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Massimo Orlando: "Ho avuto un ottimo rapporto con tutti gli allenatori ad eccezione di Ranieri"

Massimo Orlando: "Ho avuto un ottimo rapporto con tutti gli allenatori ad eccezione di Ranieri"TUTTO mercato WEB
© foto di Federico De Luca
venerdì 25 ottobre 2013, 05:002013
di Chiara Biondini
fonte di Lorenzo Di Benedetto per TMWmagazine

Tecnica, velocità, voglia di emergere e infortuni. La carriera di Massimo Orlando potrebbe essere riassunta così. Dalla Reggina alla Juventus per sei miliardi di lire, poi l'arrivo alla Fiorentina con la scomoda impresa di non far rimpiangere Roberto Baggio. Gli infortuni, le incomprensioni con Claudio Ranieri, la retrocessione con la Fiorentina e le vittorie in Coppa Italia e Supercoppa Italiana. Il rimpianto per la mancata convocazione al Mondiale americano del 1994 e i suoi rapporti con allenatori e compagni non sempre idilliaci. Partiamo dall'inizio, dalla prima avventura, nei professionisti con la Reggina... "Arrivavo dal Conegliano, un settore giovanile molto importante in Veneto. In quell'occasione la Reggina comprò praticamente una squadra intera visto che aveva bisogno di molti giovani per formare la Primavera. Dopo circa due mesi, poi, in prima squadra si infortunarono due centrocampisti e dato che le rose di allora non erano le stesse di oggi, quella fu la mia occasione per esordire in prima squadra. A Reggio Calabria andò tutto molto bene, con un'unica delusione importante, quello spareggio contro la Cremonese per la promozione in serie A perso ai rigori. Per un diciassettenne come me però, fu una grande soddisfazione".

Poi il passaggio alla Juventus per 6 miliardi di lire. Una cifra che le pesava? "Si dice che il centro sportivo della Reggina sia stato costruito con i soldi incassati dalla mia cessione alla Juventus (ride ndr). Non mi pesava, mi faceva piacere per la Reggina, che con quella cifra avrebbe potuto costruire qualcosa di importante. Successivamente però ci sono rimasto male per il comportamento della società calabrese: sono tornato anni dopo a chiedere se avessi potuto collaborare con la Reggina ma mi avevano già dimenticato. Purtroppo nel calcio c'è poca riconoscenza. Arrivai alla Juventus con grande entusiasmo. Ero ancora un ragazzino e avevo la possibilità di esordire in serie A. Una sensazione bellissima".

Neanche il tempo di esordire con la maglia bianconera e fu già l'ora di salutare tutti per approdare alla Fiorentina. A Firenze i suoi anni più belli? "Sicuramente sì. Avevo grandi responsabilità, e il primo anno fu bellissimo. Il tifo viola doveva superare la delusione legata alla partenza di Roberto Baggio e vedeva in me il giovane che avrebbe potuto farlo dimenticare. La curva Fiesole mi dedicò anche un coro che diceva 'Orlando meglio di Baggio', ma tutto quell'entusiasmo e le tante aspettative nei miei confronti mi fecero male. Sentivo troppa pressione intorno a me. Il primo anno in viola fu fantastico, poi arrivarono le difficoltà anche a causa dell'arrivo a Firenze di Maiellaro, un giocatore simile a me. In quel caso penso che la Fiorentina fece uno sbaglio, visto che aveva investito molti soldi per il mio acquisto".

E come se non bastasse sono arrivati gli infortuni che le hanno impedito di esprimersi con continuità... "Gli infortuni purtroppo fanno parte del nostro lavoro. Sono stato fortunato ad arrivare in Serie A molto velocemente, cosa che capita a pochi, ma poi i vari stop mi hanno sfrenato. Purtroppo questi incidenti non sono preventivabili, un giocatore mentre è in campo non pensa a niente. Se potessi tornare indietro non rifarei mai la scivolata che mi costò l'infortunio al ginocchio contro il Bari, talvolta, dopo tutti questi anni, mi capita di svegliarmi la notte e ripensare a quel giorno. Feci una scivolata normale, mi capitava molto spesso di fare quel tipo di intervento anche in allenamento, ma in quel caso mi rimase il piede incastrato nel terreno e da lì iniziarono tutti i miei problemi. Da quel giorno è iniziato un incubo, sentivo che il mio ginocchio non era a posto e non riuscivo a dare continuità alle mie prestazioni. La cosa che mi è dispiaciuta di più è stata quella di essere etichettato come uno che non aveva più voglia di giocare a calcio, una persona che aveva paura di tutto, ma in realtà non era così. Ho smesso a causa del dolore che avevo al ginocchio, che ancora oggi mi crea tanti problemi. In precedenza ero stato sottoposto ad un'operazione alla caviglia e andò tutto bene. Mi dissero che dopo 4 mesi avrei potuto essere di nuovo in campo e così fu. L'infortunio al ginocchio fu molto più complicato e non riuscivo a farmene una ragione".

Se avesse subito l'infortunio al giorno d'oggi, pensa che sarebbe cambiato qualcosa? "Non lo so. In quel periodo parlavo spesso con Antognoni e con altri ex calciatori che mi ritenevano fortunato. Ai loro tempi infatti, se un giocatore avesse subito un infortunio come il mio non avrebbe avuto nessuna speranza di tornare in campo. Sicuramente negli ultimi anni sono stati fatti passi in avanti, ma io sono stato dai migliori, ho girato il mondo cercando di tornare al top, ma non è stato possibile. Prima si smettere ho trascorso circa cinque anni allenandomi solo in palestra, ma se ad un giocatore viene a mancare il campo non può più continuare. Ho dato l'addio al calcio quando avevo ancora un anno di contratto, sfido chiunque a rinunciare agli ultimi soldi da calciatore ma non ce la facevo più, ero completamente fuori di testa".

Ha avuto molti allenatori in carriera, che rapporto aveva con loro?"Ho sempre avuto un rapporto meraviglioso con tutti, perché penso di avere un bel carattere. Gli unici problemi li ho avuti con Ranieri che è stata la persona peggiore che ho trovato nel calcio. Una persona molto furba che magari mi faceva scaldare per 80 minuti per poi non farmi giocare neanche un minuto. Ricordo che mentre stavamo andando a Barcellona per la semifinale di andata di Coppa delle Coppe ed eravamo già sull'aereo mi disse che sarei dovuto rimanere a Firenze. Tornai a casa da solo con il pullman della squadra e fu un giorno molto triste per me, difficile da superare. A mio avviso quando una persona si comporta così non è una persona per bene. Quando arrivò a Firenze mi chiese una mano per aiutarlo nello spogliatoio, cosa che io non ho mai fatto, ma poi cambiò totalmente il modo di comportarsi, sia con me che con il resto del gruppo. Non faccio nomi ma posso dire con certezza che non sono stato l'unico a parlare male di Ranieri".

Ha detto che a Firenze ha trascorso anni bellissimi, che rapporto aveva con la città e i tifosi? "Un rapporto bellissimo. Anche se ero un ragazzino e commettevo alcuni errori di gioventù, come quello di presentarmi agli allenamenti con una macchina troppo vistosa, cosa che può dar fastidio alla gente, i tifosi mi hanno sempre sostenuto. Io ho vissuto Firenze in un momento in cui i tifosi non ti perdonavano niente. La contestazione era sempre all'ordine del giorno".

Alla Fiorentina ha vinto un campionato di serie B e successivamente una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana. Cosa significa vincere in una piazza come Firenze? "La vittoria del campionato di Serie B era un obbligo. Eravamo retrocessi nella stagione precedente e avevamo l'obbligo di tornare subito in A. La Coppa Italia è stata un'emozione unica, con 40.000 persone che alle 4 del mattino ci hanno aspettato all'interno dello stadio Artemio Franchi. Fu un esperienza bellissima".

Qual è il giocatore più forte con cui ha giocato? "A Firenze sicuramente Batistuta, ma in generale il mio idolo è sempre stato Paolo Maldini. Ho avuto la fortuna di giocare negli anni in cui il campionato più bello era la serie A e ho avuto l'occasione di vedere all'opera calciatori fortissimi".

Poco tempo fa ha detto di aver paura di contrarre la SLA. Qual'era il suo rapporto con Borgonovo e come ha visto la sua voglia di combattere questa malattia terribile? "Ho vissuto molto male la storia di Stefano. Ho vissuto in casa con lui per molto tempo, eravamo molto attaccati e simili dal punto di vista carat teriale, scherzavamo e ridevamo sempre. Poi ci perdemmo di vista e da un giorno all'altro sparì dalla circolazione. Non riuscivo più a contattarlo e anche se potevo immaginarmi che gli fosse successo qualcosa non avrei mai potuto pensare ad una malattia di questo tipo. Poi arrivò la notizia al pubblico e reagii molto male. Molti altri giocatori si sono ammalati, si parlava di Stefano perché ha avuto il coraggio di affrontare pubblicamente la malattia, ma anche altri hanno avuto lo stesso destino. I giocatori sono una categoria che più di altre può contrarre la SLA e da questo dato è nata la mia paura che ancora mi porto dentro. Questo perché pur avendo avuto, per tutta la mia carriera, piena fiducia nei dottori, non so cosa mi è stato somministrato in alcune situazioni".

Nella sua carriera ha esordito in tutte le nazionali giovanili ma mai in quella maggiore. E' questo il suo maggior rimpianto? "In realtà sono due i miei maggiori rimpianti e in un certo senso sono collegati tra loro. Uno riguarda appunto la nazionale, con Arrigo SacSacchi che nel 1994, ad un mese dal mondiale, mi chiamò per dirmi che mi avrebbe convocato. Poi però retrocedemmo con la Fiorentina e a quei tempi i commissari tecnici guardavano molto a queste cose, non come ora. Ero in ballottaggio con Antonio Conte e Alberigo Evani e alla fine Sacchi optò per loro. L'altra delusione, che non mi perdonerò mai, fu appunto la retrocessione con la Fiorentina. Non solo per la mancata convocazione al Mondiale che dipese da quello ma anche per come andarono le cose. Fu un giorno drammatico, ci sentivamo già condannati perché sapevamo che Roma e Udinese non si sarebbero fatte del male. Nell'estate successiva Abel Balbo passò alla Roma e Carnevale tornò a Udine. Sono cose che che nel calcio sono sempre successe. In quella stagione ce ne combinarono di tutti i colori, anche a causa di qualche uscita fuori luogo sia del presidente Cecchi Gori che di Agroppi. La Fiorentina non era simpatica a nessuno".

Segue ancora il calcio? Le piacerebbe rientrare nel mondo del pallone? "Devo dire la verità, mi sono distaccato molto dal calcio. Non vado più allo stadio perché quando torno al Franchi mi tornano in mente tutti i momenti più brutti della mia carriera. Ne sono uscito anche per altri motivi: lavoravo in televisione ma questo mondo non mi piace. Mi piaceva giocare, scendere in campo, essere al centro dell'attenzione all'interno del rettangolo di gioco. Il mondo intorno al calcio ha delle regole e se non le rispetti sei fuori. Alcuni miei ex compagni, con i quali ho condiviso momenti importantissimi, fanno oggi fatica a salutarti solo perché magari lavorano in televisione, e questa è una cosa che a me non piace".

Un'ultima cosa, qual è il ricordo più bello che Massimo Orlando si porta dentro? "Faccio una premessa. Vivo ancora a Firenze, ma non è per questo che lo dico. Il ricordo più bello è il primo, e unico, gol che ho segnato con la maglia della Fiorentina a Torino contro la Juventus, in una gara che poi perdemmo per 2-1. C'erano almeno 5000 tifosi viola e io segnai sotto la curva dei sostenitori gigliati. Ero appena venuto via dalla Juventus e fu una grandissima soddisfazione anche perché nella mia testa mi sentivo rifiutato dalla società bianconera".

© foto di Federico De Luca