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Martino e l'autarchia del Barcellona

Martino e l'autarchia del BarcellonaTUTTO mercato WEB
© foto di Daniele Buffa/Image Sport
sabato 20 dicembre 2014, 07:452014
di Andrea Losapio

Quando è arrivato Gerardo Martino, al Barcellona, qualcuno era già molto contento. Il padre di Lionel Messi, che idolatrava l'allenatore - ex Newell's Old Boys - e che poteva essere un ulteriore miglioramento per il figlio, già migliore al mondo per quattro volte, nonostante un'annata così così come quella scorsa. I gol, tantissimi, ma le prestazioni un po' meno brillanti rispetto a quelle delle annate precedenti, con la panchina in semifinale di Champions League con il Bayern Monaco a concludere un periodo certo non felice (causa infortunio, va detto), avevano impaurito anche l'Argentina in vista del Mondiale.
Martino, ora, è il nuovo commissario tecnico della nazionale albiceleste. Dopo che il diagonale di Lionel Messi, nella finale di Rio de Janeiro, è scivolato a lato di poco, qualcuno ha già incominciato a pensare alla finale 2018 come ultimo grande appuntamento per la Pulce di scrivere il proprio nome sull'albo d'oro dei vincitori del Mondiale. E non è un caso che sia l'ultimo alloro che serve per sorpassare il proprio predecessore, Diego Maradona.
Tornando a Martino, ha infatti spiegato come nel 2018 sarà complicato dare una giusta collocazione tattica a Messi.

Non perché non giocherà titolare, tutt'altro, bensì perché toccherà controllare l'evoluzione del calciatore blaugrana, ora sempre più schierato sulla fascia destra - come agli inizi della carriera - ma che potrebbe pure fare la seconda punta dietro uno dei tanti campioni che l'Argentina può contare.
In più, da par suo, Martino ha ripercorso il proprio anno a Barcellona, ai microfoni di Sport, escludendo problemi con Xavi. Eppure l'esclusione del centrocampista è stato uno dei passaggi chiave della stagione catalana, poiché nell'ultima gara con l'Atletico Madrid è rimasto in panchina: il Barça avrebbe dovuto vincere per raggiungere la Liga, in una sorta di finale fallita. Non ci è riuscito e la colpa è pure del tecnico sudamericano. Forse il problema è che, come per gran parte dei calciatori, pure gli allenatori devono crescere in un ambiente come il Barça B, in una sorta di gavetta infinita.