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Kovacic, la tragica parabola del calciatore divenuto contadino

Kovacic, la tragica parabola del calciatore divenuto contadinoTUTTO mercato WEB
© foto di Marco Murani/TuttoLegaPro.com
venerdì 25 aprile 2014, 20:002014
di Gaetano Mocciaro

Sono in molti gli stranieri a non aver lasciato il segno nel campionato italiano. E se le limitazioni fino a metà anni '90 avevano centellinato il numero di bidoni e meteore con la sentenza Bosman si è praticamente perso il conto dei giocatori transitati senza lasciar traccia in Italia. Qualcuno di essi ha con sé delle storie curiose, come nel caso di Miljenko Kovacic, un uomo che ha avuto il coraggio di lasciare il mondo del calcio professionistico optando per la religione e per la campagna.

È il 1996 e il Brescia pesca il giocatore, allora 23enne, dal Croatia Zagabria. In patria ha raccolto un buon numero di presenze e qualche gol. È un'ala che ha come caratteristica principale la velocità. Il soprannome "Figlio del vento" rende bene l'idea.

Il tecnico Edi Reja dopo un paio di mesi di naftalina lo lancia a gennaio e da lì fino a fine stagione raccoglie 16 presenze, trovando anche 2 reti. Il Brescia va a vele spiegate verso la Serie A, anche se non si può dire che il croato sia protagonista di questa cavalcata. Per lui sempre spezzoni più o meno lunghi di gara dove si mostra sì un'ottima velocità, ma per lo più fine a sé stessa, senza spunti alternativi: semplicemente un percorrere la corsia destra. Il giocatore evidentemente è da sgrezzare, tuttavia le cose per la squadra vanno bene e alcune magagne non si notano più di tanto.

La squadra vince il campionato di B e nonostante i limiti mostrati a Kovacic viene data la seconda chance, chissà che magari non si ambienta e prende le misure col calcio italiano. Il nuovo allenatore per il massimo campionato è Giuseppe Materazzi, che non vede proprio il croato. Gli basta solo vederlo in allenamento, poi in campo ce lo manda in appena 2 occasioni. Il Brescia a fine anno retrocede, la dirigenza non riesce a trovargli una sistemazione adeguata, Kovacic rimane in rosa ma nemmeno il nuovo tecnico, Silvio Baldini, lo vede. Se con Materazzi il giocatore può vantare 2 gettoni di presenza stavolta ciò che raccoglie è solamente una convocazione.

A fine 1998 il colpo di scena: stufo della situazione Kovacic rescinde il contratto e abbandona il mondo del calcio a soli 25 anni. La sua scelta in un mondo come quello del pallone è davvero singolare: decide di dedicarsi alla preghiera e a coltivare i campi. Kovacic torna in Croazia a fare il contadino e segue la religione di Krishna. "La grinta e l'aggressività dell'attaccante non mi appartengono più o forse non mi sono mai appartenute" dirà.

La vita tra campi, mucche e preghiera dura 2 anni. La voglia di giocare a calcio ritorna e Kovacic si rimette gli scarpini e aiuta il Vrbovec, squadra del paese dove si era stabilito. Poi torna allo Slaven Belupo, club che l'ha lanciato come calciatore. Kovacic ci prende gusto, gioca e segna con frequenza, tanto da farsi notare ancora una volta oltreconfine: nel 2003 è l'Hapoel Petah Tiqwa che lo chiama e lui prende il volo per Israele. Una stagione da titolare, poi il ritorno a casa, dapprima per rivestire la maglia dello Slaven Belupo, poi il dietrofront e il ritiro, questa volta definitivo, in campagna.

Una vita tranquilla che viene improvvisamente spezzata in un giorno di agosto del 2005: in sella alla sua moto Kovacic si schianta a tutta velocità in autostrada, mentre viaggiava verso Zagabria. Kovacic muore a 32 anni. Il "figlio del vento" se ne va per la troppa velocità: un segno beffardo del destino.