De Biasi e i sassolini nelle scarpe: a un passo dalla grande
Quando nel 2011 De Biasi decise di diventare il coach dell'Albania, qualcosa sembrava essere andato storto. Perché il tecnico, ex Brescia - quando Corioni aveva i dané e li spendeva per Roberto Baggio - e Torino, si lanciava verso un'esperienza nel calcio minore. Impossibile dire di no: per quanto in crescita, il movimento albanese rischiava di essere sempre in minoranza, legato ai ricordi di Tare, quando le cose comunque non andavano proprio benissimo nei gironi qualificatori. Ora che le squadre materasso non esistono più, che la partita è difficile quasi sempre (ed è un concetto sdoganato), l'Albania è riuscita a giocarsi un europeo in Francia, facendo anche un'ottima figura.
Così, probabilmente, l'estate scorsa De Biasi ci credeva. Perché era nella short list per la panchina dell'Italia dopo l'addio di Antonio Conte - direzione Chelsea - e la possibilità di allenare finalmente una big (anzi, la big per eccellenza, nel Belpaese) forse gli toccava.
"Io so chi è stato, ma lo dirò a tempo debito". Gli indizi sono pochi e frammentari, si può pensare che sia stato Lippi - commissario tecnico della Cina ma in odore di dirigenza italica a giugno scorso - anche per una questione di "peso". E che sia stato Tavecchio a riferirlo a De Biasi: magari è solo una questione rimandata, ma oggi l'Albania si gioca una fetta importante. DI onore e di qualificazione, con il cuore diviso a metà: perché, prima dei migranti africani, furono gli albanesi a cercare nel nostro paese una sorta di Mecca. Trovandola. Anche per questo De Biasi è controcorrente.