Menu Serie ASerie BSerie CCalcio EsteroFormazioniCalendari
Eventi LiveCalciomercato H24MobileNetworkRedazioneContatti
Canali Serie A atalantabolognacagliariempolifiorentinafrosinonegenoahellas veronainterjuventuslazioleccemilanmonzanapoliromasalernitanasassuolotorinoudinese
Canali altre squadre ascoliavellinobaribeneventobresciacasertanacesenalatinalivornonocerinapalermoparmaperugiapescarapordenonepotenzaregginasampdoriaternanaturrisvenezia
Altri canali serie bserie cchampions leaguefantacalcionazionalipodcaststatistichestazione di sosta

Best, l'irlandese che cambiò il mondo. Ma solo il suo

Best, l'irlandese che cambiò il mondo. Ma solo il suoTUTTO mercato WEB
mercoledì 25 novembre 2015, 06:452015
di Andrea Losapio

Leggendo il libro di George Best, si può capire una sola cosa, da maschio tra i 20 e i 40 anni. Che tutti avremmo voluto essere lui. Anzi, due. Che nostra figlia, dovesse uscire con uno così, probabilmente verrebbe segregata in casa. Pulsioni latine - e paterne - lasciate in disparte, George Best era tutto ciò che, da adolescenti, credevamo di poter diventare. Un campione, passato dalla strada a una squadra qualsiasi. L'osservatore che passa lì per caso, la scelta di poter snobbare i Busby Boys - salvo poi ritornare con la coda fra le gambe - e quella di entrare in campo facendo la differenza. Senza doversi soffermare sui particolari, quelli non sono importanti. Sono solo cose dovute, un omaggio al proprio grande talento. Migliore di chiunque altro, probabilmente, da Eusebio a Johan Cruyff, più costanti di lui, giocoforza meno geniali nel loro modo di rivoluzionare il pallone.
C'è qualcosa che va oltre la comprensione di chi si ammazza di allenamenti e magari non arriva nemmeno tra i professionisti. Perché per Best era tutto normale, mentre per coloro che campioni non sono, nel nostro tempo, è motivo di vanto.

Quel che non veniva sottolineato sul prato verde era importante nella vita. Per lo champagne e le macchine veloci. Per le scappatelle con Miss Mondo - non una, non due, chissà quante anche se lui ha detto tre - e le bottiglie di scotch o whiskey bevute. Per gli incidenti, per la capacità di passarla liscia quasi sempre. Non con le donne, o meglio con le mogli, ma chissà se gli importava fino in fondo. Così come con i figli. D'altro canto come è possibile essere solamente un padre quando si è Best? Migliore in campo, ma non solo, anche al bar. Dieci anni fa moriva, in un letto d'ospedale, per un'infezione epatica. Chissà se l'ultima frase a lui attribuita è poi fedele. "Non morite come me", avrebbe senso. Solo perché vivere come lui è praticamente impossibile.