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Milan, Luca Serafini: "Una difficile scelta d'amore"

Milan, Luca Serafini: "Una difficile scelta d'amore"TUTTO mercato WEB
© foto di Federico De Luca
venerdì 23 gennaio 2015, 20:592015
di Redazione TMW
fonte Luca Serafini

Sassuolo, Torino e Atalanta hanno gettato il Milan nel buio più profondo, lo scoramento e la rabbia hanno ripreso posto dove a dicembre erano sedute la speranza e la fiducia. Dal mercato nessuna notizia al momento, nonostante sia l'unica strada da percorrere per provare a tamponare le troppe falle.

E' difficile spiegare in maniera credibile come non ci siano affatto livore, né gusto sadico, né parentele o amicizie con questo o quello alla base della posizione drastica che – da circa 2 anni – abbiamo assunto nei confronti della gestione tecnica rossonera da parte della proprietà e della dirigenza. In Italia vige la regola non scritta della dietrologia, per cui risulta essere liberi di esprimersi in un senso o nell'altro esclusivamente grazie a un tornaconto sommerso, mai per onestà di pensiero né tanto meno per sentimento. Abbiamo raccontato per 26 anni di un club esemplare per integrità e coerenza. Ora ci tocca testimoniare di un cambio di rotta tangibile con risultati deleteri com'era facilmente prevedibile. Una scelta di campo per amore. Non lo abbiamo fatto prima perché dipendenti Mediaset e/o collaboratori di Milan Channel, pulpiti dai quali abbiamo sempre voluto e potuto sottolineare senza esitazione gli errori e le poche cadute di stile. Né lo facciamo oggi per perorare questa o quella causa, orticelli che lasciamo ai meschini vassalli – spontanei o al soldo – i quali nel privato la pensano esattamente come noi e vorrebbero urlare al pari di milioni di tifosi esentati in modo solare da inciuci a parte quelli del cuore. Non c'è bisogno di cavalcare nessuna onda quando si è consapevoli di essere spazzati via da una più grossa.

Quello che contestiamo con forza è una comunicazione puntualissima nell'essere regolarmente smentita dai fatti, eppure parliamo di Berlusconi e Galliani, re della comunicazione da mezzo secolo. Contestiamo la mancanza di ricambi generazionali mai coltivati né semplicemente responsabilizzati. Contestiamo la mistificazione di eventi, scelte, designazioni, investiture che non fanno più parte del modo di essere Milan come ci avevano abituati. Contestiamo l'allestimento di una squadra dove il senso di appartenenza è ridotto ai minimi termini. Si può anche attraversare un periodo di transizione, di restrizioni (nonostante ingaggi e bilanci dicano il contrario), di involuzione, ma dovrebbero restare saldi tutti i valori su cui è stata costruita un'irripetibile, straordinaria storia calcistica.

E' stata odiosa la fiducia pro-tempore a un allenatore screditato, è stato insopportabile il trattamento riservato a una vecchia bandiera come Seedorf (e prima di lui Maldini, Kakà, Pirlo e qualche altro, anzi qualche altra…), è cinico oggi offrire Inzaghi – affatto esente da colpe, sia chiaro – come unico capro espiatorio.

Come si può sostenere preoccupazione in caso di mancata qualificazione in Champions quando 3 anni fa il terzo posto non sortì alcun vantaggio in sede di (ri)allestimento della squadra? Come si può paragonare un risultato sportivo all'entità degli ingaggi? Come si può pensare che questa squadra si possa autocelebrare competitiva? Come si può credere che un giovane allenatore con un anno di esperienza negli Allievi e uno in Primavera, non commetta errori anche madornali nelle scelte? Com'è possibile ipotizzare la cessione onerosa di un club con in dotazione "soltanto" qualche decina di milione che sono il valore di Milanello? Ogni singola decisione in sede di mercato nelle ultime sessioni è stata condizionata profondamente da queste contraddizioni, da questa presunzione, da questa involuta filosofia, senza mai un solo briciolo né di autocritica né di strategia. Nulla che vedere con i 26 anni precedenti. Nulla. Eppure chi li ha vissuti così da vicino, chi ha avuto la fortuna e il privilegio di raccontare e testimoniare, oggi prova un senso di rabbia e di tristezza, non certamente di rivalsa. Queste fazioni le ha create chi ha dovuto allestire una propria ciurma di fedeli, inevitabilmente allineandole in opposizione a tutti gli altri che la pensano diversamente. La pensano diversamente perché diversa è la storia che vedono rispetto a quella che hanno amato, non perché siano cambiati loro, ma perché è cambiato quello in cui credono sportivamente. Questo concetto dev'essere sempre molto chiaro. Non siamo noi che siamo cambiati, che ci siamo incattiviti: è il Milan che è cambiato, in peggio.

Da 3 anni accanto alle critiche feroci, spietate, descriviamo uno scenario possibile: un giusto mix in squadra tra giovani ed esperti in uno spogliatoio di professionisti seri e responsabili, un allenatore sostenuto, difeso e difendibile, una politica di graduale riavvicinamento ai vertici del calcio italiano e ai tifosi, un management con volti nuovi di gente appassionata, disinteressata e credibile, uno stadio nuovo come risorsa imprescindibile per il futuro. Ma i consigli, non solo i nostri ovviamente, restano inascoltati mentre le critiche al massimo diventano materia di ridicola corrispondenza tra avvocati. Il resto è sotto gli occhi di tutti, senza bisogno di cavalcarlo né tanto meno di infierire. Cavalcare e infierire sono verbi che non mitigano la rabbia, la delusione, lo scoramento di chi ha una passione. Semplicemente quella.