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L'eredità di Mazzola, figlio di Valentino e nemico postumo di Herrera

L'eredità di Mazzola, figlio di Valentino e nemico postumo di HerreraTUTTO mercato WEB
© foto di Tommaso Sabino/TuttoLegaPro.com
martedì 7 maggio 2013, 16:162013
di Andrea Losapio

Ferruccio Mazzola era il secondogenito di Valentino, numero dieci del Grande Torino schiantato sulla collina di Superga il 4 maggio del 1949. Ferruccio, nome consegnato all'anagrafe in onore dell'allora tecnico granata Novo, fratello di Sandro, ala della Grande Inter di Helenio Herrera. Due decenni di differenza, una sola palla rotonda da calciare e non da tenere in mano. "Siamo gente di calcio", ripeteva Ferruccio al fratello maggiore che voleva reinventarsi una carriera nel basket per evitare i confronti con il padre, uno dei migliori giocatori italiani di tutti i tempi. Lo diventerà anche lui. Sandro, ma non Ferruccio. Che quel calcio lo ripudiò con la forza delle parole, in un libro diventato quasi testamento, una lapide scolpita ben prima della sua morte odierna. Raccontava gli scandali come Carlo Petrini, scomparso poco più di un anno fa a Lucca, tra doping e arbitri venduti in esperienze che su di lui scivolarono addosso come acqua fresca.
Perché nonostante la gran tecnica, la vita di Ferruccio nel calcio fu sfortunata come la bomba che rischiò di ucciderlo quando era ancora in fasce. Con la madre, a Cassano D'Adda, e non con il padre campione. In panchina nella Grande Inter, quando le sostituzioni non c'erano se non per il portiere titolare, poi Lecco, Fiorentina e Lazio, con cui vinse anche uno Scudetto.

Non gli mancò l'esperienza americana, nella NASL, con i Connecticut Bicentennials. Ultimo posto e niente playoff, anzi, il trasferimento della franchigia a Oakland.
L'ultima battaglia della sua vita nel 2004. Ferruccio la giocò contro il pallone, contro l'Inter di Helenio Herrera, morto nel 1997. I famosi caffè del Mago erano già arcinoti - per sua stessa ammissione, però sosteneva di sciogliere aspirine - ma la novità era che le pasticche potessero essere anfetamine. Perché, in un'intervista all'Espresso, Ferruccio spiegò come fossero le riserve a fare da cavie per quelle strane pillole, da mettere sotto la lingua. Qualcuno le sputava, così Herrera decise di scioglierle nel caffè. Senza parlare delle gare accordate, degli arbitri comprati, di quelle pratiche che nel calcio sono sempre esistite, sin dalla sua nascita. Per "Il terzo incomodo" Ferruccio fu ostracizzato dal suo mondo. Dalla stessa gente del calcio, la sua Grande famiglia. Che, probabilmente, non lo saluterà nemmeno ora.