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L'orgoglio del Cavaliere, il canto del cigno di un'era

L'orgoglio del Cavaliere, il canto del cigno di un'eraTUTTO mercato WEB
© foto di Stefano Porta/PhotoViews
venerdì 29 aprile 2016, 07:452016
di Marco Conterio

"Che bella, Milano, con le sue luci. Che meraviglia San Siro, Scala del calcio, teatro italiano dei sogni. Vien da essere romantici, magari da prendere anche un drink in mano, mentre sotto suona una musica leggera. Il Duomo, la Madonnina, Brera, i Navigli, la Pinacoteca. Ah, poi il Milan. Che bello, il Milan. Van Basten, Gullit, Rijkaard. Ma anche Sacchi e Capello, poi Donadoni, Ancelotti, Maldini e Baresi. Kakà e Shevchenko, Rui Costa e Thiago Silva. Che bello il Milan, che ha rivoluzionato il calcio, che ha guidato un'era ed un'epoca. Il Cavaliere che se lo gode, il Dottore con la cravatta gialla che sottovoce canticchia 'certi amori non finiscono'. Che bello il Milan. Che bello, che era...".

Apri gli occhi. Pure se non sei rossonero, s'intende, perché quel Milan era una meraviglia per il Mondo, patrimonio dell'umanità calcistica. Però poi apri gli occhi e vedi quel che è, perché nel calcio il passato è giugno ed il futuro settembre e così via ogni anno. Sicché, volgendo lo sguardo al domani, il Milan rischia d'essere ancora senza Europa e, guardando all'ultimo settembre, è prodotto strozzato di un progetto sbagliato.

Apri gli occhi, poi ti alzi dal letto, nella mente sempre quei nomi, quei ricordi. Poi sfogli il giornale, o meglio ancora queste colonne, e vedi un Cavaliere mai domo. Che non s'arrende al tempo, ai risultati. Che non vorrebbe, ma che poi dovrà, cedere il suo 50 per cento più uno. Essere minoritario e non maggioritario. Non più numero uno, magari solo numero primo ma questo certo non basta a Silvio Berlusconi per quel che è stato e per quel che si sente ancora.

Però la storia questo racconta. Le ere finiscono ed al tempo, talvolta, bisogna arrendersi. Perché quell'orologio è primo sovrano, inesorabile. I risultati del campo sono pure quelli del bilancio ed il valore dell'azienda AC Milan rischia pure di ribassarsi pur immutato l'appeal eterno di una squadra capace di ergersi a regina del mondo. Il tempo dice, oggi, che il dado è tratto. Che il passaggio nelle mani cinesi non è più evitabile, rimandabile. Che il Gigante d'Oriente vuole fagocitare tutto. Storia, passato, presente, orgoglio. Strozzare il canto del cigno in un grido a suon di milioni, per rinverdire dei fasti andati e passati. L'inevitabilità della cessione è dietro l'angolo. Capirla non è facile, per chi è stato primo autore e fautore di un'era. Ma il tempo è tiranno. E quello splendido Milan, adesso, non c'è.