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25 anni dopo ViennaTUTTO mercato WEB
© foto di Lorenzo Di Benedetto
venerdì 22 maggio 2015, 21:46Storia Rossonera
di Giuseppe Bosso
per Milannews.it

25 anni dopo Vienna

23 maggio 1990. Nozze d'argento con la vittoria sul Benfica, seconda Coppa dei Campioni consecutiva per Sacchi

Il Milan campione d’Europa 1989 si presenta ai nastri di partenza della stagione 1989-90 con una rosa molto più ampia rispetto alla stagione precedente. La vittoria di Barcellona ha infatti regalato ai ragazzi di Sacchi il pass per disputare, tra novembre e dicembre, la Supercoppa Europea contro i blaugrana freschi vincitori della Coppa delle Coppe (ai danni della Sampdoria in finale) e la Coppa Intercontinentale che a Tokyo li avrebbe visti opposti ai colombiani del Nacional Medellin, campione del Sudamerica. La società , per poter onorare le cinque competizioni che la squadra dovrà affrontare, mette dunque a disposizione di mister Arrigo tanti nuovi elementi: dall’Ascoli viene acquistato il portiere Andrea Pazzagli, spesso protagonista nei confronti con i marchigiani; dalla Fiorentina arrivano il difensore Stefano Carobbi, il centrocampista Stefano Salvatori e il centravanti Stefano Borgonovo, che in coppia con Roberto Baggio ha formato un tandem formidabile, che ha permesso ai toscani di qualificarsi alla Coppa Uefa; dal Torino arriva il centrocampista Diego Fuser, dal Como il promettente centravanti Marco Simone e dal Monza e dalla Roma, dove erano stati mandati in prestito, il centrocampista Giovanni Stroppa e il centravanti Daniele Massaro; in uscita, i tifosi milanisti salutano Pietro Paolo Virdis, che dopo una stagione altalenante tra molte incomprensioni con l’allenatore di Fusignano ha preferito la tranquillità di Lecce per concludere una carriera esaltante che l’ha comunque visto grande protagonista dei primi successi dell’era berlusconiana.

Ma più che al mercato, l’attenzione dei tifosi rossoneri in quella calda estate dell’anno che precede Italia ’90 è rivolta all’infermeria; Ruud Gullit ha pagato la decisione di accelerare i tempi del recupero per essere presente contro lo Steaua nella magica notte del 24 maggio con un nuovo infortunio al ginocchio, che lo costringerà ai box per buona parte di quella stagione. E così, la rincorsa del Milan allo storico bis nella massima competizione europea, perde già in partenza uno degli annunciati protagonisti.

Il calcio italiano si presenta, così, ai nastri di partenza della nuova stagione con due rappresentanti in Coppa dei Campioni: come già era accaduto nella stagione 1963-64 il Milan campione d’Europa viene affiancato dai cugini dell’Inter di Trapattoni, scudettati record; ma mentre negli anni ’60 lo squadrone di Helenio Herrera pose le basi per il suo ciclo d’oro vincendo alla grande quell’edizione mentre il Milan di Rivera sarebbe stato eliminato al secondo turno dal Real Madrid (poi battuto in finale dai nerazzurri a Vienna) il cammino europeo di Bergomi e compagni ha vita breve e amara. Accoppiati ai modesti svedesi del Malmoe (guidati dall’inglese Roy Hodgson, futuro mister interista) i nerazzurri vengono battuti in Scandinavia per 1-0 e a San Siro, nonostante il vantaggio firmato da Serena, a 10 minuti dalla fine arriva la doccia gelata del pareggio svedese, che stronca sul nascere le ambizioni del presidente Pellegrini e del Trap, che probabilmente a partire da quel momento vivranno le incomprensioni che, un anno dopo, porteranno il tecnico di Cusano Milanino a decidere di tornare alla Juventus.

Avversario scandinavo anche per il Milan, che però a differenza dei cugini non ha problemi a sbarazzarsi dei modesti finlandesi dell’Hjk Helsinki, sconfitti a San Siro con un netto 4-0 la sera del 13 settembre 1989 (reti di Stroppa, Evani e doppietta di Massaro) ipotecando già la qualificazione, tanto che in Finlandia, due settimane dopo, mister Arrigo può permettersi di schierare le seconde linee, come il giovanissimo Lantignotti, che serve a Borgonovo l’assist per il gol-partita.

Ma il cammino che separa i ragazzi di Sacchi dall’atto finale, in programma al Prater di Vienna per il 23 maggio 1990, è ancora lungo e sarà tutt’altro che agevole come è stato il primo turno… e lo si capisce subito due giorni dopo la vittoria di Helsinki, quando l’urna di Ginevra, nel determinare gli accoppiamenti per gli ottavi di finale, gioca un bruttissimo scherzo ai campioni in carica, abbinandoli nuovamente al Real Madrid campione di Spagna, umiliato in semifinale nella precedente edizione e quindi più che mai voglioso di rivincita.

L’imminente impegno europeo distrae la squadra rossonera dal campionato, e così, prima della gara di andata in programma a San Siro il 18 ottobre, arrivano due inopinate sconfitte in campionato, la prima a Napoli per mano degli azzurri primi solitari, che piegano i rossoneri con un netto 3-0 firmato Carnevale e Maradona, e poi, la domenica seguente, contro la neopromossa Cremonese, già pericolante in classifica ma capace di imporsi con una rete dell’argentino Dezotti. Unica nota positiva della trasferta contro i grigiorossi il ritorno in campo, dopo un infortunio che l’aveva colpito in estate, di Marco Van Basten, che è pronto a pungere ancora una volta il Real. E infatti, sia pure in maniera meno roboante del  5-0 con cui i blancos erano stati regolati in primavera, il Milan ha la meglio dei rivali con un netto 2-0 firmato da Rijkaard e dallo stesso Van Basten su rigore, nei primi minuti della sfida. Il risultato sembra mettere al sicuro il passaggio ai quarti, nonostante un altro, clamoroso, k.o. in campionato rimediato ad Ascolti contro l’ultima in classifica; ma il Real non ci sta a essere beffato un’altra volta,  tantomeno i tifosi spagnoli che, la sera del 1 novembre, fanno trovare ai rossoneri un Bernabeu a dir poco infuocato. Ma la diga rossonera tiene, subisce il gol dello 0-1 firmato da Butragueno alla fine del primo tempo, regge ai falli e alle provocazioni madridiste nella ripresa, e alla fine con un sapiente uso del fuorigioco e delle ripartenze malgrado la prima sconfitta in Coppa dei Campioni dell’era Berlusconi la missione è compiuta. Ancora una volta la stampa iberica deve inchinarsi di fronte al pragmatismo e alla sagacia del tecnico di Fusignano, che verrà negli anni seguenti blandito e inseguito anche dalla nuova dirigenza merengues, fino a diventarne collaboratore tecnico all’inizio degli anni 2000.

Messa da parte fino alla primavera la Coppa dei Campioni, il Milan può tornare a concentrarsi sul campionato e sugli altri impegni internazionali, che lo vedranno prevalere sia in Supercoppa Europea che in Coppa Intercontinentale, grazie a due magistrali punizioni di Alberigo Evani, vero e proprio uomo provvidenza in questi mesi, in cui con una serie strepitosa di 17 risultati utili consecutivi  i rossoneri riusciranno ad agganciare e a sorpassare un Napoli che pareva già avviato alla conquista del tricolore in anticipo.

C’è comunque molta curiosità e apprensione in attesa di conoscere il nome della rivale per i quarti di finale tra le altre sette superstiti nell’urna di Ginevra: sono rimasti in corsa gli olandesi del Psv Eindhoven, ex squadra di Gullit, e il Benfica campione di Portogallo, finaliste due anni prima a Stoccarda; il Bayern Monaco campione della Germania Occidentale nell’anno della caduta del muro e della storica riunificazione con l’Est; l’ambizioso Olympique Marsiglia del vulcanico e spregiudicato presidente Bernard Tapie, smanioso di successi anche in Europa oltre che in patria; e tre vere e proprie mine vaganti, squadre meno blasonate delle rivali ma non meno insidiose: i bulgari del Cska Sofia (allora Stredes Sofia), il Dnipro oggi finalista di Europa League, all’epoca riuscito nell’impresa di vincere il campionato dell’Unione Sovietica e, soprattutto, la grande incognita rappresentata dai campioni del Belgio del Mechelen, squadra ostica e temibile, che il pubblico italiano aveva imparato a conoscere nelle ultime due stagioni in Coppa delle Coppe, dove in semifinale aveva affrontato prima la sorprendente Atalanta di Emiliano Mondonico, partecipante alla competizione in quanto finalista in Coppa Italia l’anno prima contro il Napoli campione d’Italia nonostante la retrocessione che l’aveva portata a giocare in Europa dalla serie B, eliminando i bergamaschi e aggiudicandosi la Coppa contro l’Ajax detentore; e poi, l’anno dopo, sempre in semifinale, aveva fatto penare non poco la Sampdoria di Vialli e Mancini. Punti di forza dei giallorossi belgi, ben rappresentati nella nazionale fiamminga futura protagonista a Italia ’90, sono gli esperti centrocampisti Versavel e Wilmots e, soprattutto, l’estremo difensore Michel Preud’homme, degno esponente di una rinomata scuola di estremi difensori che, negli anni precedenti, aveva avuto in Jean-Marie Pfaff e Jacky Munaron i miglori e conosciuti precursori.

La gara di andata si gioca, il 7 marzo 1990, all’Heysel, lo stadio della strage di 5 anni prima; Franco Baresi, capitano della prima squadra italiana a tornare sul luogo della tragedia, omaggia con una corona di fiori a nome della società la curva dove morirono, schiacciati dalla follia hooligans, i tifosi juventini.

Superata la commozione, si gioca, e fin da subito il Milan capisce che l’avversario è a dir poco tosto; Giovanni Galli, in quel periodo in polemica con Sacchi per la decisione di alternarlo di continuo con Pazzagli, è il grande protagonista di una serata di grande sofferenza per il mister di Fusignano, che a causa delle numerose assenze è costretto ad arretrare Rijkaard in difesa; un palo e un gol annullato all’olandese Rutjes certificano la prova incolore dei rossoneri, che comunque resistono agli assalti belgi e portano a casa un pareggio a reti bianche che in vista del ritorno è di buon auspicio.

Ma il ritorno delle gare di Coppa e lo stress per una stagione estenuante inizia a pesare sulle spalle dei rossoneri, che nel giro delle due settimane che precedono il match di ritorno rimediano due sonore sconfitte in campionato, per mano di Juventus (3-0) e Inter (3-1), di cui fortunatamente il Napoli inseguitore non sa approfittare, totalizzando nella doppia trasferta di Lecce e Genova, sponda Samp, appena un punto, rimanendo comunque a una lunghezza dal Milan.

Mercoledì 21 marzo 1990. Una data destinata a rimanere nella memoria dei tifosi milanisti come una delle serate più sofferte ed esaltanti della pluricentenaria storia rossonera; ferito dal doppio k.o. in campionato il Milan cerca riscatto, e il Mechelen, a differenza dell’Heysel, viene schiacciato fin dal primo minuto; ma le scorribande di Van Basten, Massaro, Donadoni ed Evani trovano quasi sempre ultimo insuperabile scoglio Preud’homme, che riesce a neutralizzare tutte le conclusioni rossonere. Al ’90, al fischio di chiusura dell’arbitro Rothilsberger, il risultato è ancora inchiodato  sullo 0-0, rendendo così necessari i tempi supplementari, che il Milan può giocare in superiorità numerica perché il Mechelen è rimasto in dieci con l’espulsione del centrocampista Cljisters; ma la buona sorte sembra voltare le spalle ai rossoneri quando la parità numerica viene ristabilita all’inizio dell’extra time: Roberto Donadoni, in modo insensato e incomprensibile, spintona un avversario a gioco fermo e si vede sventolare il rosso da Rothilsberger, che per lui significa tre giornate di squalifica e fine anticipata, comunque andrà, della Coppa dei Campioni per la stagione in corso.

La strategia del Mechelen sembrerebbe quella di resistere alle scorribande rossonere per poi giocarsi la qualificazione ai calci di rigore, altra specialità di Preud’homme, e sembra proprio che sia questo l’epilogo a cui la sfida va incontro, quando  all’ultimo minuto del primo supplementare la svolta: da una punizione deviata dalla barriera, Tassotti, con un balzo felino evita che la palla finisca fuori, scavalca Preud’homme in uscita e serve Van Basten che deve solo metterla dentro, facendo esplodere San Siro come non mai; i belgi hanno solo il tempo di mettere palla al centro e di effettuare il cambio campo, frastornati e costretti immediatamente a dover rivedere strategia, dovendosi necessariamente buttare all’attacco nella speranza di poter ancora acciuffare la qualificazione.

Così facendo, però, si aprono praterie sconfinate per il Milan, che colpisce ancora una volta a quattro minuti dalla fine: Marco Simone, subentrato ad Ancelotti, raccoglie palla a centrocampo, dribbla due difensori e gela Preud’homme in uscita, mandando nuovamente in visibilio San Siro e chiudendo la pratica Mechelen. Nel dopopartita Sacchi dirà che prestazioni come questa, sofferta e intensa, restano nella memoria della gente e dei tifosi, e sarà proprio così negli anni a venire, anche quando il mister di Fusignano avrà definitivamente abbandonato il calcio da allenatore.

Ben quattro sono le squadre italiane che si presentano al sorteggio per le semifinali delle tre competizioni europee a Ginevra, con la concreta possibilità di trionfare su tutti i fronti: la Sampdoria è attesa dal Monaco per staccare il ticket per la finale di Coppa delle Coppe a Goteborg, mentre in Coppa Uefa Juventus e Fiorentina dovranno affrontare Colonia e Werder Brema, in una sfida incrociata italo-tedesca che coinvolge anche il Milan, che come ultimo scoglio verso Vienna dovrà superare il Bayern Monaco, mentre nell’altra confronto il Benfica se la dovrà vedere con l’Olympique Marsiglia.

I bavaresi, da tempo assenti dall’albo d’oro della Coppa dei Campioni dopo il tris di successi consecutivi centrati negli anni ’70 all’epoca di Franz Beckembauer, nella precedente stagione 88-89 in Coppa Uefa hanno sbancato San Siro elminando l’Inter agli ottavi di Coppa Uefa, battendo per 3-1 i futuri campioni d’Italia che pure si erano imposti all’Olympiastadion per 2-0 con uno spettacolare gol di Berti, partito da centrocampo. Molti di loro fanno parte della nazionale, guidata da Kaiser Franz, che avrebbe trionfato di lì a poco.

Ma quando il Milan gioca per la Coppa dei Campioni ed è in serata, non ce n’è per nessuno: e così il 4 aprile 1990, gara di andata, come era successo contro il Mechelen a farsi avanti è solo la squadra rossonera, che però ancora una volta dopo Preud’homme trova un estremo difensore in serata di grazia: Raimond Aumann, veterano del club bavarese, che supportato da una difesa rocciosa in cui spicca il futuro juventino Jurgen Kohler, una vera spina nel fianco per Marco Van Basten in quegli anni, dice no a tutte le scorribande rossonere;  il muro bavarese crolla a quindici minuti dalla fine, quando Borgonovo viene atterrato in area; ancora una volta Marco Van Basten, come gli era capitato un anno prima contro il Werder Brema, non sbaglia ed è decisivo dagli undici metri. L’1-0 lascia aperto il discorso-qualificazione, così come il 2-1 con cui al Velodrome l’Olympique piega il Benfica. I tedeschi, malgrado la sconfitta, ostentano sicurezza in vista della gara di ritorno, promettendo di battere i rossoneri.

Quattro giorni dopo il match di andata il campionato conosce la svolta, decisiva e polemica: mentre a Bologna il Milan viene graziato dall’arbitro Lanese che non concede un lampante gol dei rossoblù con palla che aveva nettamente scavalcato la linea, a Bergamo il Napoli non riesce a scardinare la retroguardia dell’Atalanta, quando a pochi minuti dalla fine una monetina lanciata dagli spalti colpisce il brasiliano Alemao: vittoria a tavolino per il Napoli, che così aggancia i rossoneri a tre giornate dalla fine.

Accantonando le polemiche, il Milan vola in Germania, per difendere il vantaggio accumulato a San Siro e staccare il ticket per Vienna; ma, dopo aver impensierito più volte Aumann, a metà ripresa i ragazzi di Sacchi pagano un momento di distrazione, venendo infilati da Strunz, talentuoso centrocampista che un paio di anni dopo , quando sulla panchina tedesca sarebbe approdato Giovanni Trapattoni, avrebbe fatto notizia per una esilarante conferenza stampa con tanto di sfuriata dell’istrionico mister di Cusano Milanino.

Il Milan accusa il colpo, ma il Bayern non riesce a raddoppiare e per la seconda volta consecutiva, dopo il Mechelen, i rossoneri sono costretti all’extra time. Mister Arrigo ha la felice intuizione di potenziare il reparto offensivo inserendo, al posto di Stroppa, Stefano Borgonovo, che sul finire del primo tempo supplementare trova il jolly, freddando Aumann con un lezioso pallonetto che fredda gli entusiasmi dei tifosi bavaresi e pare chiudere la pratica; il Bayern non ci sta, si riporta avanti all’inizio del secondo supplementare con McInally, ma non riesce a pungere ulteriormente la retroguardia rossonera, rischiando di subire il 2-2 ancora da Borgonovo che, di poco, manda fuori dopo aver scavalcato Aumann. Al fischio di chiusura delusione Bayern e gioia Milan; ad esultare con in compagni sul terreno dell’Olympiastadion anche Ruud Gullit, finalmente pronto per tornare in campo dopo mesi di lunga e snervante attesa.

Purtroppo il ritorno in campo del Tulipano Nero, quattro giorni dopo, coincide con l’addio ai sogni scudetto nella famigerata ‘fatal Verona 2’, che vede i rossoneri soccombere più che ai gialloblù al pessimo arbitraggio di Lo Bello, che espelle in rapida successione Rijkaard, Van Basten (che per protesta getta la maglia a terra), Costacurta e mister Sacchi; il Napoli espugna Bologna e ipoteca il tricolore, conquistato in casa nell’ultima partita una settimana dopo.

Sfumata anche la Coppa Italia, che la Juve si aggiudica tre giorni dopo a San Siro, al Milan per superare le delusioni non resta che riconquistare la Coppa più importante; a Vienna, ad attendere i rossoneri, c’è il Benfica, che ha avuto la meglio sull’Olympique grazie a un contestatissimo gol di mano del difensore Vata; i lusitani 27 anni prima erano stati avversari dei rossoneri nella finale di Wembley che, dopo l’iniziale vantaggio portoghese firmato da Eusebio, aveva visto prevalere il Milan di Rocco, prima squadra italiana sul tetto d’Europa, grazie ad una doppietta di Altafini.

Sulla panchina del Benfica da un anno siede Sven Goran Eriksson, reduce da una lunga esperienza italiana, sulle panchine di Roma e Fiorentina (e atteso da un’altrettanto lunga parentesi nel nostro campionato anni dopo, che l’avrebbe visto conquistare uno storico scudetto nel 2000 sulla panchina della Lazio) che guida un collettivo formato da future conoscenze del nostro calcio, dal portiere Silvinho (assistente di Mourinho da una vita, compresi gli anni interisti) al difensore Aldair, prossimo a passare alla Roma.

Non è una finale spettacolare come quella di un anno prima a Barcellona; se lo Steaua era stato annientato senza problemi dai ragazzi di Sacchi, che si presentano al Prater con la stessa formazione, con l’eccezione dello squalificato Donadoni, egregiamente sostituito dal sempre prezioso Evani, il Benfica è guardingo, coperto; i 57mila spettatori presenti (non si ripete l’esodo di 90mila anime rossonere che avevano invaso la Catalogna) assistono ad una partita a scacchi tra due avversari che si studiando, cercando di approfittare del minimo errore del’antagonista per colpire. Al 69’, proprio nel momento di maggiore stasi, la svolta e l’apoteosi: una triangolazione Costacurta-Van Basten-Rijkaard permette al centrocampista olandese di presentarsi a tu per tu con Silvinho e di infilarlo, facendo esplodere l’entusiasmo dei tifosi rossoneri, che iniziavano a temere l’ennesimo epilogo ai supplementari. Il Benfica, colpito, non riesce a reagire; Gullit prova a celebrare il pieno ritorno in campo con una rete, ma manca il bersaglio; al fischio finale del tedesco Kohl la gioia può esplodere. Per l’Italia, che centra lo storico traguardo mai raggiunto prima di tre successi in tutte le Coppe (la Sampdoria ha avuto la meglio a Goteborg sull’Anderlecht vincendo la Coppa delle Coppe mentre la Juventus, nella prima finale tutta italiana della Coppa Uefa, ha superato la Fiorentina, che recrimina per aver dovuto giocare la gara di ritorno ad Avellino, città ad alto tasso di juventinità); per il Bologna, che con il successo rossonero approda alla Coppa Uefa dell’anno successivo; ma soprattutto è festa Milan, ultima squadra ad aver conquistato per due anni consecutivi la Coppa più ambita, da venticinque anni a questa parte. Qualche lacrima per due campioni al passo d’addio: Giovanni Galli, ceduto al Napoli in quei giorni, e Angelo Colombo, destinato al Bari. Gioia per Berlusconi (“mi auguro che questo Milan di eroi positivi faccia nascere nei giovani la voglia di essere imitati”), per capitan Baresi che a distanza di dodici mesi riceve nuovamente la Coppa dal presidente Uefa Lennart Johansson; per il trio olandese, ancora una volta decisivo; e per mister Arrigo, che però, forse proprio quella sera, inizia a maturare la decisione di lasciare la panchina rossonera, presa un anno dopo, in attesa di essere chiamato alla guida della nazionale azzurra.