Menu Serie ASerie BSerie CCalcio EsteroFormazioniCalendari
Eventi LiveCalciomercato H24MobileNetworkRedazioneContatti
Canali Serie A atalantabolognacagliariempolifiorentinafrosinonegenoahellas veronainterjuventuslazioleccemilanmonzanapoliromasalernitanasassuolotorinoudinese
Canali altre squadre ascoliavellinobaribeneventobresciacasertanacesenalatinalivornonocerinapalermoparmaperugiapescarapordenonepotenzaregginasampdoriaternanaturrisvenezia
Altri canali serie bserie cchampions leaguefantacalcionazionalipodcaststatistichestazione di sosta
esclusiva

Glerean: "Racconto il mio calcio fatto d'educazione"

ESCLUSIVA TMW - Glerean: "Racconto il mio calcio fatto d'educazione"TUTTO mercato WEB
© foto di TuttoMercatoWeb.com
venerdì 6 gennaio 2012, 19:302012
di Claudio Sottile
Ezio Glerean, allenatore classe '56, è stato sulla panchina Bassano, Cittadella, Palermo, Padova, Venezia, Spal e Cosenza. Dal maggio 2010 in attesa di sistemazione.

In direzione ostinata e contraria. Questo l'Ezio Glerean pensiero. Nessun don Chisciotte, nessuno spirito masochistico, anzi. Piuttosto la voglia di mantenere la testa libera e la schiena dritta. Nessun partito, zero sponsor, un solo credo: la scuola olandese. Un voto quasi cieco a Rinus Michels, fautore del calcio totale.
3-3-4, se vi va bene è così altrimenti si sta a casa, pronti per quando arriverà la telefonata opportuna.
In ESCLUSIVA per TMW le parole del tecnico che parla di educazione e rispetto: fondamentali. Come il palleggio destro-sinistro contro un muro.

Mister, è dal giugno 2010 che non sposa un progetto: come si sta senza panchina?
"Dal 1988 ho sempre allenato fino al 2010, sono fermo ormai da quasi due anni e lo sento. II fatto di non legarmi a un procuratore, pensando ad esempio che basti solo la meritocrazia dopo aver fatto tre volte i play off di C vincendoli due volte, sta pesando. Voglio però pensare che il calcio un giorno cambierà, non potrà andare sempre avanti così. Bisogna ricreare uno stile, rifondare una generazione di calciatori e un modello di vita per gli stessi atleti. Per anni abbiamo destinato la gestione a gente che col calcio non aveva niente a che vedere, e non si è pensato alla creazione di atleti. Siamo in un momento povero del calcio. Gli attaccanti titolari del Napoli sono stranieri, al Milan anche, l'Inter ha il solo Pazzini (27) italiano davanti. Gli italiani dove sono?".

Meno male che c'è la Juventus a mantenere l'italianità.
"Marchisio (25) e Matri (27) sono gli ultimi esempi di italiani di talento e qualità, oltre a Cassano (29), Balotelli (21) e Rossi (24) che però sono esplosi un po' prima. Non abbiamo più mezze punte, centrocampisti di un certo livello, attaccanti di fantasia, non abbiamo allenatori che rischiano e che vogliono fare di più. È tornato Zeman e sono contento, anche se sono tutti pronti a criticarlo appena sbaglia o prende tanti goal. Però è l'unico che lancia giovani, pensiamo a Immobile (21) e Insigne (20) che pure devono sviluppare appieno il talento. C'è la maleducazione in Italia di non dare mandato all'allenatore di gestire, oltre alla prima squadra, anche le giovanili come ad esempio all'Ajax o al Barça. Per tornare in panca attendo un dirigente che non si affidi a direttori che si lasciano abbindolare, ma che scelgano allenatori che possano essere validi sotto i livelli tecnici, tattici ed educativi".

Immagino stia vedendo molto calcio dall'esterno: qual è la novità più interessante nel panorama delle squadre italiane?
"Seguo spesso la serie B. Mi piace ad esempio il Verona, che su undici giocatori ha sovente otto stranieri, se andiamo avanti così non possiamo pensare che Prandelli, che pur è un ottimo allenatore, potrà mescolare le carte in maniera vincente in vista dei Mondiali. La C è diventata una realtà incredibile, prima era una fucina di talenti, adesso per come è stata costruita con la costrizione di far giocare i giovani si è impoverito lo spettacolo e si è svuotata di tecnica la categoria. In assoluto mi piace citare Foscarini e il Cittadella. Foscarini è partito dalla primavera quando ero in prima squadra. Ha portato l'Alzano in B per la prima e unica volta, parliamo di uno che ha fatto la gavetta vera. I massaggiatori, i magazzinieri, il preparatore atletico sono sempre gli stessi, così come è al Chievo, sono la realtà migliore e più genuina del nostro calcio".

L'ingrediente indispensabile per rivederla su un campo di gioco?
"Un presidente e un direttore che abbiano una stessa linea. Bisogna ritornare a dare questo alle società di calcio. Il calcio non è cambiato. Anche i campioni funzionano solamente con umiltà. Il calcio è organizzazione, sotto tanti punti di vista, questo ce l'ha insegnato il grande Ajax. Anche il Barcellona che oggi ammiriamo è nato dall'idea Ajax, da Cruijff, passando per Koeman e Rijkaard. Noi non siamo capaci neanche di copiare un briciolo di quell'idea. Pensiamo alla Spagna, sempre stata foriera di talenti: latini, giocolieri e grandi palleggiatori ma perdenti. Non vincevano mai. Adesso hanno vinto tutto, grazie all'educazione che contraddistingue un grande gruppo talentuoso. In Italia non preserviamo i talenti perché manca educazione di base, adesso pensiamo che i genitori dei ragazzi siano un ostacolo, invece sono persone da coinvolgere, l'Ajax l'avevo capito trenta anni fa. Se non si fa questo si crea confusione".

Nell'agosto 2010 Arrigo Sacchi è stato nominato Coordinatore tecnico delle Nazionali giovanili. Come giudica l'operato fin qui svolto?
"Lo sto seguendo abbastanza, perché il suo Vice è il mio grande amico Maurizio Viscidi, con il quale qualche anno fa sono andato ad Amsterdam a studiare l'Ajax. La strada che stanno battendo è quella di insegnare il gesto tecnico e la cura degli allenamenti. Io penso che invece si debba incominciare ad avere allenatori che facciano corsi per confrontarsi con genitori, dirigenti, perché se non lo facciamo non usciamo da questa empasse. Come punto di riferimento oltre all'Ajax penso all'Auxerre con Guy Roux che è stato 30 anni come capo allenatore. Ora girano tanti personaggi nel calcio che manovrano le fila e che non hanno un minimo di competenze".

Nell'ambiente lei è sempre stato considerato un galantuomo. Questo l'ha penalizzata alla luce di questo modus operandi con più di qualche corto circuito?
"La reputo una cosa normale, mi hanno insegnato a fare questo i miei allenatori. Le mie squadre devono essere educate dentro e fuori il campo. Al Cittadella a turno facevo spogliare una squadra giovanile assieme alla prima squadra, per abituarli al clima. I Martusciello, i Caverzan, i Ghirardello dell'epoca si sentivano educatori oltre che educati".

Una massima calcistica afferma che con le difese si vincono i campionati mentre con gli attacchi si vendono i biglietti. Lei da sostenitore dei 4 attaccanti è d'accordo?
"Assolutamente no. Sono partito dalla Seconda Categoria e sono finito in B, vincendo campionati. Ho dovuto lavorare anche sulla fase difensiva, ma nessuno mi ha tolto l'idea di schierare 4 attaccanti".

Cosa pensa dei nuovi allenatori apparsi tra A e B?
"Quest'estate ho visto la Roma di Luis Enrique in allenamento. Ero curioso perché quando arrivò Sabatini disse che Totti era la luce del sole sui tetti di Roma al tramonto. E non capivo perché non si affidasse tutta l'organizzazione tecnica, dalla prima squadra ai pulcini, proprio ad un allenatore proveniente da una società che lo attuava come il Barcellona. Sannino l'ho incontrato in C2 e in C1, e mi aveva già impressionato. Per un giovane allenatore diventa fondamentale che dietro ci sia un'idea perché non si può improvvisare, non va bene il pensare che si prenda un allenatore per provare. Speriamo che i dirigenti capiscano che il calcio non si fa solo con i soldi ma soprattutto con idee e uomini".

Pensa che il suo insegnamento sia stato recepito in oltre trent'anni di calcio?
"Ho seminato e dei ragazzi hanno raccolto. Penso a Zanon, Giacomin, Gotti, ragazzi che portano avanti questo modello ora che hanno iniziato ad allenare. Non c'è niente di straordinario, purtroppo non si fa più perché non si seguono i modelli".

© Riproduzione riservata