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Berardi, Cassano e Balotelli: la cultura dell'esagerazione

Berardi, Cassano e Balotelli: la cultura dell'esagerazione
lunedì 15 settembre 2014, 13:142014
di Andrea Losapio

Sembra quasi una maledizione. O, per meglio dire, una rivelazione. Ogni volta che un calciatore italiano stupisce per sfrontatezza, per maturità, per bravura, per quelle capacità che servono a un campione (o presunto tale) c'è sempre un lato che viene fuori e che stride con tutto quello che serve davvero per sfondare. Il numero dieci dei primi anni duemila, Antonio Cassano, ha giocato sì nelle migliori squadre di calcio del mondo, ma non è mai riuscito a diventarne il simbolo. Prima con Totti, quando Sensi aveva promesso di volere costruire una Roma che poteva essere allenata pure da Babbo Natale (poi arrivò Capello, non proprio uno sconosciuto), poi nel Real Madrid dei post Galacticos, quando proprio con l'allenatore madrileno non riuscii a ripetere le proprie gesta già viste sotto il Cupolone. La Sampdoria come punto di ripartenza, poi il Milan, l'Inter, il Parma. Fra pazzie ed esagerazioni, colpi di testa e corna - solo mimate - all'arbitro.
Chi ne sta percorrendo le orme, nei primi anni dieci, è Mario Balotelli. La maglia gettata sul prato di San Siro dopo la semifinale con il Barça, quella messa in uno scherzo a Striscia La Notizia, l'assist ad Aguero e la rissa con Mancini, ora i tanti tuffi di Liverpool: la sua carriera è ancora lunga, ma dal punto di vista prettamente sportivo si può riassumere così.

Fuori dal campo, peggio che andar di notte, con una sfilza infinita di situazioni al limite, tra bad boy e Rodolfo Valentino.
C'è poi chi, come Domenico Berardi, è nato in provincia e finora ci è rimasto, sebbene sia di proprietà della Juventus - almeno per metà - e abbia già segnato sedici gol in Serie A. La bravata di ieri, con la gomitata a Juan Jesus, è solo l'ultima di un tris di squalifiche lunghe: per un colpo simile a Molinaro, prima ancora per una lite con il difensore del Livorno Ceccherini. Tre giornate a testa, ora probabilmente diventeranno cinque considerando pure la recidività. Un gesto non paragonabile al morso di Suarez, ma reiterato nel tempo e quindi accomunabile nella sua (maledetta) tempestività. Poi c'è quel pasticciaccio con l'Under 21, quando non rispose alla chiamata e gli costò un daspo da parte della Federazione. Non è paragonabile ai primi due, almeno per il riflesso mediatico dei suoi gesti, ma a soli 20 anni - compiuti lo scorso primo agosto - ha già fatto vedere parecchio. Fin troppo, almeno fuori dal campo.