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ESCLUSIVA - Ammoniaci: "Cesena disperato, serve una super Lazio! Pioli? La conferma che la gavetta paga..."
venerdì 30 gennaio 2015, 13:00Esclusive
di Lalaziosiamonoi Redazione
per Lalaziosiamonoi.it
fonte Cristiano Di Silvio-Lalaziosiamonoi.it

ESCLUSIVA - Ammoniaci: "Cesena disperato, serve una super Lazio! Pioli? La conferma che la gavetta paga..."

Sospinti dalle ali dell’entusiasmo da una parte, col groppo in gola di chi sente il baratro sempre più vicino, dall’altra. Cesena-Lazio non è solo un semplice testa-coda, interessante sotto più profili, che il nostro campionato sa ancora offrire. È l’ennesimo banco di prova per entrambe le formazioni: la Lazio, dopo il doppio schiaffone al derelitto Milan, ha capito cosa vuol fare da grande, puntando con decisione a quel terzo posto che però di pretendenti ne ha, eccome se ne ha, quasi fosse la bella del paese. I bianconeri cesenati hanno, invece, le loro grosse difficoltà a corteggiare, nonostante il tradizionale fascino romagnolo, quella sfuggente ragazza chiamata salvezza, a cui non basta l’ultimo fiore colto a Parma perché come in ogni ménage che si rispetti, è la costanza che il gentil sesso apprezza di più. Stati d’animo contrapposti come di più non si potrebbe: i romani, chiuso il “gennaio di ferro” con il lusinghiero bottino di sette punti, strappati a concorrenti come Samp, Roma e Milan (solo col Napoli si è alzata bandiera bianca,senza peraltro demeritare), vivono gli ultimi giorni di calciomercato con trepidazione, perché il duo Tare-Lotito sembra intenzionato a regalare una punta a Pioli, e allora, ecco la girandola di nomi che impazza. In Romagna, nello stesso lasso di tempo e con il nuovo tecnico Di Carlo in panchina, subentrato a uno sconfortato Bisoli, si sono raccolti solo tre punti, arrivati domenica in casa dello schiantato Parma. Il mercato è da “Titanic”: esemplare la parabola di Hugo Almeida (ex obiettivo laziale), passato a Cesena giusto il tempo di familiarizzare con le piadine per poi, dopo soli dieci impalpabili gettoni di presenza, prendere il volo per la Russia - Krasnodar per la precisione - con un lauto contratto in tasca capace di far dimenticare ogni amarezza. Un confronto che pare, dunque, impari. Ma attenzione: non foss’altro per le innumerevoli assenze che la squadra di Pioli farà registrare, la trasferta del Manuzzi va gestita con intelligenza tattica usando le migliori precauzioni contro una squadra ad un passo dalla disperazione. Per provare a capire che incontro sarà, la redazione de Lalaziosiamonoi.it, in esclusiva per i propri lettori, ha contattato Paolo Ammoniaci. Quattro lunghi anni con la casacca biancoceleste, a cavallo tra il ’75 e il ’79, come dire: dopo la gloria e prima della polvere. Oltre alla sua militanza laziale, lui, romagnolo di Bagno di Romagna, vanta poco meno di un decennio di presenze con i cavallucci marini: ben 218 gare dal ’66 all’estate del ’75. Attento e profondo conoscitore delle cose di casa Cesena, a lui abbiamo chiesto di Lazio e delle sue prospettive, dei bianconeri e della loro situazione: ecco cosa ci ha risposto.

Ammoniaci, uno dei segreti di questa Lazio che arriva al Manuzzi col vento in poppa è sicuramente il suo allenatore, Stefano Pioli. Attento, capace di leggere la partita con abilità, coraggioso quanto lo deve essere un tecnico, efficace nel rivalutare giocatori quasi in disarmo. La gavetta, l’esperienza sulle panchine del calcio di provincia, anche scomode, dunque contano se confrontate con la tendenza ultima di promuovere (senza successo), freschi ex giocatori direttamente in prima squadra, come, ad esempio, nel caso del Milan?

Senza dubbio definirei l’impatto che Pioli ha avuto sulla Lazio altamente positivo. Ha dato una dimensione ai biancazzurri; come dice correttamente lei, ha rivalutato, dando loro fiducia e confermandola volta per volta, giocatori che per diverse motivazioni erano ai margini della rosa. Ha avuto coraggio nel puntare su determinati calciatori risolvendo anche dei presunti ballottaggi (penso a Biglia-Ledesma), sfidando anche un certo scetticismo di maniera. È serio, preparato, gran lavoratore e ha un bagaglio di esperienza davvero notevole. Guardi che allenare a Chievo, a Salerno, a Bologna, o meglio, allenare in provincia, non è per niente facile. Lui, facendo una media dei suoi alti e bassi, c’è ampiamente riuscito, tanto da guadagnarsi la panchina di una grande del nostro calcio come è la Lazio. Ora i frutti si vedono: la cosa più evidente che tutta la critica evidenzia è che la Lazio gioca bene, è piacevole da vedere. E merita pienamente la posizione che occupa, così come giustamente il diritto a sperare nella qualificazione Champions.

Proprio nella lotta alla Champions, la rivale più attrezzata e dunque pericolosa, pare essere il Napoli di Benitez. Anche lo scontro diretto, al momento, è in favore dei napoletani. Infine, non è reato pensare che la rosa dei partenopei, al netto delle auspicabili operazioni di mercato in casa Lazio, pare essere un gradino più su di quella a disposizione di Pioli. In questa lotta senza quartiere, e che sarà durissima da qui alla fine del torneo, quanto può contare ed essere di sprone la ventata di entusiasmo che sta avvolgendo l’ambiente laziale? Può rappresentare un’arma nella lotta per il raggiungimento del terzo posto?

Certamente sì. Tutti sappiamo che i risultati aiutano la squadra e l’allenatore nel perseguimento dei propri obiettivi; le vittorie e il bel gioco espresso, poi, aumentano la credibilità del tecnico verso l’esterno ma, soprattutto, agli occhi dei propri giocatori. Ti seguono, sono pronti a sacrificarsi e a dare quel qualcosa in più che molto spesso risolve le partite in tuo favore. Anche la convinzione nei propri mezzi si incrementa e si fortifica: il giocatore si sente più libero di dare fondo alle sua capacità e ai numeri che possiede. Guardando le prestazioni offerte della Lazio in queste ultime partite che, calendario alla mano non erano per nulla semplici, si noterà immediatamente come la Lazio avesse sin da subito voglia di “fare l’incontro”, di far capire all’avversario chi comandava le operazioni in campo. Rispetto al passato, questa intensità, questa volontà, si è riusciti a profonderla per tutta la durata dell’incontro, come il confronto con il Milan ha dimostrato. L’entusiasmo e la motivazione, per riassumere, possono rappresentare una serbatoio importante al quale attingere durante la stagione.

Venendo al match di domenica, non si commette un errore se si definisce la gara contro la Lazio, come l’ultima spiaggia per il Cesena? Qual è il morale dei bianconeri? Come attendono la Lazio?

Sulla carta non c’è confronto, non c’è partita, anche se il Cesena sta giocando meglio nell’ultimo mese. Ma questa è la carta, appunto, le famose bocce ferme. Io credo che l’esito di questa gara sarà il frutto dell’atteggiamento che terrà in campo la squadra di Pioli: se guarda la classifica e finisce per specchiarcisi dentro, saranno problemi, perché rispondere al più che probabile ardore cesenate, con la presunzione delle prime della classe, risulterebbe a dir poco pericoloso per la buona riuscita della missione dei romani, che è quella di uscire indenni e riportare punti a casa. Se invece i biancazzurri avranno la pazienza e la capacità di imporre il proprio ritmo, resistendo con ordine ai tentativi del Cesena, giocando dunque con abnegazione e umiltà, ritengo probabile che la Lazio possa centrare il bersaglio grosso. E prendere tre punti in un campo comunque difficile come il Manuzzi sarebbe l’ennesima dimostrazione di forza e convinzione.

Guardando la classifica del Cesena, verrebbe da dire che il cambio in panchina avvenuto ai primi di dicembre scorso, da Bisoli a Di Carlo, non abbia sortito gli effetti sperati dalla proprietà. Cosa si è rotto nel giocattolo di Bisoli, a cui il tifo bianconero è legato e riconoscente, e cosa non è ancora risuscito ad aggiustare Mimmo Di Carlo?

Ha ragione: Bisoli verrà sempre ricordato con affetto dai tifosi bianconeri per la splendida cavalcata che il Cesena compì dalla Lega Pro alla Serie A nel corso di sole due stagioni (2008-2009 e 2009-2010, ndr) proprio con il tecnico bolognese in panchina. Furono due campionati complicati ma anche ricchi di unità di intenti tra squadra, tecnico e tifoseria, il tutto con la supervisione della società. Sappiamo tutti come andò (Bisoli si dimise, pare in contrasto con alcune scelte societarie, durante l’estate 2010 e la panchina fu affidata a Massimo Ficcadenti, ndr). La scintilla, ricorderete, scoccò di nuovo nel 2012, e anche i risultati non tardarono ad arrivare (salvezza nella serie B 2012-2013 e promozione in serie A l’anno successivo). Ma la serie A era, è e resterà sempre un campionato durissimo che va affrontato seguendo determinati passi obbligati: uno su tutti, quello di possedere una rosa all’altezza. A questo si aggiunga che gli acquisti estivi non hanno reso quanto sperato, su tutti Carbonero (che stenta parecchio) e Almeida (passato senza lasciare traccia). In più va detto che la società non è ancora uscita del tutto dalla crisi economica che l’ha insidiata a più riprese, per combattere la quale si è scelto di contenere, e di molto, i costi per la rosa. La stessa soluzione Di Carlo va inquadrata in questo modus operandi: non potendo cambiare direttamente i giocatori, si è preferito cambiare la guida tecnica. Il tecnico ciociaro ha portato, a differenza di Bisoli, un’impostazione globale nel gioco della squadra, mentre l’ex tecnico preferiva sviluppare la manovra cercando di esaltare di più le individualità a sua disposizione. Diverse filosofie che, però, al momento non segnano forte discontinuità l’una dall’altra, anche se va detto che con Di Carlo in panchina la squadra appare più concentrata.

Per concludere, ritiene anche lei, seppur imparagonabile rispetto al calcio da lei giocato, che il nostro movimento sia in una fase di declino, di scarso appeal, e se così fosse da dove ripartire, anche per tornare a valorizzare quel calcio di provincia che ai suoi tempi qualche realtà che ha fatto storia sapeva esprimerla, come il Perugia di Castagner o il Verona di Bagnoli?

Guardi, dal primo tifoso all’ultimo massaggiatore, tutti hanno dato un parere circa lo stato di salute del nostro calcio, perché è evidente essere un argomento che sta a cuore. Per rispondere alla sua domanda, sì, anche io credo che il calcio italiano sia in una fase di involuzione, di scarsa fantasia rispetto al calcio giocato nelle altre nazioni. È sotto gli occhi di tutti come il calcio italiano sia oramai invaso da professionisti provenienti dal resto del mondo, spesso e volentieri di poca qualità e scarso arricchimento per il nostro campionato. La stessa Nazionale si ritrova a fare i conti con questa pesante condizione, obbligando i tecnici federali a trovare un rimedio, non sempre così celere ed efficace. Va anche sottolineato come, a differenza del calcio tedesco o inglese, il giovane da noi non viene sostenuto così convintamente da essere fatto giocare in prima squadra perché si è ancora troppo schiavi del risultato per accettare la presenza della gioventù anche su palcoscenici importanti e sotto gli occhi di tutti. Io, però, ci spero e credo che il nostro modo di vedere il calcio possa cambiare e adeguarsi agli standard europei. Altrimenti la salita si farà ancora più ripida.