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Zeman, parabola al tramonto. Innovatore con la bacheca vuota

Zeman, parabola al tramonto. Innovatore con la bacheca vuotaTUTTO mercato WEB
© foto di Daniele Buffa/Image Sport
martedì 21 aprile 2015, 12:002015
di Raimondo De Magistris

O lo si ama o lo si odia. Quando si parla di Zeman non ci sono mezze misure. E' il destino di chi dice sempre quello che pensa, apprezzato (o disprezzato) per le sue parole e giudicato per le sue dichiarazioni ancor più per quanto mostrato dalle sue squadre in campo. Le sue frasi a effetto hanno sempre fatto rumore, a prescindere dalla piazza e dalla categoria, perché la battaglia mediatica con la Juve negli ultimi venti anni ha catalizzato interviste e attenzioni.
Eppure il campo in questi anni ha detto tanto. Zeman è scappato dal regime circa 40 anni fa e ha iniziato giovanissimo a sedere in panchina. Giocatore di hockey sul ghiaccio, pallanuoto e pallamano trapiantato sulle panchine di calcio poco più che maggiorenne. Parte dal profondo Sud, dai campi polverosi delle squadre dilettantistiche della Sicilia. Cinisi, Bacigalupo e non solo per approdare più di dieci anni dopo il suo arrivo nel nostro paese nelle giovanili del Palermo. E' il primo passo verso una carriera in lenta ascesa, ma non quello decisivo perché Zeman è in altra regione del Sud che troverà gloria: in Puglia, più precisamente a Foggia.
E' il periodo a cavallo tra la fine degli anni '80 e l'inizio di quelli '90, probabilmente quello più bello della carriera di Zeman. E' il Foggia dei vari Signori, Rambaudi, Shalimov, dell'estroverso presidente Casillo e di un allenatore che è ormai sulla bocca di tutti. Il suo 4-3-3 fa scuola, innovatore in Italia mentre Sacchi cambiava le regole del gioco anche in Europa.
Per il boemo sono anni stupendi. Il suo Foggia non solo mette a più riprese in difficoltà le grandi, ma con giocatori ai più sconosciuti fino a quel momento conquista risultati. Ottiene una promozione e fa bene in Serie A, sembra il preludio a una carriera da vincente. Ma non sarà così.
Gli si dà fiducia nella Capitale, lo chiama la Lazio. Non fa male, ma non vince. Un leitmotiv che lo accompagnerà per tutta la carriera. Un secondo posto, poi un terzo. Tanti gol fatti, ma anche tanti subiti in un 4-3-3 che non conosce deroghe. Alla guida di una big, quando l'obiettivo è vincere ancor più che giocare bene, a Zeman manca quel pragmatismo necessario per arrivare in fondo in cima. Dopo tre anni alla Lazio passa sull'altra sponda del Tevere. Per entrambi i club romani saranno anni spettacolari, ma sempre alle spalle delle squadre del nord.

Gli anni successivi alle avventure nella Capitale non sono felici. Tante esperienze, poca gloria e troppi incidenti di percorso. La carriera del boemo sembra ormai al tramonto, ma a salvarlo c'è il ritorno alle origini prima della decisiva chiamata di Pescara. A Signori, Baiano e Rambaudi si sostituiscono Insigne, Immobile e Verratti. Sono i giovani terribili della Serie B e con loro, 21 anni dopo la prima volta, Zeman ottiene la sua seconda promozioni in Serie A.
Per lui si spalancano di nuovo le porte del grande calcio. "E' tornata Zemanlandia", titolano tutti i giornali e la Roma gli concede una nuova opportunità. Sabatini lo chiama per succedere a Luis Enrique, ma il boemo fallisce clamorosamente. Non arriva nemmeno a fine stagione. Il suo calcio innovativo a grandi livelli è ormai superato e come tutti gli innovatori Zeman non riesce ad andare oltre le sue idee.
Saluta la Capitale a testa bassa, qualche mese di riposo prima di ripartire da Cagliari. E' lui l'allenatore scelto dalla nuova proprietà per voltare pagina. Anche in questo caso va male. Ingaggiato, esonerato, poi richiamato e infine dimissionario. "Dimettendomi io faccio la mia parte, ora gli altri si assumano le proprie responsabilità", ha detto nelle ultime ore Zeman a una squadra ormai spacciata. E di responsabilità, con una squadra costruita seguendo le sue indicazioni, il boemo ne ha parecchie.
Adesso per lui ci sarà di nuovo da attendere, o magari mettere fine a una carriera 40ennale. Amato o odiato, spettacolare ma mai vincente. Questo è sempre stato il suo mondo, basato su un calcio a tratti ingenuo che ha divertito per tanti anni. Ma che è ormai passato di moda.