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Inter: le scelte di Inzaghi, gli ingredienti in cucina, Titì Henry e la Red Bull. Juve: il paradosso di campo, Allegri-Real e il futuro allenatore. Napoli: il segreto di Calzona. E il delirio arbitrale

Inter: le scelte di Inzaghi, gli ingredienti in cucina, Titì Henry e la Red Bull. Juve: il paradosso di campo, Allegri-Real e il futuro allenatore. Napoli: il segreto di Calzona. E il delirio arbitrale TUTTO mercato WEB
mercoledì 6 marzo 2024, 16:10Editoriale
di Fabrizio Biasin

C’è tutto un casino arbitrale che metà basta. Lo sapete. Potremmo riassumerlo con l’espressione “gli arbitri non si vogliono bene”. Qualcuno non sarà d’accordo, ma è così. Cioè, ci sta di prendere la cantonata, ma poi devi porre rimedio, risolvere, mettere la pezza. E invece no, gli arbitri (ultimamente molto più dei varisti) si dimostrano pochissimo strategici, molto masochisti e per nulla amanti del buonsenso.
Se ti richiama il varista e ti dice “oh, zio, guarda che il rigore non c’è” forse è perché non c’è, prendi in considerazione questa ipotesi. E invece no, il fischietto di Inter-Genoa ha pensato bene di mantenere il punto. E ha toppato.
Se Ricci è da poco ammonito e una manciata di minuti più tardi sbraccia un po’, tu, arbitro, limitati a dirgli “non fare il minchione”. E invece no, il fischietto di Torino-Fiorentina tira fuori l’altro giallo, rovina la partita e si dimostra molto poco lucido.
Se hai perso le redini della gara e ti ritrovi a espellere un giocatore, Guendouzi, per non aver fatto una beatissima fava, quando ti ritrovi a compilare il referto, tu, arbitro, trova un modo per edulcorare. E invece no, Di Bello ammette al suo “capo” di aver perso il controllo del match ma il giocatore della Lazio si prende comunque due turni di stop, la stessa punizione di Juric, reo di una colpa decisamente peggiore.
Ecco, diciamo così: giornalisti e commentatori sono dei rompicoglioni e gettano sale sulle ferite, ma gli arbitri no, proprio non si vogliono bene.

Che poi l’errore di Ayroldi dell’altra sera ha avuto la forza di spostare l’attenzione da quel che sta facendo l’Inter a quel che stanno combinando i fischietti e, francamente, è un vero peccato. I nerazzurri stanno mettendo insieme un’opera d’arte fatta di punti e gran gioco. Contro l’ottimo Genoa di Gilardino è emersa un po’ di fisiologica stanchezza, ma le 12 vittorie in altrettante partite nel 2024 sono un lusso raro, tra l’altro assai celebrato all’estero.
Thierry Henry si è preso il disturbo di spostare pedine virtuali nel salotto della sua trasmissione per lanciare un messaggio: “Inzaghi sta fando un gran lavoro!”. Da noi invece si banalizza troppo spesso, tra un “beh, ha la macchina migliore, avrebbe vinto chiunque al suo posto”, riferimenti alla Red Bull e altre piccole ingiustizie. Mica vero.
Una serie di ingredienti rari e di primissima qualità sono un ottimo punto di partenza per cucinare un grande piatto, ma senza uno chef capace restano solo “ottimi ingredienti”. Inzaghi – 178 vittorie nelle sue prime 300 partite in Serie A, nessuno come lui – non solo gestisce alla grande il suo ristorante, ma è pronto per ricevere la seconda stella, non Michelin (pensa te che roba ci siamo inventati).

Una cosa sul Napoli di Calzona, finalmente tornato ad essere squadra. Il ct della Slovacchia sta rimettendo ordine e davvero non è poco, il resto – va detto – è merito di un giocatore che quest’anno ha molto da farsi perdonare, Osimhen. Le sue assenze sono state un grosso freno per la squadra campione d’Italia, la sua presenza è un toccasana per tutti, Kvara in primis. Contro la Juve il nigeriano non ha giocato una grande partita, ma il solo fatto di attirare su di sé mezza difesa avversaria ha dato ossigeno al georgiano e a tutti gli altri. E davvero non è poco.

Un paradosso, al contrario, ha colpito la Juve. Nel giorno in cui hanno messo su prato la loro prestazione migliore, i bianconeri hanno trovato la sconfitta. “Questo perché Allegri deve giocare il suo calcio pragmatico, altrimenti addio punti!”, dicono i più. Cazzata. La qualificazione alla prossima Champions è garantita, ora la Signora deve iniziare a lavorare su un’impostazione più coraggiosa, un calcio che le permetta di guardare all’Europa con la giusta ambizione. E questo a prescindere da un eventuale (probabile) cambio in panchina (ribadiamo, occhio a Motta). 

Postille finali.

Dia è un fesso, ché certe fortune non vanno buttate nel cesso.

Berardi, al contrario, ha sempre dato il massimo anche quando restare a Sassuolo (vedi la passata estate) era diventato, diciamo così, un sacrificio. Anche per questo si merita tutta la nostra solidarietà.

E proprio il ko di Mimmo fa risuonare l’allarme rosso in casa azzurra. Un tempo ci lagnavamo per la mancanza di prime punte di un certo livello, ora cominciamo a tremare anche sugli esterni: di Berardi abbiamo detto, Zaniolo gioca pochissimo, Zacccagni non è quello della passata stagione, Chiesa dipende sempre dalla condizione fisica. Ci restano El Shaarawy (troppo spesso sottovalutato) e l’ottimo Orsolini, bella espressione del thiagomottismo, un tipo di calcio freschissimo che ora è chiamato alla sfida di sabato con la capolista. Ci sarà da divertirsi.

Ps. finale. Ieri l’ottimo Giovanni Branchini ha chiarito: “Era tutto fatto per Allegri al Real Madrid, ma ha scelto di non lasciare Torino e di tornare alla Juventus”. Molti non credono a questa cosa, ma per quel che può valere, abbiate fede, è andata davvero così.

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