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Prandelli a pezzi. Per mettere in difficoltà la Costa Rica

Prandelli a pezzi. Per mettere in difficoltà la Costa RicaTUTTO mercato WEB
© foto di Daniele Buffa/Image Sport
lunedì 21 luglio 2014, 13:042014
di Andrea Losapio

"Troppo poco amore in Italia". L'intervista, lunga, concessa al Corriere della Sera da Cesare Prandelli parte con una premessa evitabile. Non ha il diritto di sentirsi una vittima. No, in effetti non ce l'ha, almeno per le scelte in campo, per le convocazioni, per gli schemi, per il codice etico, per il rapporto con la stampa, per le dichiarazioni contro Rossi e Criscito. Ecco, forse, nel calderone, l'unica considerazione giusta - e probabilmente inattaccabile - è che Prandelli ha gestito magnificamente il dopo Italia. Dimissioni doverose (magari rinnovare il contratto dopo sarebbe stato più elegante, ma questo è un altro paio di maniche, non ha chiesto la buonuscita) e giunte un nanosecondo dopo il triplice fischio con l'Uruguay, poi è arrivato il Galatasaray e tanta fortuna all'ex commissario tecnico. Impeccabile, sebbene ci sia chi gli spara contro perché non ha "elaborato il lutto": il calcio è così, in Italia, viene considerato sacro quando è un rito che più pagano di così non esiste. Come la politica, del resto, dove c'è chi tifa e chi esulta per mancate (o concesse) condanne.
A parte l'excursus, nel pezzo di Severgnini c'è il quadro di un allenatore che non vuole prendersi le proprie responsabilità, dietro il paravento di una sola frase. "Il progetto tecnico è fallito". Che poi, e verrebbe da ridere, era quello di mettere in difficoltà la Costa Rica. Quindi si fosse passato il girone - e magari, tertium non datur, vinto con la Grecia - arrivando alla fase di eliminazione diretta sarebbe stata quasi una vittoria. In ogni caso, quella è la frase che fa da cartina tornasole a tutti gli alibi che vengono aggiunti prima e poi. Non definisce umiliazione mondiale solo perché l'Italia in tutti i settori è in difficoltà (magari capire che fra le righe c'era un "sportiva", perché c'è gente a cui giustamente non frega molto del calcio, avrebbe generato una risposta più adatta).
Dicevamo, mettere in difficoltà la Costa Rica.

Inserendo quattro attaccanti in una partita, vincendola. Peccato che si sia iniziato con un 4-1-4-1 più coperto di Babbo Natale in Lapponia, mettendo Cassano al quarantaseiesimo, Insigne al cinquantasettesimo, Cerci al sessantanovesimo. Aggiungendo anche che il campionato aveva dato certe indicazioni. Come Immobile capocannoniere, seduto sbracatamente in panchina mentre vedeva Balotelli sgambettare svogliato e provare pallonetti irricevibili. Insigne di gol ne ha segnati addirittura tre, mentre Cerci - dieci in più - ha avuto a diposizione venti minuti per cambiare la squadra. Quattro attaccanti, tanti fuorigioco.
Poi il clima, come se fosse questo il problema. E poi il fatto che le squadre italiane abbiano troppi stranieri. Come se la Costa Rica avesse una tradizione come quella della Serie A, l'Uruguay non avesse giocatori sparpagliati per il mondo - mentre l'Italia, per convocare uno che gioca lontano, ogni volta nicchia (sarebbe stato convocato Verratti con Montolivo in forma?) - e lasciamo stare l'Inghilterra. Sul marketing è meglio soprassedere, anche se la verità è che nessuna squadra come quest'Italia ha avuto il tempo - e poche critiche - dopo i tre gol presi dalla Fluminense o per il pareggio contro il Lussemburgo. E questo anche grazie alla gestione dell'immagine (quasi maniacale) operata dal ct negli ultimi anni, con un colpo al cerchio e l'altro alla botte. Bearzot sarebbe stato fatto a pezzi (anzi, lo è stato) ma avrebbe risposto sul campo. Invece sulla proposta dalla Turchia, nulla da dire. Buon lavoro Cesare, ma magari non dare la colpa al troppo amore dei tifosi della Turk Telecom Arena, qualora non dovesse arrivare la quarta stella del Galatasaray.