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Van der Veen e CruijffTUTTO mercato WEB
venerdì 14 ottobre 2016, 15:18Archivio
di Claudio Nassi
per Claudionassi.com

Van der Veen e Cruijff

Non credo che il calcio si impari sui banchi di scuola. Ho sempre pensato che si tratti di una trasmissione di esperienze. Se si trova chi è disposto a far conoscere le proprie, possiamo arricchire il nostro bagaglio. Perché dico questo? Per una somma di considerazioni che partono da lontano. Ho sempre sentito dire dagli allenatori che hanno imparato il mestiere da quelli che hanno avuto da calciatori. Da uno la gestione del gruppo, dall'altro la praticità, dall'altro ancora la cura dei particolari, quella dei fondamentali e così via. Poi ho avuto un'esperienza a Coverciano: quella di fare un master per D.S., tra l''81 e l''82; e quando arrivava il Prof. Piantoni, che insegnava strategia aziendale alla "Bocconi", o il Prof. Catturi, docente di scienze bancarie all'Università di Siena, mi domandavo che cosa potevano trasmettere a chi voleva migliorare la conoscenza del calcio. Eravamo un gruppo di 40. Pochi laureati, così i diplomati, altri addirittura firmavano in stampatello ma, forse, erano quelli che capivano più il calcio. Cercai di spiegare ad Allodi, l'ideatore del corso, che serviva altro. Magari Clive Toye, che aveva portato per primo la pubblicità nel calcio e dai Toronto Blizzards era passato ai New York Cosmos. Oppure un manager inglese, che univa il fatto tecnico a quello organizzativo, o meglio ancora Saporta, il grande G.M. del Real Madrid pentacampione, che, allora Vicepresidente del Banco de Espana, organizzava il Mondiale dell''82. Se questi fossero stati disposti a trasmettere le loro conoscenze, avremmo arricchito il nostro bagaglio.

Così, quando leggo alcuni passi del libro di Cruijff, "La mia rivoluzione", mi viene da pensare che non sono il solo a vederla in un certo modo. Parlo di un fuoriclasse diventato anche un grande allenatore, cosa riuscita a qualche mosca bianca. Imparo che uno dei suoi allenatori alle giovanili dell'Ajax, Jany Van der Veen, applicava le idee di Jack Reynolds, l'inglese che aveva allenato la prima squadra negli anni '40 ponendo le basi di quello che sarebbe diventato il calcio totale. Poi che preparava gli allenamenti specifici con al centro i fondamentali, ovvero tiro, colpo di testa, dribbling, passaggio e stop, che Cruijff ha considerato il metodo da seguire, e mi si allarga il cuore. Che cos'è il calcio? Un gioco di errori da analizzare e correggere; bisogna sempre migliorarsi e non guardare mai alle spalle, il bravo calciatore tocca la palla una volta sola e sa dove andare, che è l'essenza del calcio olandese. "Di solito gli allenatori - continua Cruijff - sono fissati col movimento, ma non è necessario correre troppo, il calcio si gioca col cervello". Mi tornano in mente le parole di Béla Guttmann: "Quando sei in possesso del pallone, smarcati, quando invece ce l'hanno gli avversari, marca. Il calcio è tutto qui". O quelle di Obradovic: "Non c'è tattica più importante della tecnica". O di Bruce Weber: "Il senso del gioco, per quello che accadrà, non è allenabile, è una dote istintiva". E infine Asa Nikolic: "Il miglior allenamento è quando uno impara qualcosa dai propri giocatori".

Insomma, il calcio non è astrofisica, come alcuni vorrebbero far credere. Tra i pochi che hanno portato qualcosa di nuovo c'è Cruijff, che ha cercato di fare sempre le cose semplici. Nel libro si trova anche la squadra ideale. Credo abbia regalato qualcosa a due amici, anche se bravi: Guardiola e Piet Keizer. Quest'ultimo ho avuto il piacere di conoscerlo quando andai ad Amsterdam ad acquistare Van Basten. Pur essendo un big, aveva una venerazione per il compagno dell'Ajax e della nazionale del santone Rinus Michels. Lo riteneva un numero uno, forse il numero uno. E se non fossero esistiti Pelé e Di Stefano c'era da crederci.