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Giù le mani dal FriuliTUTTO mercato WEB
Un nome, una storia
© foto di Alberto Forestieri
lunedì 24 agosto 2015, 12:00Editoriale
di Giacomo Treppo
per Tuttoudinese.it

Giù le mani dal Friuli

Sono a nato a Udine poco più di 40 anni fa. La famiglia di mio padre era di Sedilis, una frazione di Tarcento. Quella di mia madre di Pradielis, nell’Alta Val Torre. Nel 76, avevo poco più di un anno di vita, abitavo a Belluno e ricordo come se lo avessi vissuto il racconto di mio padre e mia madre sul terremoto. In territorio veneto i comignoli dei palazzi saltavano per aria come proiettili. Ed eravamo nella periferia di Belluno, furlan emigrati prima di andare a stabilirsi in Emilia, non sotto l’epicentro.

La storia dice che il "cuore amaro" del terremoto nacque sotto Gemona. Ancora adesso gli scienziati non sono concordi nel definire l’epicentro di quella devastazione. Non bastavano la prima guerra mondiale e Caporetto, non bastava la seconda e i fascisti o i partigiani rossi. Il Friuli è nato per soffrire, e ha sofferto. Pare però, che il vero epicentro sia stato sotto il Gran Monte, nell’Alta Val Torre, fra Lusevera e Taipana. Ultimo fiore selvatico di una Mitteleuropa bastarda, slavia friulana, dove i cognomi di pini e piante in sloveno sono stati tradotti in italiano con epiteti e offese, diversità che è stata poi schernita dalla storia del sudore. Perché, dopo il ’76, il Friuli conobbe l’Italia e anche la Jugoslavia dei migliori: bestemmiatori o cattolici ferventi, militari o militanti, ma tutti con le maniche rimboccate. Tempo fa lessi un articolo su un giornale a tiratura nazionale: si parlava della popolazione friulana nell’immediato dopo-scossa. Quando i militari portavano da bere e da mangiare, una donna anziana chiedeva, in stretto furlan, quanto doveva pagare. Gente che non aveva mai avuto niente; tempo prima di litigarsi le case, prima dei renziani, dei forzisti e della vecchia DC.

Esistono due monumenti a quel terribile terremoto del ’76. Uno è il Duomo di Gemona, ricostruito così come era prima del terremoto (vanità umana nata dal sudore e non dai soldi, schiene storte e bestemmie, non auto di lusso), ma con le colonne delle navate storte, perché la memoria non scorda la violenza e nutre timore e rispetto. Vi consiglio di visitarlo, vi è custodita una perla: una bellissima statua del Cristo salvata dal crollo del terremoto. E’ subito sulla destra, appena entrati. E come se Gesù Cristo, un povero cristo come tanti, fosse stato torturato ed ucciso. Le fratture nel costato, nella pancia, degli arti e in testa paiono derivare dalla viltà di un sadico, mentre sono il risultato di una natura che ha mostrato all’uomo che sarà sempre più forte di lui. L’altro monumento è lo stadio Friuli a Udine, la volta sopra la tribuna non è solo bella architettura moderna, è un monumento vero e proprio, a proteggere dal cielo. Perché in quel ’76, gli anziani non sentivano il terremoto come il castigo della terra, ma come l’apocalisse mandata dal cielo. E non è poesia. Chi ha avuto parenti o esperienze dirette di quei luoghi sa che molti anziani piansero e si disperarono in quella notte del Maggio ’76 pensando alla fine del mondo mandata da Dio.

Vi immaginate se il Duomo di Gemona, opera di formiche laboriose, scontrose, fredde e porconatrici ma anche dal cuore caldo, fosse intitolato a uno sponsor? Bene, ora provate a immaginare che l’altro monumento, lo stadio Friuli, venga spogliato del suo nome (o accostato a un altro, secondo l'intellighenzia del sinfaco Honsell) per prostrarlo allo sponsor, al vil denaro. E’ un abominio, è la prostituzione della storia del Friuli. Morti e senzatetto dimenticati per auto & profitti. Il genio che ha avuto questa splendida idea dovrebbe pensarci, visto che è un ottima pubblicità al contrario.

Honsell vuole passare alla storia come colui che ha venduto la storia del Friuli? Pozzo vuole passare alla storia come colui che ha venduto il nome del Friuli prima ancora di vincere un trofeo?

Ricordo il racconto di mio padre come fosse ora, lui che con la vecchia Opel Record seguiva la strada che da Tarcento andava a Pradielis, con le frane a cadenza giornaliera che minavano l’incolumità e la vita di chi effettuava quel tragitto, per andare a vedere come stava mia nonna Santa, che santa era davvero. Visse nei prefabbricati (e gli inverni da noi a Belluno) fino alla morte, qualche anno dopo. L’Udinese è l’Udinese perché impresa, perché costruisce, perché crea valore. L’Udinese non è l’Udinese se vende il dolore, la storia e il ricordo di una regione.

La sola idea è vergognosa. Giù le mani dal "Friuli".