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Ingesson, il gigante buono che ora giocherà in Paradiso

Ingesson, il gigante buono che ora giocherà in Paradiso
giovedì 30 ottobre 2014, 08:002014
di Tommaso Maschio

"Mi devo fermare per curarmi, sono ancora in tempo per permettere al mio sistema immunitario di rispondere positivamente", così parlava due settimane fa Klas Ingesson annunciando l'addio alla panchina dell'Elfsborg a causa del ripresentarsi del mieloma multiplo che lo aveva colpito nel 2009 e gli aveva dato pochi momenti di tregua senza però fiaccare il morale di un uomo e un calciatore che non si è mai risparmiato nel campo e nella vita. Un gigante buono, come tutti coloro che hanno avuto la fortuna di viverci accanto lo hanno ricordato nella giornata di ieri, che probabilmente sapeva che la sua ora era giunta e che ha voluto spegnersi nella propria città, Ödeshög, con accanto i familiari dimostrando un'assoluta dignità anche nel momento più duro della sua vita.

L'Ingesson calciatore lo abbiamo imparato a conoscere e apprezzare in quella splendida Svezia che nel 1994 andò oltre ogni aspettative fermandosi solo in semifinale contro i futuri campioni del Brasile e che poi ebbe la meglio sull'altra sorpresa di quel torneo - la Bulgaria - nella finale per il terzo posto diventando la miglior nazionale nella storia del Paese scandivano dopo quella del '58 di Liedholm e Gren. Poi l'Italia, nel novembre del 1995, per raggiungere a Bari il connazionale Kennet Andersson, che poi seguirà anche a Bologna. L'ultimo scampolo di carriera in Italia sarà poi a Lecce nel 2001 prima di appendere le scarpette al chiodo.

Fu proprio nel Bologna di Carlo Mazzone che lo svedese raggiunse il proprio apice nella carriera italiana protagonista di una cavalcata europea che partì dall'Intertoto e si fermò a un passo dalla finale di Mosca a causa di un rigore alquanto dubbio fischiato a favore del Marsiglia nella gara di ritorno in un Dall'Ara stracolmo. Sacrificio, cuore, coraggio e serietà sono parole che non bastano a spiegare a chi non l'ha visto chi era Klas Ingesson e perché ovunque sia andato ha lasciato un ricordo indelebile nel cuore dei tifosi. Un giocatore che sapeva esaltare per il suo essere un calciatore che non si risparmiava, dava tutto mettendosi al servizio della squadra e dei compagni e non si arrendeva fino all'ultimo secondo disponibile. Un carattere e un modo di vivere che lo ha seguito anche nella lunga battaglia contro il mieloma che alla fine lo ha portato via, a giocare in Paradiso assieme agli altri grandi del passato, assieme a quel Capitano - Giacomo Bulgarelli - di cui ha vestito e onorato la maglia numero 8 nei suoi anni sotto le due torri.