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Il calcio è bello, ma quanti capiscono?TUTTO mercato WEB
© foto di Daniele Buffa/Image Sport
domenica 8 gennaio 2017, 10:15Archivio
di Claudio Nassi
per Claudionassi.com

Il calcio è bello, ma quanti capiscono?

Guardo con interesse le interviste di Capello a Del Bosque e Ancelotti e ricordo quella di Porrà a Johan Cruyff, che spero, sempre, venga riproposta. Finalmente sento parlare di calcio, da chi è abituato a vincere, tra l'altro un'infinità di volte, sia da calciatore che da tecnico. Mai uno che salga in cattedra, né prenda cappello se una domanda, per caso, riguarda persona con la quale c'è stato da ridire. Di solito un presidente e, guarda caso, si scivola sempre sul nome di Florentino Peréz, che dà il benservito a Capello, Del Bosque e Ancelotti, anche se vincenti. Ascolto con piacere che Ancelotti aveva deciso di lasciare il PSG durante il campionato, una volta giunta all'orecchio la notizia che se avesse perso, pur essendo primo, una certa partita, sarebbe stato esonerato. Decise, dopo aver vinto, che a fine torneo avrebbe salutato, anche se lo sceicco l'avesse pregato di rimanere. Cosa che avvenne. Lo stesso era capitato a Capello quando lasciò la Roma dopo 5 anni e il Milan. Ed è giusto così. Non appena uno si accorge che la fiducia viene meno non può continuare con la spada di Damocle sulla testa.

Per questo ho sempre ritenuto che chi lavora nel calcio ogni 2 anni deve cambiare società. In casi eccezionali ogni 3, se tutto va per il meglio. Perché, una volta conquistate la stampa e la piazza, si perdono, anche inconsciamente, stimoli, non si morde come prima e si tradiscono le aspettative di chi paga il biglietto e dei media. Col tempo mi hanno fatto capire che era un errore: non si lascia quando c'è da raccogliere i frutti di un lavoro. Ma se sai di non dare quanto dovresti per quel sentirsi appagato dal consenso, perché continuare? So bene che sul piano personale e familiare ci saranno problemi, dal trasloco alla scuola dei figli e alle amicizie che saltano, ma chi è nel calcio vive per il risultato della domenica. L'imperativo è vincere, o almeno non perdere. Il resto è fuffa.

L'ambiente, poi, ha la memoria corta, né perdona. Ricordo un'intervista di Vittorio Sgarbi: una cavalcata nel Seicento del barocco. Chi sa che Giovanni Guerrieri intende più di tutti la verità e lo spirito del Caravaggio, che Andrea Sacchi è un esponente del barocco romano come Bernini e Pietro da Cortona; e del ticinese Serodine, del Baciccio e di Cagnacci chi ne parla? Per questo le interviste citate all'inizio mi portano indietro nel tempo, quando mi trovavo con uomini di calcio come Ellena, Lucchi, Sandro Vitali, Favini, Valcareggi e altri, o ascoltavo la lezione che mi impartiva il Conte Rognoni, o mi confrontavo con presidenti come Mantovani o Mario Gerbi. Se escludo Mantovani, quanti li ricordano? Oggi sembra tutto un film, con attori da ogni parte o gente che si parla addosso e le castronerie si sprecano.  

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