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Maccarone: "Non sarei mai partito da Siena. L'anno del Middlesbrough rifiutai altre 5 offerte dalla Premier"

Maccarone: "Non sarei mai partito da Siena. L'anno del Middlesbrough rifiutai altre 5 offerte dalla Premier"TUTTO mercato WEB
© foto di Federico De Luca
sabato 16 novembre 2013, 05:302013
di Chiara Biondini
fonte di Simone Bernabei per TMWmagazine
di Simone Bernabei per TMWmagazine

E' tranquilla l'aria che si respira a Empoli, cittadina a pochi chilometri da Firenze in cui da anni si produce calcio e soprattutto calciatori. Tutto è molto familiare, e forse il segreto è proprio questo. Tutti si conoscono, tutti si salutano, come in una piccola comunità dagli stessi intenti. Ed è qui, nelle meravigliose terre natali di Leonardo da Vinci, che Massimo Maccarone ha deciso di vivere la sua vita calcistica e la sua vita privata, una volta chiuso col calcio: "Quello che ho qui in Toscana, e soprattutto a Empoli, non sono mai riuscito a trovarlo da nessun'altra parte. E' il luogo ideale per vivere e per lavorare. Chi mi toglie più da qui...", è il racconto di Big Mac. Sulle tribune del Castellani, mentre le persone comuni (quelle che non ci incastrano niente con lo sfarzoso mondo del pallone) si allenano nella pista di atletica, Maccarone ci racconta le sue origini e ripercorre per intero una carriera fatta di gol, esperienze fuori dai confini e tanto cuore per le maglie indossate.

Ma partiamo dagli inizi. Come si sono conosciuti Massimo Maccarone ed il calcio? "Sostanzialmente come tutti i ragazzi: avevo 6-7 anni e mi piaceva questo meraviglioso sport. Iniziai nell'Oleggio, la squadra del mio paese, assieme a mio fratello. Anche lui era bravo, ma alla fine ha scelto un'altra strada".

Quindi il settore giovanile del Milan: come è arrivato a vestire la maglia rossonera? "Passai dopo due anni al Soccer Boys, una squadra satellite dell'Inter. Dopo un paio d'anni la collaborazione cambiò e l'Inter fu sostituita dal Milan. Dopo 4 anni, fui notato dal Parma e proprio dai rossoneri, dovevo soltanto scegliere. Il prestigio del Milan e la vicinanza a casa alla fine orientarono la mia scelta".

Quante sono le pressioni su di un ragazzo che veste per la prima volta una maglia così pesante? "Sinceramente non ci pensavo troppo. All'epoca ero ancora molto giovane e pensavo solo a divertirmi giocando, il prestigio della maglia che indossavo non era un peso".

Dopo molti anni di settore giovanile, la prima esperienza nel calcio che conta: il prestito al Modena. "Era il periodo in cui dovevo fare il militare e la caserma a cui ero stato assegnato era a Bologna. Da li, il Milan scelse il Modena per continuare il mio percorso di crescita. Gli impegni extra campo però non mi permettevano di allenarmi con continuità e quindi non giocavo la domenica. Così scelsi Prato, una città dove mi sono trovato benissimo".

A Prato si è tolto anche le prime soddisfazioni come calciatore... "L'anno successivo mi voleva anche il Novara, la squadra della mia città. Io però scelsi di tornare a Prato perché in Toscana mi sentivo già a casa. Così, alla fine della stagione 99/00 vinsi la classifica dei marcatori di serie C".

Quindi la prima fortunata esperienza a Empoli. "A fine stagione avevo tantissime offerte, fra cui l'Empoli. La Toscana, anche in questo caso, recitò un ruolo fondamentale. Questa terra mi ha accolto a braccia aperte, mi sono trovato subito bene e ho instaurato fin dai primi giorni dei meravigliosi legami di amicizia".

Le aspettative furono confermate? "I primi mesi furono abbastanza complicati, poi però la squadra cominciò a girare e arrivammo ad un punto dalla serie A".

Lei faceva coppia con un certo Totò Di Natale. Si immaginava che potesse raggiungere i livelli attuali? "Si vedeva che era molto bravo. In allenamento palleggiava con qualsiasi cosa: palloni, palline, borracce... Per me era incredibile vedere la facilità dei suoi gesti".

Già a quel tempo quindi l'Empoli puntava forte sui giovani... "L'Empoli sono oltre 10 anni che ha questa filosofia. Le grandi squadre italiane hanno iniziato da poco a seguire questa strada che, a quanto pare, è quella giusta".

Qual è il segreto di una realtà come quella di Empoli? "L'aria che si respira. E la tranquillità. Un ragazzo può crescere senza pressioni e migliorare come calciatore e come uomo. E poi le persone che ci lavorano. Tutti sono competenti e gli scout hanno l'occhio davvero lungo".

Intanto la sua carriera andava avanti. A fine anno Terim la rivoleva al Milan..."Ero in comproprietà, era tutto fatto per il mio ritorno al Milan. Pensate che avevo anche già fatto le visite mediche. Poi le società non trovarono l'accordo e alle buste il mio cartellino fu riscattato dall'Empoli".

Rimpianti per l'occasione mancata? "Sul momento c'era delusione, ma col senno di poi sono felice così. Con l'Empoli ho vinto il campionato, raggiunto la serie A e la Nazionale".

A proposito di Nazionale: il suo esordio in maglia azzurra fu particolare, ricorda? "Come dimenticarlo. Ero in Inghilterra con l'Under 21. All'intervallo del match con gli inglesi Gentile mi chiama e mi dice che dovevo uscire perché Trapattoni aveva chiesto la mia disponibilità a causa dell'infortunio di Vieri. Non mi sembrava vero, non avevo ancora esordito in serie A ed ero già stato chiamato in Nazionale. Un sogno. Quella notte non riuscii a dormire, ma il bello doveva ancora venire visto che il giorno dopo feci addirittura l'esordio, sempre contro l'Inghilterra. Credo che questo sia un paese che è sempre stato nel mio destino, visto che l'anno successivo passai al Middlesbrough".

Ci racconta il passaggio in Premier League? "Ripeto, credo che l'Inghilterra fosse nel mio destino. Comunque il mio esordio in azzurro suscitò molto clamore mediatico anche in Gran Bretagna, tanto che l'estate successiva arrivarono 5-6 offerte dalla Premier. L'Empoli voleva cedermi all'estero per monetizzare, anche se a me l'idea non piaceva troppo. Inizialmente rifiutai Manchester City, Birmingham, Fulham,Aston Villa e Blackburn. Poi decisi di andare 3 giorni a visitare il centro sportivo del Middlesbrough e li mi convinsi. Venni pagato 13 milioni, l'acquisto più costoso della storia del club".

Cosa la convinse del progetto inglese? "Le grandi ambizioni del club. Anche se il giorno della firma col Middlesbrough potevo firmare anche con il Bolton".

La volevano un po' tutti, insomma... "Arrivai all'aeroporto e li trovai il manager del Bolton che voleva convincermi a firmare con loro. In Inghilterra ci sono spesso questi tentativi last minute, ma io avevo già dato la parola al Middlesbrough e non tornai indietro".

L'Inghilterra è davvero la terra promessa del calcio? "Per me è stata un'esperienza bellissima, che consiglierei a tutti i miei colleghi. C'è un'altra cultura e un'altra filosofia rispetto all'Italia. Andare allo stadio è come andare a teatro e la gente capisce se un giocatore mette in campo tutto quello che ha. I calciatori si sentono liberi di provare le giocate perché il pubblico capisce. Che ricordi...".

Il suo arrivo fu anticipato da una grande attesa. Il tecnico McLaren parlò di lei come un novello Del Piero. "Le cose col mister però non andarono bene. Inizia fortissimo segnando tanto nelle prime giornate, poi gli infortuni mi tennero fuori per un po' e non giocai più con regolarità. L'anno successivo McLaren mi disse di cercarmi un'altra squadra, e io non la presi bene. Ero giovane e invece che rimboccarmi le maniche mi lasciai un po' andare".

Al Middlesbrough vinse anche il suo primo trofeo. Ricorda le emozioni? "Ovviamente. Vincemmo la Curling Cup, anche se ho il rammarico di non aver giocato la finale dopo che nelle eliminatorie ero stato protagonista. Un mese prima della finale, McLaren mi disse che mi avrebbe impiegato part time per farmi arrivare al massimo alla partita più importante della storia del club. In realtà, non so perché, da quel momento non giocai più".

In Inghilter ra è nato anche il suo soprannome. "Big Mac venne fuori dopo che segnai una doppietta all'esordio, ma ebbe risalto solo in Italia. Là mi chiamavano Massimo, con il classico accento anglosassone".

Qual è il ricordo più bello dell'esperienza oltremanica? "Il terzo anno, dopo il ritorno da Parma, McLaren mi disse che ero la quarta scelta, ma io ero maturato e decisi di giocarmi l'occasione col lavoro. Facemmo una splendida Coppa Uefa: io segnai il gol decisivo ai quarti e una doppietta, sempre decisiva, in semifinale. A fine partita c'era tutto lo stadio in piedi che cantava il mio nome e un coro tutto per me". Ricorda le parole? "Era molto simpatico: 'He's Here, He's There, He's Every Fucking Where... Massimo, Massimo, Massimo'. Da brividi, davvero".

Chiuso con l'Inghilterra, ecco un'altra pagina importante della carriera di Massimo Maccarone. Siena. "Sono il giocatore che ha segnato più gol in serie A con la maglia del Siena. Una bella soddisfazione. Quella del Siena era una splendida famiglia, purtroppo fu rovinata da una proprietà non all'altezza. Io non sarei mai voluto andarmene via da Siena nonostante la retrocessione, e invece qualcuno mi ha voluto far passare per il traditore".

A Palermo invece cosa non ha funzionato? "Mi sono trovato bene in Sicilia, ho un ottimo ricordo. Giocavo solo in Coppa Uefa e non in campionato, così a gennaio le nostre strade si separarono".

E lei passò alla Samp. Ma non era ad un passo dalla Fiorentina? "Ero davvero vicino alla maglia viola. Poi qualcosa andò storto, arrivò con convinzione la Samp e io volai a Genova". L'annata però non fu esaltante, anzi. "Ci fu la retrocessione. Mi spiace davvero, perché la piazza non lo meritava. Io comunque venni escluso da Atzori perché ascoltò il volere della piazza. Ho qualche rimpianto per quell'esperienza".

Quindi il ritorno a Empoli: sembra un po' un cerchio che si chiude. "Era gennaio e alla Samp ero fuori rosa. Mi chiamò il presidente Corsi chiedendo se avevo voglia di aiutare il club a venire fuori da una brutta situazione. Non ci volle molto a convincermi. Tornai in azzurro e vincemmo i play out. Fu un momento davvero indimenticabile".

Insomma, con Empoli e l'Empoli sembra davvero esserci un rapporto speciale... "Diciamo che mi sono rimesso in gioco per l'ennesima volta tornando qui. Ma, in fondo, era quello che volevo: Empoli è la città dove mi stabilirò quando smetterò con il calcio. Qua ormai ho tanti amici, la gente mi vuol bene, non vedo perché dovrei andarmene via".

Anche se il momento in cui deciderà di appendere le scarpe al chiodo è ancora lontano, cerchiamo di fissare alcuni punti della sua carriera. C'è un gol che ricorda con particolare affetto? "A livello di importanza la doppietta nella semifinale di Coppa Uefa ai tempi del Middlesbrough. Era la gara di ritorno contro la Steaua Bucarest. A livello estetico, quello che preferisco lo segnai con la maglia del Siena contro l'Udinese. Feci più di mezzo campo sulla sinistra, saltai un avversario, mi accentrai e feci gol nell'angolo più lontano. Un gol alla Del Piero direi...".

Un compagno che merita un menzione particolare. "Uno che ricordo con grande affetto, anche perché siamo tutt'ora in contatto, è sicuramente Locatelli. Ai tempi del Siena siamo diventati molto amici, mi colpì subito la sua genialità in ogni cosa che faceva. È uno estroso in campo e fuori". E un allenatore? "Silvio Baldini. L'ho conosciuto durante la prima esperienza a Empoli, mi aiutò davvero tanto. Con lui sono cresciuto tanto sia dal punto di vista professionale che umano".

Ci racconta la sua esultanza? "Il gesto del cestista nacque a Siena con alcuni compagni. Ha un significato preciso, ma preferisco tenerlo per me". E cosa fa prima delle partite? "Niente di particolare. A volte ascolto la musica, con gli auricolari. Le cuffie enormi da dj non fanno per me. Mi aiuta a concentrarmi anche se non ho un genere o un artista preferito".

Chiudiamo con un tema caldo, quello del razzismo. Un giocatore dal campo avverte l'aumentare di questo fenomeno? "E' un fenomeno che negli ultimi anni è cresciuto molto. A dire la verità in serie B è molto meno diffuso, anche se chiaramente è presente. Il problema è che non è semplice da debellare, l'imbecille di turno purtroppo è sempre in agguato. Forse potrebbe aiutare un sistema come quello inglese, dove tutto è monitorato e ogni spettatore è controllato per il bene di tutti. Chi fa qualcosa che non va bene, ne paga le conseguenze in prima persona".

© foto di Federico De Luca