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Fiorentina, Virgili: "Quella finale col Real Madrid, ce la rubarono!"

Fiorentina, Virgili: "Quella finale col Real Madrid, ce la rubarono!"TUTTO mercato WEB
© foto di Federico De Luca - fotografia e
mercoledì 1 gennaio 2014, 16:142014
di Chiara Biondini
fonte di Stefano Borgi per FVmagazine

"In vino veritas", dicevano i latini. Ecco, sostituite il vino con la grappa ed avrete le verità di Beppe Virgili. No, che avete capito... nessuna sbornia, nessun gomito alzato. Beppe è lucido, lucidissimo (nonostante la veneranda età di 78 anni), ma da buon friulano non rinuncia al caffè corretto... con la grappa. Grappa friulana, s'intende. Il mensile di Firenzeviola.it, Fvmagazine ha intervistato il celebre "Pecos Bill" nella sua casa fiorentina.

Perchè la chiamavano "Pecos Bill"? "Pecos Bill era il titolo di un fumetto (un cow-boy ndr), il soprannome me lo dette Gianni Brera. Dicevano che mi somigliava, non so... Comunque a me piaceva". Le somigliava anche nel carattere? "Forse si. Io vengo da una famiglia modesta, mio padre faceva il brigadiere dei carabinieri, morì quando avevo solo 14 anni. Non so se quell'episodio abbia favorito la mia indole di combattente. Di certo in campo non avevo paura di nulla. Addirittura in collegio, all'età di 15 anni, fui squalificato a vita per aver picchiato un arbitro. Fortunatamente tutto rientrò, sennò a quest'ora chissà dov'ero..."

Lei nasce ad Udine nel '35, arriva a Firenze a soli 19 anni... "E fui pagato anche tanto: 75 milioni di lire più la metà di Beltrandi. In tutto 100 milioni. L'anno prima avevo contribuito alla salvezza dell'Udinese con 9 reti e mi ero fatto un nome. Il mio allenatore dell'epoca, Beppino Bigogno (ex-viola degli anni 30' ndr.) mi spinse ad accettare l'offerta della Fiorentina. E fu la mia fortuna..."

In maglia viola 4 stagioni, 60 reti in 110 partite "Non solo: vinsi uno scudetto, arrivai due volte secondo e disputai una finale di coppa dei campioni. Poi sono tornato ed ho allenato le giovanili viola per sette anni. A Firenze ho vissuto la parte più bella della mia carriera". A proposito di quella finale col Real Madrid... "Non ho dubbi, ce la rubarono! L'arbitro era olandese, mi sembra si chiamasse Horn. Nel secondo tempo Magnini fece fallo su Gento nettamente fuori area, e Horn indicò il dischetto. Un rigore totalmente inventato. Poco prima un mio tiro fu ribattuto sulla linea di porta, insomma... non meritavamo di perdere. Poi l'arbitro fece il resto".

Ci racconti quella squadra fantastica "Innanzitutto la formazione. A pronunciarla sembra una preghiera: Sarti, Magnini, Cervato, Chiappella, Rosetta, Segato... Sente? Fa anche rima. E poi eravamo una famiglia, ci frequentavamo, uscivamo insieme. Io feci da padrino alla figlia di Montuori, e Miguel fu il padrino del mio primogenito. Per capire quanto eravamo forti le racconto un aneddoto..." Prego... "A quei tempi si giocava alle 14,30. Pranzavamo verso mezzogiorno, poi ci si rilassava giocando a carte. E spesso ci scordavamo che ore erano. Allora arrivava il massaggiatore Farabullini che ci diceva... ma che fate, andate a spogliarvi, c'è l'arbitro che fa la conta. Noi lasciavamo le carte, correvamo negli spogliatoi e scendevamo in campo. Senza preparazione, senza riscaldamento. E regolarmente vincevamo due-tre a zero. Eravamo veramente forti".

Perchè quella Fiorentina ha vinto un solo scudetto? "Perchè mancavano le riserve. E poi la società... non avevamo peso politico. Ma quella squadra era fortissima".
Se dovesse scegliere il gol più bello con la Fiorentina? "Non ho dubbi: 22 dicembre 1957, Fiorentina- Juventus 2-1. Mancano dieci minuti alla fine, crossa Montuori, io vado in anticipo su Robotti (che allora giocava nella Juve ndr.) ed in rovesciata faccio gol. Fu un gol bellissimo, ma anche un gol storico, perchè subito dopo crollò la Maratona provocando decine di feriti. Si sfiorò la tragedia. Ricordo che nei giorni seguenti andai col presidente Befani a trovare quei tifosi in ospedale. La scena fu incredibile: all'inizio me ne dissero di tutti i colori, poi mi ringraziarono perchè col mio gol avevamo battuto la Juventus".

E allora perchè se ne andò da Firenze dopo appena quattro anni? "Perchè una parte del pubblico mi contestava. Non mi ritenevano all'altezza di gente come Julinho, Montuori, Lojacono... Allora pensai: mi vuole il Torino, e mi pagano anche bene. Me ne vado!" Già, si diceva che lei non avesse un piede fino, che doveva ringraziare gli assist di Julinho... "Non è vero! (Beppe non è arrabbiato, però reagisce fermamente ndr.) Certo, Julinho e Montuori erano grandi giocatori, ma su quelle palle bisognava andarci, avere coraggio. Bisognava far gol. Ed io i gol li facevo. Troppo facile parlare dopo".

Ok, cambiamo argomento. La nazionale... "In maglia azzurra ho giocato solo sette partite, però mi sono tolto la soddisfazione di segnare una doppietta al Brasile". Ci racconti... "Era il 25 aprile 1956, Pelè era in panchina. Si giocava a Milano, vincemmo 3-0, però con le regole di oggi avrei fatto una tripletta perchè il terzo gol fu a mezzo con De Sordi. Alla fine dettero autogol, ma la rete era più mia che sua".

Come mai solo sette presenze? "Perchè c'erano gli oriundi: Altafini, Schiaffino,Sivori... non c'era posto. Poi arrivò la disfatta con la Jugoslavia, 6-1 con nove giocatori della Fiorentina in campo. Fu l'ultima volta in nazionale, quella sconfitta ce la fecero pagare". Dopo Firenze, Torino sponda granata, quindi Bari e Livorno... "Grandi soddisfazioni ovunque. Col Toro segnai 5 gol alla Juve in due derby nello stesso campionato. Credo sia ancora un record. Col Livorno una promozione storica dalla C alla B. Insomma, non mi posso lamentare".

© foto di Federico De Luca