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Pino Vitale: "Venduto Marchionni a 30 miliardi e beffato il Milan per Maccarone"

Pino Vitale: "Venduto Marchionni a 30 miliardi e beffato il Milan per Maccarone"TUTTO mercato WEB
© foto di Federico De Luca
mercoledì 25 dicembre 2013, 17:152013
di Chiara Biondini
fonte Intervista di Marco Conterio per TMWmagazine.com

Basta alzare gli occhi per capire che la vita di Giuseppe Vitale è fatta di paradossi. Firenze, il cielo è azzurro ma il freddo pungente. Di quello da prime sciarpe dell'anno, di quello che ti si gelano le mani e la stretta calda di chi esce da un ufficio è quasi una carezza. 'The End'. No, non è la fine. E' il brand di abbigliamento del direttore sportivo fiorentino, nato negli anni '80. Pare quasi un paradosso aprire un'attività e chiamarla 'The End'. "Sono andato ad Ibiza, mi è piaciuto questo nome con la N rovesciata ed ho deciso di adottarlo".

Semplice, lineare. Paradossi, dicevamo, però. Perché Pino Vitale è fiorentino, attaccato ed aggrappato alla sua terra d'origine. Però non ha mai lavorato nella Fiorentina e, nell'ultima splendida parentesi di carriera, con la Fiorentina. Ci fa accomodare al primo piano della palazzina, dove il gelo è un ricordo, dove alle mura sono affissi quadri e scatti della sua città. Si alza, ne indica uno. E' il Mercato Centrale.

"Io nasco lì, nella Firenze che non c'è più. Quella dei rioni, dei banchi del mercato. Sono il secondo di nove fratelli, ed in vita mia ho fatto anche lavori semplici, umili. Il pescivendolo, il macellaio. Vengo dall'Università della strada, sono uno che ha imparato a vivere vivendo. Mio padre aveva un banco, vendeva 'i cocci'". I cocci? "Sì, li chiamiamo così. Soprammobili, vettovaglie, cose del genere. Poi si è dato ai banchi d'abbigliamento e, parallelamente alla mia carriera prima di calciatore e poi di dirigente, ho iniziato anche io e devo dire che ho anche fatto un po' di fortuna". Indica i quadri e negli occhi scorre la memoria. Firenze. Le scale di Palazzo Vecchio. Ponte Vecchio. Poi i trionfi dell'Empoli, un capitolo che verrà. Perché tutto nasce a pochi passi da casa, alla Rondinella.

"Ero un buon giocatore di Serie D, che ora vale la Prima Divisione. Nel frattempo, come dicevo, lavoravo. Ero una discreta mezz'ala, segnavo molto. Pistoiese, Quarrata, Camaiore, Rondinella. Sempre in Toscana, sempre vicino a casa". Però la carriera si interrompe presto. "Alla Rondinella, negli ultimi cinque anni da calciatore, affiancavo il tecnico Renzo Melani nelle scelte. Facevamo la squadra. Smisi prima, anche su input del presidente Vannacci".

Per chi non lo sapesse: la Rondinella è la seconda squadra di Firenze. "Ai tempi lo era davvero: ho passato lì otto anni, portavamo allo stadio delle Due Strade anche cinquemila persone. Dalla D alla C2, dalla C1 abbiamo anche rischiato di andare in B. Era l'appuntamento del sabato per i fiorentini e vedere quell'impianto oggi con il Porta Romana che ci gioca... Mette tristezza. Però il mondo cambia".

All'epoca, però, faceva affari con la Fiorentina. "Diciamo che davamo fastidio ai dirigenti dell'epoca Pontello, visto che chiedevamo continuamente giovani. Mancini, Pellicanò, era una Rondine con tanti ragazzi dal settore giovanile viola. Poi in futuro, non ne ho più fatti, specialmente con la Fiorentina di Corvino, un mio grande amico con cui ho però avuto di che discutere per questo".

Una curiosità: lei è sempre rimasto in Toscana, diceva. "Una scelta di vita. Avevo una famiglia alle spalle ed un lavoro extra rispetto al calcio: sono rimasto qui, vicino a casa, rifiutando anche buone proposte".

Disse però sì al ruolo di uomo mercato della Lucchese. "Sono stato lì quattordici anni anni, con un maestro come il presidente Egiziano Maestrelli. Abbiamo vinto la C2, poi la C1, poi la B. Ed abbiamo sfiorato pure la A, perdendo però il campionato con quel 2-0 contro il Brescia. A Lucca resto fino al 1999, in annate anche ricche per il mercato. Pensi che in una stagione faccio 30 miliardi con le cessioni: Wome, Vannucchi, Marco Rossi, Innocenti e non solo. Non male, no?"

Poi l'Empoli: e lì inizia una lunghissima storia d'amore. "Otto anni di B, cinque di A, una qualificazione in Coppa Uefa, tanti giocatori convocati in azzurro. E' stata una cavalcata lunga, bellissima. Anche perché, tra tutte le squadre toscane, l'Empoli è l'unica a non esser mai fallita".

Un Empoli che vive di giovani e stelle work in progress. Come Totò Di Natale. "Lo dovevo portare a Lucca, avevo già trovato l'accordo. Poi non se ne fece di niente, lo trovai ad Empoli. Decidemmo di confermarlo l'anno successivo anche grazie a D'Amato che riuscì a convincerlo a restare. Era lui il talent scout che scoprì Antonio e Montella; Totò voleva tornare a casa, ma fummo bravi a convincerlo che Empoli poteva essere la sua seconda casa".

Di Natale, ma non solo. "Ha un libro intero?" In che senso? "La lista è infinita. Bresciano, Grella, Marchionni, Maccarone, Tavano, Almiron, Coda, Cribari, Giovinco, Marchisio. Butto lì solo qualche nome ma questa è storia. Questi sono giocatori diventati calciatori veri, importanti. E questo grazie ai dirigenti ma soprattutto al presidente Corsi".

Un nome nel mucchio: Almiron. "E' stato il colpo forse più bello, più sudato. La sua busta fu una vera e propria fatica, grazie alla mia bravura siamo riusciti a fare soldi importantissimi con la futura cessione. I rapporti con l'Udinese della famiglia Pozzo sono sempre stati belli ma per lui non trovammo l'accordo. Era in comproprietà, vincemmo le buste a 1,5 milioni di euro, l'ho ceduto poi alla Juventus per 10 milioni".

E prese anche Giovinco e Marchisio. "Sebastian l'avevo visto ad un Viareggio, era bravissimo. Poi Marchisio: doveva andare al Siena, dove era finito De Ceglie, ma praticamente l'ho preteso. Gliel'ho sempre detto, anche all'inizio: 'diventerai come De Rossi'. L'occhio ce l'ho sempre avuto".

Gli aneddoti incuriosiscono, come quello su Maccarone. "Prenderlo dal Prato per trecento milioni per la metà non è stato facile: c'erano anche tanti altri club su di lui. Era a metà col Milan che lo rivoleva; dopo lunghe discussioni con Galliani, siamo andati alle buste. Il Milan mise 5,1 miliardi di lire".

E l'avete perso. "Perso? Scherza? Misi 6,1 miliardi, non se lo sarebbe mai aspettato nessuno. Successivamente dissi no a 16 miliardi dal Venezia di Zamparini, l'abbiamo venduto a 27 al Middlesborough". Avanti coi nomi. "Marchionni, per esempio. Ci abbiamo fatto 30 miliardi, 12 più 18 dal Parma. Ma l'Empoli non è solo cessioni, ricordo che nell'anno dell'offerta per Maccarone prendemmo anche Rocchi per 2,5 miliardi dal Como".

Mica li avrà beccati tutti. "Macchè. Amauri, per esempio, l'ho dato via pensando che non fosse buono...". Chiusa l'avventura Empoli, va allo Spezia. "E qui ho visto subito una sostanziale differenza. Ad Empoli, al Castellani, ci sono le foto dei giovani poi andati in Nazionale a rappresentare la storia. Lì, qualche poster del triplete in Lega Pro e pensano di averla già fatta. Stimo tanto, tantissimo la proprietà, sono grandi imprenditori".Ma...? "Ma il calcio è un'altra cosa. Volpi è una persona squisita ma far pallone è altro. Mi avevano cercato già prima di Natale, poi quando sono arrivato lì non c'era già più Serena, il tecnico di questo celebre triplete...".

A proposito di allenatori: ne ha scelti molti. E, soprattutto, con dei caratterini niente male. "Si riferisce a Scoglio, Fascetti, Orrico, Baldini, Bolchi e Somma? Sì, in effetti... Però se devo dire quello a cui sono più legato è Renzo Melani della Rondinella. Rappresenta lui la mia vera storia".

Una storia che, come dicevamo prima, ha visto anche la parentesi europea con l'Empoli. "Purtroppo di quell'anno ho ricordi terribili. Persi mia moglie, è stata la cosa che ha influito di più sulla mia vita. Quaranta anni insieme, ci eravamo conosciuti a diciannove anni nella nostra Firenze... Mi è mancata, lì, la forza di ripartire. Ed ora ho sessantasei anni e sento di essere uno dei migliori sulla piazza. Però il mondo che cambia". Cambia. Va avanti, ora è il turno del figlio Lorenzo, "che fa il direttore sportivo nei dilettanti, allo Scandicci".

Cambia e va avanti, appunto. Però, quando ci saluta, Vitale fa un nuovo ripasso delle istantanee della sua Firenze aggrappate alle mura del suo ufficio. Dove il tavolo, le luci ed il divano sono moderni, pure di design. Ma dove il passato non si scorda, stampato nella memoria e nel muro. "Sto anche provando a riprendermi la casa dove sono nato, in centro, ma senza successo". Il primo amore non si scorda mai. E poi il primo freddo d'inverno, fuori, a taccuini chiusi. The End. Una scritta aggrappata al cielo. Ancora presto per scriverlo, nonostante la carta d'identità.

© foto di Federico De Luca
© foto di Federico De Luca
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