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Petković, il serbo innamorato del pallone e del Brasile

Petković, il serbo innamorato del pallone e del BrasileTUTTO mercato WEB
© foto di Federico De Luca
venerdì 7 dicembre 2012, 07:302012
di Gaetano Mocciaro

Il Venezia 1998-99 dopo un avvio disastroso che lo vede già spacciato a metà campionato, da gennaio in o riesce a compiere una rimonta di quelle clamorose per il nostro calcio. Gran merito va alle reti di Pippo Maniero e soprattutto ai colpi di genio di Alvaro Recoba, giovane promessa presa dall'Inter un anno prima e approdato in laguna nel gennaio 1998 per giocare con continuità. L'operazione non poteva essere più azzeccata, Recoba trova la stagione della vita, segna 11 reti in 19 partite e sforna assist a ripetizione. A fine stagione i veneti chiuderanno in decima posizione, quattro punti sopra la zona retrocessione.
A fine torneo l'uruguayano raggiunge lo scopo, tornando all'inter in pompa magna. Il Venezia si ritrova così alla ricerca di un giocatore all'altezza per una nuova lotta alla salvezza. Si punta a prendere un giocatore che abbia lo stesso estro, la stessa bravura a illuminare la scena e così i dirigenti lagunari vanno in Brasile e tornano con un serbo. Ebbene sì, non è un errore: caso più unico che raro il Brasileirão, poco avvezzo ad avere giocatori non sudamericani, ha da due stagioni Dejan Petković, trequartista nativo di Majdanpek, paesino della Sebia centrale. Il giocatore incanta nel Vitoria di Bahia, arrivatovi nel 1997 dopo alcune esperienze poco felici in Spagna dove riesce a vestire persino la maglia del Real Madrid. Le merengues lo notano nel 1995 quando 23enne ha già alle spalle un centinaio di presenze con lo Stella Rossa, col quale vince un campionato e due coppe nazionali. A Madrid non si impone, trova pochissimo spazio e viene prestato prima al Siviglia e poi al Racing Santander dove raccoglie poche presenza. L'esperienza brasiliana al Vitoria lo rilancia e accolto con curiosità riesce a incantare la Torçida segnando 16 reti in 29 partite e vincendo il campionato bahiano.

È l'estate 1999 e a Venezia ci si prepara per la seconda stagione di fila in A. Non c'è più in panchina Walter Alfredo Novellino, al suo posto l'emergente Luciano Spalletti, che punta subito su Petković, in coppia con Maniero. In campo i numeri si vedono: Petković da buon slavo ama i dribbling, la giocata individuale. Pure troppo. E se in Serbia e in Brasile questo stile può funzionare in Italia sei mangiato dai difensori avversari. Lui gioca benino all'esordio con l'Udinese, poi va in gol alla terza partita contro la Roma. Il pubblico si illude ma lo spettacolo dura poco. In breve tempo gli avversari capiscono il giochetto, lui dal canto suo gioca per sé facendo arrabbiare i compagni di reparto e l'allenatore.
Innamorato della palla, anche in allenamento dà sfoggio alla sua natura egoistica, cercando prima di tutto la giocata personale e in seconda battuta il gioco di squadra. Ma il Venezia non può permettersi tanto lusso, deve salvarsi e ha bisogno di gente più concreta. A farne le spese all'inizio è proprio Spalletti, ma considerato che il presidente dell'epoca è Zamparini non è una novità. A gennaio la squadra è con l'acqua alla gola e capisce che bisogna cambiare rotta: Petković inizia per giunta a soffrire come un brasiliano vero di Saudade: non c'è pretesto migliore per sbarazzarsene a gennaio. E così è: il giocatore fa le valigie a gennaio e va al Flamengo. Per lui 13 presenze in campionato, venendo sostituito a partita in corso per 7 volte. Al suo posto il Venezia prende Maurizio Ganz, uno che bada al sodo facendo ciò che gli viene chiesto: il gol. Non basterà ai lagunari per salvarsi, al contrario Petković torna a brillare nel Paese che lo ha adottato: vince due campionati di Rio de Janeiro, prima di finire al Vasco da Gama prima e nei campionati asiatici poi, prima in Cina allo Shanghai, poi in Arabia Saudita all'Al-Ittihad. Parentesi che serve a guadagnare qualche dollaro in più, prima di rientrare ancora una volta in Brasile, dove giocherà fino a 39 anni, chiudendo la carriera al Flamengo, dove viene ricordato come un idolo.