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Fisco, i privilegi del pianeta calcio

Fisco, i privilegi del pianeta calcio
lunedì 10 settembre 2007, 20:562007
di Alessio Calfapietra
fonte Sergio Mutolo per www.Calciopress.net
Il calcio italiano ha un debito stratosferico con l'Agenzia delle Entrate. Mediocremente pilotato a tutti i livelli, si arroga anche il diritto di crearsi privilegi da cui resta escluso ogni cittadino normale. Prova provata di come questo mondo, in t

I club professionistici italiani sono gravati da un debito tributario, nei confronti dell'Agenzia delle Entrate, che nel 2006 ammontava a 538 milioni di euro. Una somma stratosferica.
Tale onere non è correlato al mancato versamento dell'IRPEF, cioè le tasse che si pagano sul reddito prodotto. Ciò perché è notorio che (quasi) tutte le società professionistiche del calcio italiano sono in perdita.
Il debito deriva dal mancato versamento delle ritenute fiscali sugli emolumenti corrisposti ai dipendenti. E, in massima parte, ai giocatori. Infatti, come qualsiasi datore di lavoro normale, i club calcistici avrebbero dovuto versare in qualità di sostituti le imposte che gravano sui salari dei giocatori.

E' successo invece che la gran parte delle società ha arbitrariamente eluso il pagamento di quanto dovuto.
L'Agenzia delle Entrate avrebbe a sua volta l'obbligo di procedere al recupero di queste somme, con tutti i mezzi disponibili. Ivi compresi decreti ingiuntivi e pignoramenti. Strumenti di regola utilizzati nei confronti di ogni altro contribuente.

Secondo alcune correnti di pensiero l'Agenzia delle Entrate potrebbe agire nei confronti dei singoli calciatori, in quanto percettori di reddito, per arrivare al recupero delle somme arretrate.
Ciò potrebbe avvenire in forza di alcune sentenze della Corte di Cassazione. Esse riconoscono l'obbligatorietà del tesserato dipendente di pagare le imposte dovute all'erario da parte del sostituto (in questo caso il club). Fatta salva la possibilità di accordargli potere di rivalsa per inadempienza contrattuale.
In buona sostanza ognuno dovrebbe fare il suo mestiere. Le società, pagare le imposte a titolo di sostituto. Il fisco, recuperare i tributi non versati dalle società inadempienti ovvero dai percipienti reddito. Questi ultimi, infine, procedere a rivalsa nei confronti di un datore di lavoro doppiamente inadempiente: nei confronti del fisco, per il fatto di non agire come doveroso sostituto d'imposta e nei confronti del dipendente calciatore, per non aver ottemperato alle norme sancite da un preciso contratto.
I dirigenti delle società cercano di difendersi parlando di un carico fiscale troppo elevato. Ma questa non è certo una giusta causa per venire meno all'obbligo di legge di fungere da sostituto d'imposta.
Chiunque si può legittimamente lamentare del costo fiscale che colpisce le rispettive attività (negoziante, imprenditore, professionista e quant'altro). Ma alla fine paga o è costretto a pagare. Esattamente quello che il cosiddetto calcio professionistico italiano, ostinatamente, si rifiuta di fare. Da anni.
Questo ha contribuito a creare, di fatto, una categoria privilegiata.