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Milan, Saronni: "Quel cappellino troppo grande"

Milan, Saronni: "Quel cappellino troppo grande"TUTTO mercato WEB
© foto di Alberto Lingria
mercoledì 18 marzo 2015, 08:102015
di Redazione TMW
fonte Andrea Saronni

Vai a sapere perché, ma più volte durante la lunga fase di apparente serenità di Fiorentina-Milan, è capitato che l'occhio scappasse sulla tenuta anti-pioggia di Pippo Inzaghi e si soffermasse su quel cappellino, decisamente troppo voluminoso e capace, gonfiato anche dall'acqua battente. Una specie di panettoncino rossonero, tipo quelli piazzati sui marciapiedi per impedire il parcheggio selvaggio: e sotto una figura scura e smilza, tutta presa a gesticolare. L'effetto, è stato conseguentemente un po' buffo, ha suscitato sorrisi anche perché era sufficiente ruotare di poco lo sguardo per vedere quella scritta onestamente inattesa, Fiorentina 0, Milan 1, cronometro sul 70, e poi 75, 80, e chi se lo aspettava. Finito il match, tutto è apparso chiaro, a cominciare dal messaggio di quell'apparentemente insensato e distratto sguardo. È tutto troppo grande per Mister Superpippo, persino un cappellino. È troppo grande la responsabilità, troppo grande la pressione, troppo grande l'inadeguatezza nel produrre calcio a questi livelli. Troppo grande la difficoltà di fare qualcosa di positivo dall'inizio alla fine, di avere una compiutezza. E non ci si riferisce al risultato, almeno in questo caso.
Sì, è vero, la sconfitta pensandoci è disastrosamente deleteria sul doppio binario morale-classifica - minuto 81: sorpasso all'Inter e -4 dall'Europa - : ma quello che ancora e sempre fa cascare le braccia del milanista, o che lo lascia senza risposte alle solite domande, è il consueto crollo, la consueta, irresistibile leggerezza del proprio essere e delle proprie gambe. La Fiorentina versione lunedì sera è stata per lunghi tratti una squadra ideale, per questo ologramma di Diavolo: rimaneggiata, dedita al palleggio sotto ritmo, tutto meno che cattiva agonisticamente, sostanzialmente senza terminale di gioco (no regrets, vecchio Gila). C'è stata l'occasione di fare male subito, poi quella di fare un pochetto di calcio difensivo senza eccedere nelle tachicardie: infine, quella di gestire un regalo tutto sommato meritato della buona sorte, con quella ciabattata di Jack Bonaventura corretta provvidenzialmente da Destro. Un menù di chances ricco, ma evidentemente insufficiente per nutrire a sufficienza l'animula di questa squadra e garantire un sufficiente bonusal suo inesperto allenatore.


Al suo collega e coetaneo Vincenzo Montella è bastato girare un paio di volte le carte a disposizione per fare saltare il banco milanista: Joaquin ha progressivamente fatto ciò che ha voluto con Antonelli, mai sufficientemente coadiuvato da Menez, sul quale permane l'immunità da sostituzione precoce. E alla fine, lo spagnolo malsopportato persino dai suoi tifosi ha colpito, affondato e fatto pace col mondo viola. Ma questa, accidenti, era una partita che il Milan poteva portare a casa a dispetto di qualsiasi lacuna tecnica di calciatori e allenatore, era palesemente una di quelle partite nate bene. E invece. La solita dissoluzione, questa incredibile capacità di mollare incondizionatamente l'inerzia agli altri, la situazione favorevole del campo che alimenta il disastro al posto che affilare le unghie, accrescere la convinzione che si possa finalmente svoltare, dare una botta. Il tutto, a Firenze, è successo negli ultimi 9 minuti, quando il manuale del piccolo calciatore spiega che è il caso di ricorrere al fallo, alla gestione della palla, a tutto il residuo del serbatoio. Come non detto. È un deficit ormai insanabile per questo gruppo, che andrà ricostruito con cura, stando estremamente attenti a non buttare i bambini Bonaventura, Paletta, Antonelli, Diego Lopez, Abate, Destro (ma ci saranno volontà e soldi per tenerlo?) insieme all'acqua sporca della stagione 2014/15.
È un lavoro che per logica dovrebbe svolgere la società insieme a un allenatore esperto e capace, a cui possa essere data un minimo di manovra per esprimere dei desiderata tecnici e che sappia poi inculcare un'idea, essere guida e farsi seguire da nuovi leader. Per qualsiasi "top club", si tratterebbe di un delicato, ma normale reset. Per questo Milan senza certezze sul futuro a medio termine (ieri l'articolo più interessante sul club era su un giornale stampato con carta rosea: ma non era la Gazzetta) è invece un progetto difficile e grande, forse troppo grande. Proprio come il cappellino inzuppato di pioggia e sconfitte che Pippo ha lasciato lì, sui bordi del campo di Firenze.