. Poi pareggiò la Samp e infine il 2-1 di Branco. Da quel momento non ci fermò nessuno, arrivammo fino al quarto posto e conquistammo l'accesso alla Coppa Uefa, evento storico per il Genoa".

Nel 1997 arriva il trasferimento in Inghilterra. "Iniziammo la stagione con Tabarez dove cambiò un po' il modo di pensiero del Milan e devastò tutto quello che era la filosofia della squadra negli ultimi 5 anni. A metà anno arrivò Sacchi. Ricordo che in un momento della stagione disse che la squadra non aveva un terzino destro fluidificante. Io, leggendo sui giornali la cosa, gli dissi: "mister, ma io sono venuto al Milan proprio per fare il terzino fluidificante!". Lui storse il naso, ma in una gara a Udine, quando non c'era proprio nessuno in quella zona mise me. Feci un partitone e ironia del destino c'erano gli osservatori del Derby County che mi offrirono subito un contratto. Ricordo che Sacchi venne da me e si scusò, chiedendomi di restare anche per la stagione successiva. Lo stesso Galliani, letto dell'accordo col Derby, mi chiamò e mi propose rinnovo e adeguamento di contratto, ma ormai i giochi erano fatti".

Che effetto fa passare da una metropoli alla campagna inglese? "Se lo sono chiesti anche a Derby. Intanto c'era un contratto importante e poi avevo la possibilità di imparare l'inglese, anche per i miei figli. Abbiamo lasciato lì un pezzo di cuore, vivevamo in una casetta dove c'erano volpi e scoiattoli. Io mi sono trovato benissimo, sembrava di essere tornato bambino, giocavo per il pubblico, senza le pressioni del calcio italiano".

È vero che è usanza in Inghilterra andare a farsi una pinta a fine partita? "Confermo, anche se noi eravamo forse l'unica squadra astemia. Per fare un nome, ricordo Craig Burley, che nonostante fosse scozzese non sapeva tenere un bicchiere di birra!". Perché hai lasciato l'Inghilterra? "L'ultimo anno mia figlia ha preso un calcio in faccia da un cavallo. Lì si è risolto tutto con un bel segno, ma la cosa mi ha cambiato. Vissi un momento difficile e sentivo il bisogno di affetti, della famiglia e decisi di tornare a casa. Peccato, perché in Inghilterra stavo bene in tutti i sensi".

A Derby hai avuto modo di entrare nella storia "Io sono il primo ad aver segnato nello stadio nuovo del Derby. Affrontavamo il Wimbledon: segna Ashley Ward su mio assist, poi faccio il 2-0. A un certo punto vanno via le luci, passa mezz'ora e l'arbitro fischia la sospensione della partita. Ironia del destino immediatamente dopo si riaccendono le luci ma l'arbitro non ne volle sapere: ormai aveva fischiato, pazzesco. Si dovette rigiocare da capo qualche settimana dopo, così ci fu un nuovo esordio al nuovo Pride Park contro il Barnsley e segnai io il gol della vittoria su calcio di rigore, dopo che aveva sbagliato in precedenza dal dischetto Baiano. Io e Ciccio eravamo portati sul palmo di una mano. Il calcio che portammo non lo capivano neanche, andavamo a un'altra velocità. Poi però apprezzarono".

Il tuo presente adesso è in panchina, dove ti stai dedicando ai più giovani. Quali sono le tue prospettive? "A livello giovanile ho visto lacune spaventose, mancano le basi. Per questo vorrei tirar su una scuola di tecnica proprio per insegnare il gesto tecnico. Vedo giocatori che sono fermi sullo schema senza conoscere i fondamentali. Adesso è una costruzione basata sul fisico, solo che poi arrivi alla Primavera che questi ragazzi non sanno stoppare un pallone. D'altronde se nei campionati provinciali metti il sistema della retrocessione è inutile, parti subito da ragazzino con l'assillo del risultato: come fai a insegnare calcio così?"

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