Il licenziamento di Pearson, nepotismo dannato
Il Leicester City ha compiuto un miracolo. Sempre sul fondo della classifica, come il Crystal Palace nel 2013-14, alla fine è riuscito a salvarsi incredibilmente. Con vittorie strepitose, come il 2-0 al Southampton e quello allo Swansea, il 5-1 finale al QPR (solo per bollare l'impresa definitiva) oppure il 3-2 con il West Ham. 22 punti nelle ultime 9 partite, una media da vittoria del campionato. Basti pensare che nel resto della stagione le vittorie erano state solamente quattro.
Così Nigel Pearson, manager dei Foxes da lungo tempo - seppur con una piccola parentesi all'Hull City nel 2010-11 - avrebbe dovuto essere riconfermatissimo. E lo era, perché i risultati erano dalla sua parte.
Peccato che qualcosa sia andato storto.
Suo figlio è stato coinvolto in un episodio razzista ed è stato licenziato proprio dal Leicester. È stata la classica goccia che ha fatto traboccare un vaso che, al netto della fantastica salvezza, era già un problema. La reputazione poi è intoccabile, per i club d'Inghilterra, perché capiscono che gran parte del proprio merchandising viene venduto anche per la politica che la società adotta. Così Pearson, protagonista suo malgrado di un episodio di nepotismo, è stato licenziato proprio per il comportamento del proprio figlio.
Qualche erroruccio veniale lo aveva commesso, chiamando un giornalista "struzzo" (in Italia sarebbe un motivo di vanto per qualcuno), oppure litigando con James McArthur, del Crystal Palace. Peccato che l'orgia in Tailandia, dove la squadra stava giocando una tournée, abbia fatto molto clamore proprio per gli insulti razzisti che stavano volando fra il figlio, altri due giocatori dei Foxies e alcune prostitute. Il fatto che il proprietario sia thailandese, Vichai Raksriaksorn, non ha fatto altro che peggiorare la situazione.