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Obiang: "Grazie a Mihajlovic abbiamo la consapevolezza dei nostri mezzi"TUTTO mercato WEB
© foto di Alberto Lingria/PhotoViews
mercoledì 1 aprile 2015, 21:23Primo Piano
di Roberto Lazzarini
per Sampdorianews.net

Obiang: "Grazie a Mihajlovic abbiamo la consapevolezza dei nostri mezzi"

Da giovane promessa a elemento imprescindibile di questa Sampdoria sempre più ambiziosa, Pedro Obiang si è definitivamente affermato come uno dei giovani più importanti della Serie A. Il giovane centrocampista si è confidato ai microfoni di SportItalia, all'interno della trasmissione Anni 90, dedicata ai migliori giovani che militano nel nostro campionato.

Quando hai iniziato a giocare a calcio? "Non ho grandi ricordi di quando ho cominciato a tirare i primi calci, ma credo di aver cominciato a circa 7 anni con gli amici della scuola, quando vai a scuola è molto più facile trovare amici giocando a calcio che facendo altri sport. All’inizio non ero un granchè, ho cominciato intorno ai 12 anni, un pò tardi, perché i miei genitori erano un po’ rigidi e preferivano che io continuassi a studiare".

Che ruolo facevi all’inizio? "Ho fatto tanti ruoli, ho iniziato esterno, poi trequartista, attaccante, terzino sinistro, ho fatto il portiere per un paio di settimane, poi sono passato a fare l’interno e poi ci sono stati allenatori che mi dicevano che mi preferivano a centrocampo perché lì davo sicurezza, e così alla fine sono rimasto lì".

Le giovanili nell’Atletico, hai cominciato tardi ma sei partito subito forte: "Sono stato un ragazzo fortunato, perché a volte ti passano delle occasioni che se non cogli poi non ripassano. Io da piccolo spesso ho rifiutato di andare in grandi squadre perché per me il calcio era semplicemente un divertimento e non lo vedevo ancora come lavoro, poi invece è arrivata la richiesta dell’Atletico ed è cambiato tutto - riporta Sampdorianews.net - . Mio papà ha accettato anche perché non mi voleva mandare al Real Madrid, dove io invece volevo andare perché lì giocavano i miei grandi idoli di quando ero piccolo, come Zidane. Alla fine quindi sono andato all’Atletico e ne sono diventato anche tifoso".

Nel 2008 poi Marotta e Paratici ti portano alla Samp: essendo precisi  4 agosto del 2008. "Marotta e Paratici mi avevano visto giocare, mi avevano incontrato e mi avevano parlato della Sampdoria. Io all’epoca colpevolmente non conoscevo bene la storia della Samp, ma loro mi dicevano di venire perché avevano un bel progetto per me e che sarei diventato un calciatore importante. All’epoca ci ho pensato molto perché lì a Madrid stavo bene, avevo tanti amici ed ero a soli 45 minuti di treno da casa, qua invece avrei dovuto prendere l’aereo e sarebbe diventato più difficile. Nella scelta mi ha dato una grossa mano mia madre, che mi ha dato una grande spinta ad accettare, facendomi capire che dovevo cogliere questa opportunità".

In quel momento sei diventato un calciatore? "Credo di sì, perché una volta preso l’aereo per Genova mi sono trasformato. All’epoca ero ancora poco serio negli allenamenti, non mi allenavo come se fosse un lavoro ma come un divertimento, qua invece mi dovevo applicare, gli altri correvano e io non avevo la marcia, quindi all’inizio ho faticato molto ad abituarmi a questi ritmi".

Nel tuo percorso alla Samp hai bruciato le tappe: "All’inizio è stato un po’ altalenante perché,come ho detto, quando sono arrivato non ero abituato ai ritmi di allenamento, alla palestra, al mangiare presto e sempre le stesse cose, ai doppi allenamenti. Tutte cose che in Spagna non esistevano. Ho iniziato con gli Allevi, poi ho fatto un amichevole con la Primavera e il mister Pea mi ha notato, quindi ho fatto metà stagione con la Primavera ma poi sono tornato agli allievi. Nel frattempo spesso venivo ad allenarmi con la prima squadra con il mister Mazzarri, che ogni tanto chiamava qualche ragazzo per seguirlo pià da vicino.

Ho pochi ricordi di Mazzarri perché ero piccolo, ma ricordo che scherzavamo molto sul suo accento livornese, infatti ai compagni dicevo spesso “ragazzi a voi vi capisco ma il mister mica tanto”, eravamo ragazzini quindi venivamo a fare i birilli, a scaldare i portieri, però mi sono divertito lo stesso in quel periodo, senza contare che il mister mi mi ha anche portato qualche volta in panchina, e a 16 17 anni non me lo aspettavo, quindi ho un bel ricordi di quel periodo".

Qual era il giocatore da cui prendevi esempio in quel periodo? "Sicuramente Zinadine Zidane, per la sua armonia e il suo modo di giocare. Non è nato con  tutte le doti ma si è creato piano piano fino a diventare il campione che è stato, ha dimostrato che per diventare calciatore a grandi livelli non c’è un età, perché lui è diventato un campione dopo i 26 anni. Poi ce ne sono stati sicuramente altri come Xavi Alonso, Guti, Henry, Gerrard, però Zidane era il numero uno. L’ho incontrato una volta quando ero piccolo e ho giocato contro il Real. Ricordo che abbiamo perso 7 gol a 1 ma non eravamo per niente tristi come dovevamo per la sconfitta, perché a bordo campo  c’erano dei giocatori del real che ci guardavano, e noi invece di interrogarci sulla partita ci siamo messi a urlare e a correre verso i nostri idoli".

Il talento quindi si può allenare? "Assolutamente, il calcio si può imparare e migliorare come qualsiasi altro lavoro"

E come ogni lavoro succedono le giornate in cui non si ha voglia di lavorare? "Certo, solo che a differenza di altri lavori noi dobbiamo giocare con il pallone, quindi in un modo o nell’altro trovi il modo di divertirti. Ci sono giornate in cui magari vorresti non correre e fare qualche minuto in meno ma alla fine te la fai passare".

Mihajlovic se ne accorge se non volete lavorare? "Sicuramente se ne accorge perché ci sono le telecamere e ci fanno portare un rilevatore delle distanze che percorriamo, infatti lui a inizio stagione ci diceva “tanto vi teniamo sotto controllo e chi fa meno km il giorno dopo fa gli straordinari”, quindi anche quando ci sono le giornate no ti conviene correre lo stesso".

Come descrivi il carattere del mister? "Il mister dipende come lo prendi, ci sono stati dei periodi più seri, altri più aperti, anche in certe chiacchierate, spesso è molto aperto, come quando ci insegna a tirare le punizioni, anche se non ho imparato molto perché calciare come lui non è facile. È una brava persona"

Lo hai mai sfidato alle punizioni? "Ci siamo fermati una volta ma dopo che ha fatto 3 sono andato via (ride)"

Chi gli può tenere testa in una gara di punizioni? "Prima c’era Gabbiadini e se la giocavano, oggi è più difficile. Ci potrebbe provare Palombo, infatti con lui rimane molto a calciare"

Ti ricordi l’esordio in prima squadra? "Era l’inizio della stagione 2010/2011. Io ero già da qualche mese in prima squadra, avevo fatto il ritiro, e durante l’estate avevo notato l’affetto della tifoseria, perché essendo fra i più piccoli ero un beniamino e mi trattavano tutti con simpatia. Non ero ancora il giocatore che sono oggi, magari sbagliavo qualche passaggio in più, ma trovavo conforto nell’affetto della tifoseria. Non credevo di esordire presto quell’anno, perché in rosa c’erano tanti giocatori che avevano fatto grandi cose l’anno precedente e avevano portato la squadra ai preliminari di Champions League, quindi pensavo di fare fatica a farmi notare. Invece, nel corso di una partita contro la Juve all’Olimpico, il mister mi ha mandato a scaldare. A me tremavano un po’ le gambe ma pensavo che, come mi succedeva spesso da piccolo, mi avrebbe fatto scaldare molto ma che poi alla fine non sarei entrato, invece dopo pochi minuti il mister mi ha detto di accelerare e subito dopo mi sono ritrovato a prepararmi per entrare in camo. In quell’attimo ero talmente agitato che  non riuscivo a mettere i parastinchi da quanto mi tremavano le mani. Appena sono entrato mi sono reso conto di cosa significasse giocare in serie A: vedevo tutto in un altro modo, i tempi, il respiro. Quando esordisci più che l’ansia per la prestazione soffri la pressione soprattutto a livello respiratorio, ricordo che quando sono entrato dopo due minuti volevo già bere. Alla fine abbiamo ottenuto un grandissimo risultato e sono uscito soddisfatto".

Il mister dell’esordio non si scorda mai come il primo amore? "Certo, per questo ringrazio Di Carlo, ma non posso scordare nessun mister, perché con ognuno ho avuto bei ricordi".

Prima di quella partita avevi prolungato? "Avevo appena prolungato, ma d’altronde io ho prolungato quasi tutti gli anni quindi alla fine non era niente di speciale. Quindi ero sereno di continuare questa storia, anche se come ho detto all’inizio avevo faticato ad abituarmi a questi ritmi, e all’inizio volevo quasi tornare a casa, e chiamavo sempre a casa tutti i giorni, dicendo a mia madre che volevo tornare in Spagna. Ora invece non la chiamo quasi mai, poverina (ride).

In questi anni ho avuto momenti belli e meno belli, sono maturato e ho imparato tanto, sono cresciuto.  Ho capito cosa vuol dire essere un calciatore, prima pensavo che i miei eroi, come Zidane, dovessero sempre essere al massimo e che non potessero sbagliare mai, ora capisco che non è tutto così semplice, perché ci possono essere problemi in famiglia, squadra, infortuni, problemi, che devi imparare a gestire da solo. Certe cose le capisce solo quando diventi veramente un calciatore".

Qual è stata la svolta per la tua carriera? "La svolta a livello di carriera è stata sicuramente l’esordio, appena entrato in campo ho capito che era possibile diventare calciatore. Poi la stagione in B in cui mi è stata data la possibilità di diventare protagonista mi ha dato ulteriore consapevolezza"

Il tuo rapporto con i gol? "Il primo l’ho segnato contro il Pescara a Genova. Lo cercavo da tanto tempo, e mi ripetevo che prima o poi sarebbe arrivato. Poi piano piano ho smesso di pensarci e alla fine è arrivato. È stata una gioia immensa. Ricordo anche che era stata una delle poche volte in cui avevo preparato una maglietta nel caso in cui avessi segnato. La maglietta era dedicata alla memoria del presidente Riccardo Garrone, da poco scomparso".

Quest’anno sono già a quota tre: "Il primo a Cagliari, poi contro l’Udinese e l’ultimo contro il  Torino, anche se quest’ultima non è stata una partita da ricordare, ma almeno nella sfortuna ho lasciato un bel segno".

Cosa ha detto Mihajlovic dopo la sconfitta contro il Torino? "Niente di diverso rispetto ad altre partite in cui non abbiamo giocato come voleva lui, quella volta ha avuto meno parole".

Se dovessi dire un pregio e un difetto di Sinisa? "Un difetto forse è che si prende le cose troppo a cuore, ma quello ci sta perché è un passionale, molto spesso sembra che vada lui direttamente in campo. Questa passione probabilmente gli deriva dal fatto di essere stato calciatore, per questo è da intendere anche come un pregio, perché, capendoci, ci lascia spesso momenti di serenità, come adesso che non andiamo in ritiro, e da quando sono qua difficilmente un allenatore ti dava la possibilità di non andare in ritiro. Il fatto che sia stato calciatore e che ci capisca ci serve moltissimo. Questa stagione poteva sembrare che dovevamo solo salvarci o stare a metà classifica, eravamo migliorati tantissimo nel ritiro, si vedeva che giocavamo meglio. Con lui abbiamo ottenuto questa consapevolezza, ma allo stesso tempo sappiamo che non si tratta di ringraziare lui per quello che stiamo facendo, ma che dobbiamo dimostrare a noi stessi di essere in all’altezza".

Quali sono gli obiettivi di questa Sampdoria? "Al momento non ci pensiamo. All’inizio era rimanere nella zona sinistra della classifica e siamo qua, ora domenica dopo domenica cercheremo di rimanerci , e a fine stagione vedremo dove saremo arrivati".

Piaci tanti all’estero, cosa ne pensi delle voci di mercato nei tuoi confronti? "Non leggo i giornali sportivi quindi non conosco queste notizie, ma sicuramente fa piacere perché vuol dire che sia io che la squadra stiamo facendo grandi cose".

Hai fatto tutta la trafila della nazionale spagnola, ora sogni quella maggiore? "Quando sei piccolo indossare la maglia della tua nazionale ti da soddisfazioni immense, a te e a quelli che ti stanno intorno. Al momento non ho ancora avuto la possibilità di giocare grandi tornei, ma sogno di poterci arrivare in futuro".

L’anno scorso hai lavorato con un mental coach: "L’infortunio che ha avuto l’anno scorso mi ha insegnato tanto, perché a volte l’unica cura che hai è il lavoro e io credo tanto in quello che può fare uno che crede nelle proprie capacità. Lavorare con il mental coach mi ha aiutato moltissimo in questo frangente".

Ferrero ti chiama spesso? "Mi ha chiamato solo una volta, infatti non capivo se mi volesse sentire veramente o se si fosse sbagliato. I ragazzi una volta mi hanno fatto uno scherzo, gli ho chiesto il numero di un ristorante e mi hanno dato quello del presidente (ride). Ogni tanto mi manda qualche messaggio".