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Da Zero a Dieci: l’aggressione in panchina, l'incredibile ritorno di Cavani, l’intervento medico su Josè e la dichiarazione tanto attesa
giovedì 29 settembre 2016, 11:14In Primo piano
di Arturo Minervini
per Tuttonapoli.net

Da Zero a Dieci: l’aggressione in panchina, l'incredibile ritorno di Cavani, l’intervento medico su Josè e la dichiarazione tanto attesa

(di Arturo Minervini) - Zero al calo di tensione nel finale. E come se Usain Bolt alla finale dei 100 metri di Rio, dopo aver messo tra se e gli avversari più distanza che si crea tra una coppia quando lui le dice che non è vestita bene, avesse iniziato a verificare le forme di vita aliena formatesi nel suo ombelico nella notte precedente, bighellonando sulla pista. La vittoria, in uno sport di squadra, non è un istante, ma tanti istanti fatti allo stesso modo. E nel modo giusto. Con la giusta testa. Il grande e sempre compianto Boskov direbbe: “Goduria è quando arbitro fischia tre volte. Se inizia prima, si chiama paura”.

Uno il gol segnato da Guedes. Che ci frega, direte voi? Fondamentalmente niente, ma piace rimarcare la dedizione di Maurizio Sarri e la sua deontologia nella preparazione di ogni sfida. Alla vigilia aveva dichiarato: “Guedes mi ha davvero impressionato”. Vedendo i pochi sprazzi di classe di questo ’96 è facile essere d’accordo, eppure Rui Vitoria lo ha tenuto in panchina per 67’. Probabilmente se Sarri fosse stato sulla panchina del Benfica, sarebbe stata molto più dura per il Napoli. Il fenomeno ce l'abbiamo noi!

Due esordi in azzurro. Finalmente. Così sarete contenti, perché questa questione mi stava facendo soffrire più di un vegano che non ha ancora potuto professare il suo credo ad una nuova comitiva. Ora sarete più completi, come androgini che ritrovano la loro metà. Bisognava trovare un punto debole nel Napoli, accusare Sarri di qualcosa. La necessità porta Maksimovic in campo dopo 11’ minuti, la scelta di premiare un lavoratore (Maurizio ha un debole per quelli che hanno dovuto sudarsi ogni cosa) porta Giaccherini in campo nel finale. Altri due tasselli inseriti nel puzzle. Ne mancano altri tre e questo Napoli fa già impressione.

Tre reti in due gare di Champions. Con il Benfica la grande rivelazione: si è palesato al mondo il nuovo rigorista azzurro. Milik timbra ancora il cartellino europeo e trasmette sempre più la sensazione di essere al posto giusto nel momento giusto. Come una moneta che ritrovi sul tappetino dell’auto che ti permette di pagare il casello senza dover cambiare una banconota di grosso taglio e ritrovarti con dodici chili di resto, il polacco sembra fare sempre quello di cui il Napoli ha bisogno. È un bomber al servizio del Napoli e non il contrario (ogni riferimento a cosa, personaggi, traditori, vigliacchi, fuggitivi è puramente casuale). Non eccede, come un maglione marrone che puoi abbinare ad ogni colore. Non vincerà il premio come “Miglior vestito della festa”, ma farà sempre la sua porca figura. 

Quattro reti realizzate ed un tassametro che corre più di quello di De Niro in Taxi Driver. Con una grande differenza. De Niro parlava di una “solitudine m'ha perseguitato per tutta la vita. Dappertutto: nei bar, in macchina, per la strada, nei negozi, dappertutto. Non c'è scampo: sono nato per essere solo”. Questo Napoli esprime il concetto diametralmente opposto. Tanti individui che si fondono in un tutto. Sono già 20 le reti realizzate in 8 gare, tutte così diverse una dall’altra. Tutte parte di una storia fantastica, parole che si mescolano tra le pagine di un libro per dare vita ad una fiaba fantastica. Dopo appena otto pagine muori già dalla voglia di leggere quella successiva, di vedere come va a finire.

Cinque alla brutale aggressione di Cristiano Giuntoli a Maurizio Sarri dopo il primo gol azzurro. Placcaggio degno di Bud Spencer (quanto ci manchi Bud) in “Lo chiamavano Bulldozer”. Esplosione di gioia così pura, genuina, che arriva dai campi di periferia, tra due che ce l’hanno fatta a prendersi le copertine, dopo anni a lavorare strappando al massimo un trafiletto in ultima pagina. É la felicità più grande, quella che arriva dopo il sacrificio. Non c’è niente di più appagante di un mondo che riconosce i tuoi sforzi. Non c’è niente di più degradante di un mondo che premia i raccomandati. Anche gli operai vanno in Paradiso. 

Sei a Marek Hamsik, ed il motivo è presto spiegato. “Sei è un numero perfetto di per sé, e non perché Dio ha creato il mondo in sei giorni; piuttosto è vero il contrario. Dio ha creato il mondo in sei giorni perché questo numero è perfetto, e rimarrebbe perfetto anche se l'opera dei sei giorni non fosse esistita”. Ed allora non esiste numero migliore da assegnare a lui, al capitano di tante battaglie, a quello che si è scrollato di dosso le ultime vesti pesanti ed ora è davvero libero di esprimersi nella sua totalità. Nel suo calcio fatto di geometrie, visioni mistiche che nemmeno in Trainspotting, c’è spazio anche per quel vizietto che proprio non ha mai perso: il gol. Contro il Benfica, omaggia Edinson Cavani con quel gol su corner in anticipo su tutti sul primo palo che aveva segnato nelle notti di Champions e che era suo marchio di fabbrica. D’altronde Marek è un grande riassunto dell’ultimo decennio azzurro. È come un vaso di Pandora dove getti dentro tutti i ricordi più belli, poi lo chiudi con il nastro adesivo, ci fai almeno due tre giri, per non farli scappare via.

Sette all’esperimento di genetica messo in atto dai laboratori segreti azzurri, manco fosse l’Area 51, sull’esemplare catalogato con la maglia numero 7. L’intento è quello di fondere la struttura genetica della formica con quella della cicala. Sì, perché Josè ha nel tessuto che lo compongono la forza, lo spirito della formica e la leggiadra, il senso dell’estetica della cicala. Come disse Re Salomone “Vai dalla formica, o pigro, guarda le sue abitudini e diventa saggio”. Come disse Heather Parisi “Delle cicale, ci cale ci cale ci cale. Della formica invece non ci cale mica” (ma che significa?).

Otto alla devastazione di Ghoulam sulla fascia sinistra. Sembrava Attila il flagello di Dio che recitava la solita poesia, come Abatantuono, prima di presentarsi al nuovo nemico (da leggere con la voce usata nell’omonimo film): G come guarda che già ti ho sorpassato. H come ho il motore nascosto. O come oh come sono veloce. U come uragano su questo carro di Benfica che tira più di quello con i buoi. L come lago di sangue. A come atrocità. M come menomale che non ero uno che faceva la differenza. Difficile trovare altro modo per raccontare la notte da sogno di Faouzi. Incontenibile come l’urlo The Champions rimasto strozzato in gola per tre lunghi anni.

Nove all’esplosione di talento di Mertens. Come un universo che nasce, dopo il nulla del primo tempo, una scintilla che si accende ed il Big Bang che avvia il meccanismo che porta la luce. Dries è così, ha il suo lato oscuro quando si perde tra i confini del suo talento, ma può diventare raggio di sole in pochi istanti e quando accade non c’è niente che possa contenerlo. In pochissimi minuti infila lo slalom speciale, la punizione che beffa Julio Cesar (grazie d’esistere Julio) e la zampata che manda al tappeto il Benfica come fosse stato morso da un black mamba. Gli scienziati hanno scoperto che qualche istante prima del Big Bang riecheggiò un suono. Qualcosa tipo: "Oops". Al San Paolo si è sentito “Dries”. Per ben due volte.

Dieci a tutti. Davvero a tutti. Ogni riferimento ad un singolo sarebbe un torto per il voto più alto. É la vittoria del calcio di Maurizio Sarri, la ribellione di chi per troppi anni ha dovuto tacere e che ora può con i fatti far sentire la sua voce. É la vittoria di una squadra che ha espulso una sua parte importante ed ha saputo darsi nuova forma, con quello spirito di sopravvivenza degli esseri secolari. É la vittoria di un San Paolo che è tornato a riempirsi in modo importante, dimostrano che l’amore litigarello è sempre il più bello. È la vittoria di una squadra e di un amore grande come il mare. “E’ così grande il mare. E poi è aperto: non ci sono cancelli nel mare. Io vedo cancelli dappertutto, dovunque. C’è sempre qualcosa che non si può fare, che non si può dire. Il mare è diverso. Il mare non ha orari, è uguale sempre e lascia a tutti la possibilità di sceglierlo”. Ancora una volta i napoletani hanno fatto la loro scelta. L’azzurro.