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D'Ippolito: "Pazienza amico storico. Poi Abero, Rolin, oltre a Laxalt"

ESCLUSIVA TMW - D'Ippolito: "Pazienza amico storico. Poi Abero, Rolin, oltre a Laxalt"TUTTO mercato WEB
venerdì 26 dicembre 2014, 18:042014
di Chiara Biondini
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Una professione, quella dell'agente, nata quasi per caso. Sono passati oltre 25 anni, era il 1988, ed il lavoro del procuratore nel mondo del calcio non aveva ancora conosciuto la sua massima espansione. I contratti erano più stringati e i calciatori non erano ancora macchine mediatiche. È qui che inizia la storia di Vincenzo D'Ippolito, avvocato prestatosi al mondo del pallone. Ci accoglie nella sua splendida casa romana, zona Parioli, per raccontare i segreti, le gioie e, perché no, le delusioni di una professione in continua evoluzione. "Sono romano di adozione, ma salentino di nascita, del paese di Latiano", ci tiene a precisare. "Mi sono trasferito qua da bambino e ci sono stato fino a 24 anni. Poi gli studi a Teramo, la laurea in giurisprudenza e il praticantato per diventare avvocato".

Perché allora la ritroviamo nel mondo del calcio?
"Ci sono finito quasi per caso in realtà… Era il 1988 e stavo iniziando la carriera da avvocato. Vincenzo Rodia, calciatore dell'Ascoli e amico di famiglia, mi chiamò per una consulenza su un contratto. Non mi sono più allontanato da quel mondo".

Se le dico Antonio Caliendo?
"Con Eugenio Ascari e Barendt Krausz, ci mettemmo a lavorare nell'agenzia di Caliendo, il primo procuratore della storia del calcio. Iniziai con alcune procure dei giocatori del Lecce, fra cui ricordo su tutti un giovanissimo Antonio Conte, ma anche Petrachi, Moriero e Morello".

Gancio perfetto. Antonio Conte ct della Nazionale. Se l'aspettava?
"Me l'aspettavo ma sono comunque rimasto sorpreso dai tempi. Si vedeva fin da ragazzo che aveva stoffa, pensate che pur giocando, si laureò col massimo dei voti all'Isef. Detto questo, non credevo di vederlo sulla panchina dell'Italia così presto".

Come giudica le prime uscite della sua Italia?
"Molto molto bene. Col tempo è riuscito a incamerare tutte le nozioni, pensate che anche mentre era giocatore prendeva appunti. Sono convinto che possa far davvero bene in Nazionale, anche perché meglio di lui oggi non c'era nessuno".

Torniamo a lei: quando decise di lavorare autonomamente?
"Dopo qualche anno mi misi in proprio. Avevo 23 procure quando mi separai da Antonio: ai ragazzi che stavo seguendo lasciai libera scelta se continuare con me o se restare nella scuderia di Caliendo. In 21 continuarono a darmi fiducia".

Cosa cerca Vincenzo D'Ippolito nei suoi assistiti?
"Ho uno stile di lavoro tutto mio: non mi piace seguire le squadre Primavera, c'è troppo affollamento. Preferisco andare a scovare le potenzialità nelle serie minori. Già i primi anni seguivo le gare di serie C1 e C2, il talento esiste anche lì e certamente si può lavorare con più tranquillità. Tecnicamente, comunque, credo sia essenziale la rapidità per giocare in Italia, e soprattutto devo conoscere personalmente il calciatore. Da questo punto di vista, devo dire che uno come Laxalt mi ha davvero fatto una bella impressione fin dal primo incontro".

Un nome che ricorda particolarmente?
"Leonardo Colucci: lo scovai al Cerignola. E Cristian Bucchi. Quando lo vidi giocava in Eccellenza, l'anno successivo correva sul campo del Curi col Perugia di Gaucci. In serie A. Poi ricordo con piacere Giampaolo, Zaini e Flavio Destro, il padre di Mattia. Ma la lista sarebbe davvero lunga: Di Liso, Nappi, Colonello…".

Insomma, ha sempre preferito il Made in Italy...
"Fino al 1996 sì. In quell'anno feci la prima trattativa con un giocatore straniero. Seguivo la Coppa d'Africa e sapevo che la Lazio stava cercando un difensore. Chiamai il direttore Nello Governato, chiedendogli di guardare la gara del Sudafrica in onda su TMC. Al fischio finale mi chiamò e mi disse di trattare l'acquisto di Mark Fish. Una trattativa davvero particolare".

In che senso?
"Trattai il giocatore col presidente degli Orlando Pirates nel casinò di Johannesburg, mentre giocava alla roulette. Alla fine l'operazione andò in porto e fu la prima trattativa di un club italiano con uno africano".

Diciamo che aveva abbattuto le frontiere, quindi.
"I mesi a cavallo del 2000 segnarono la mia carriera. Portai in Italia il primo honduregno della storia, un certo David Suazo. Lo proposi a 3-4 società di Serie A e alla fine la spuntò il Cagliari. Spostai l'attenzione dei club italiani sui paesi sudamericani meno battuti come, appunto, l'Honduras".

A livello di quotidianità cambiò molto il suo lavoro?
"Decisi io, di cambiare qualcosa. Alla soglia del 2000 avevo in procura 90 calciatori. Dovevo seguire quotidianamente le necessità di tutti questi giocatori. Decisi di ridurre il numero dei miei assistiti, anche perché in Italia ci fu un vero e proprio boom di agenti e procuratori. Cambiai filosofia di lavoro. In passato ero un agente nel vero senso della parola, oggi mi sento più uno scout che fa da intermediario nei trasferimenti dei giocatori. Un cambiamento voluto, ad ogni modo".

Nel pratico, come faceva e come fa adesso a proporre i giocatori ai vari club?
"Vado spesso in Sudamerica. Prima le valigie erano piene di vhs, oggi grazie ai dvd e soprattutto alle e-mail è tutto più semplice, logisticamente parlando".

I paesi in cui preferisce operare?
"Amo i giocatori uruguayani. Ho iniziato con loro e con quelli dell'Honduras, appunto. Oltre a Suazo portai in Italia anche Leòn. Poi giro l'Argentina e ultimamente ho allacciato contatti anche in Paraguay".

Il Brasile, la patria del calcio, non le interessa?
"C'è tanta qualità, ma i prezzi del mercato sono altissimi. Io preferisco trovare le potenzialità in quei paesi dove le spese per un giocatore sono molto più contenute e, spesso, la qualità è similare".

Prendiamo l'aereo per l'Uruguay. Ricordi?
"All'inizio non fu semplice, il mercato era chiuso e il 90% dei giocatori era del potentissimo Paco Casal. La mia figura, per i primi viaggi, non fu affatto ben vista da quelle parti. Col tempo mi sono fatto largo e adesso ho contatti con i top club del paese: Liverpool, Defensor, Penarol… All'inizio non era pensabile portare giocatori in Italia senza la "benedizione" di Casal, ma con un po' di testardaggine riuscii comunque a fare alcune operazioni. Riuscii a liberalizzare il mercato uruguayano".

Il primo nome che le viene in mente che ha portato nel Belpaese?
"Cavani".
Allora ce lo racconti, l'arrivo del Matador in Italia…
"Era il settembre del 2006, con il Danubio avevo ottimi rapporti. Ottenni dal club il mandato per la sua cessione in Italia, e già da novembre iniziai a proporlo ai club di A a costi contenutissimi, ma le risposte non furono positive. A gennaio 2007 Cavani giocò da protagonista il Mondiale under 20 ed il suo prezzo lievitò, e di parecchio anche. Gli ultimi giorni il Palermo fece l'offerta giusta e Cavani sbarcò in Sicilia. In seguito ebbi problemi col Danubio, che non voleva riconoscere il mio lavoro, ma una sentenza del Tas di Losanna datata 5 ottobre 2012 mi ha dato ragione al 100%".

Come scoprì questo grande centravanti?
"Collaboravo con un agente peruviano che operava in Uruguay che lo conosceva. Il nostro rapporto, però, si è interrotto nel giugno 2011. Abbiamo avuto dei dissidi e non lavoriamo più insieme da tempo. Adesso lavoro autonomamente con l'Uruguay e negli ultimi sono riuscito a portare diversi giocatori".

Avevate concluso altri affari insieme?
"Cavani, poi Ramirez, Hernandez e Gargano".

C'è qualcuno che l'ha colpita particolarmente, di questi giocatori?
"Diego Polenta. Su di lui c'era il Barcellona, custodisco ancora la proposta ufficiale dei blaugrana: prestito oneroso con diritto di riscatto. Il Genoa alzò le pretese all'ultimo, quando tutto sembrava fatto e così Zubizarreta mi chiamò e si tirò indietro".

L'ultimo colpo è stato Gaston Silva. È vero che c'erano anche Inter e Juventus?
"Si, ma non solo, anche Lazio e Parma. Insieme all'agente e alla sua famiglia, però abbiamo scelto il Torino, con Ventura potrà crescere moltissimo. Gaston Silva è un predestinato, pensate che fu ceduto al Benfica a 16 anni, ma con la famiglia fu deciso di rimandare lo sbarco in Europa. Ha fatto tutte le Nazionali minori, al Mondiale under 20 in Turchia le ha prese tutte contro un certo Pogba".

E Laxalt?
"Ha fatto bene i primi mesi a Bologna, adesso aveva bisogno di una squadra in cui fare il salto di qualità e abbiamo scelto Empoli. Quando è arrivato all'Inter poteva andare al Milan, ma Galliani era impegnato ad acquistare Balotelli e non se ne fece più nulla".

Altro biglietto aereo. Atterriamo in Honduras.
"Oltre a Suazo c'era Leòn. Lo vidi a Puerto Cortez, era un 'utilero' della squadra, una specie di tuttofare che si scopri calciatore per caso. Fu vicinissimo alla Juventus, nel 2001…".

Ci racconti la sua storia.
Alla Juve serviva un vice Del Piero. Moggi il 1 settembre mandò un osservatore a seguire Usa-Honduras e decise di comprarlo, anche perché il mercato quell'anno chiudeva eccezionalmente il 28 di settembre. Arrivai in Italia col ragazzo nella massima segretezza, ma la mattina della firma trovai le foto sul giornale. A quel punto l'affare saltò inspiegabilmente e Leòn andò alla Reggina".

Viaggio nel futuro: un nome di cui sentiremo presto parlare.
"Dico Diego Facundez, classe '95 che gioca nel New England Revolutions in MLS. Negli States è una star, ma sono sicuro che potrà essere il nuovo crack del calcio europeo. Negli Usa è titolare già da tre anni. Poi segnatevi anche Ichazo, portiere destinato a diventare titolare della Celeste, e Guillermo Cotugno, un difensore classe '95 con origini italiane, come suggerisce il cognome".

Fra gli 'italiani', qual è quello con cui ha stretto il rapporto migliore?
"Su tutti Ledesma. La sua storia è particolare: lo conobbi in un torneo in Svizzera, lui era con il Boca Juniors. La Lazio a quei tempi si era già mossa per lui, ma gli Xeneizes volevano molti soldi per il cartellino. Ledesma però voleva l'Italia, quindi non tornò in Argentina col Boca e restò a casa mia per circa un anno. Poi arrivò un provino col Lecce… il resto è storia nota".

Un rapporto duraturo e proficuo per entrambi…

"Esatto. Lui arrivò anche a vestire la maglia azzurra, con Prandelli. Purtroppo c'è un po' di rammarico, fu un'apparizione lampo, senza avere seguito. Peccato perché con una sola presenza è difficile valutare le qualità di un ragazzo, e Prandelli non dette mai seguito a quella prima convocazione. Acqua passata, anche se ai tempi Ledesma era seguito e aveva parlato anche con Maradona, all'epoca ct dell'Argentina. Diego si era interessato a lui, ma il debutto con la maglia azzurra frenò tutto".

Chi altro?
"Michele Pazienza è un mio amico storico. Poi Abero, Rolin, oltre a Laxalt".

Ce l'ha un rimpianto, un giocatore che avrebbe voluto seguire?
"Del Piero. Lo vidi al Torneo di Viareggio che era un ragazzino. Doveva scegliere un procuratore fra me e Andrea D'Amico e alla fine scelse lui".

E all'estero?
"Facile, anche in questo caso. Si chiama Angel Di Maria. Era il 2007, Di Maria giocava ancora nel Rosario Central. Io avevo il mandato per l'Italia, il ragazzo si poteva prendere con una cifra di 1,5-1,8 milioni di dollari. Praticamente niente. Parlati con tre club italiani, ma solo una si interessò. Dopo averlo studiato, il ds mi disse 'è bravo ma fragile, si romperà facilmente'. Tutto saltò e adesso tutti conoscono la carriera di Di Maria…".

Il giocatore che l'ha fatta "ammattire" di più, in senso buono?
"Caratterialmente Leòn. Ha avuto un'infanzia difficile e per questo ha un modo di fare un po' particolare. Lo sapevo, ma ho voluto rischiare scommettendo sulle qualità del ragazzo".

Per concludere, voltiamo pagina: nella sua carriera si è cimentato anche nel ruolo di dirigente alla Sambenedettese.
"Diciamo che ero più un consulente. Il 29 agosto 2004 ricevo una chiamata da un mio amico imprenditore che voleva risollevare le sorti della Sambenedettese. Accettai con entusiasmo questa sfida complicatissima, visto che mancavano 48 ore alla fine del mercato e in rosa c'erano solo 5 giocatori. Scelsi l'allenatore, Davide Ballardini, che dalla Primavera del Parma poteva portarsi dietro diversi giocatori tra cui Cigarini, Gazola e Canini. Feci la squadra e portammo avanti un campionato di Serie C1 eccezionale nell'anno in cui c'era anche il Napoli. A fine anno gli azzurri presero Amodio e Bogliacino. Con rammarico mi resi conto di non poter più proseguire, ma quell'esperienza mi ha dato forza e convinzione nelle mie competenze".

© Riproduzione riservata
Intervista di Vincenzo D'Ippolito al TMWmagazine di marzo 2013