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O capitano! Mio capitano!

O capitano! Mio capitano!TUTTO mercato WEB
© foto di Alberto Fornasari
mercoledì 12 gennaio 2011, 00:002011
di Alessio Calfapietra

Quando il tabellone luminoso del quarto uomo ha indicato il numero dieci subentrante a Leandro Greco, il pubblico romanista assiepato al Marassi, all'unisono con i compagni di fede sparsi in tutta Europa, ha declamato il celebre verso di Walt Whitman. "O Capitano! Mio capitano!" un coro unanime a significare la mortificazione di uno dei piu' grandi giocatori della storia giallorossa, messo alla pari di un giovane della Primavera spedito in campo per far scorrere l'orologio. Un dolore lancinante in mezzo al petto per i tifosi, piu' intenso di quello procurato dalla doppia debacle causata da Juan, un difensore di alto livello ma che quando sbaglia, lo fa in grande. E' soltanto l'ultimo capitolo dei complessi rapporti fra Totti ed il tecnico Ranieri, forse quello piu' eclatante, dove gli indizi disseminati nelle pagine precedenti confluiscono a sistema fornendo una prova difficilmente confutabile. Fra i due non c'è l'idillio che l'animo genuinamente romanista di Ranieri farebbe supporre, anzi il dialogo è latitante e contraddice gli attestati pubblici di stima dei quali l'allenatore fa periodicamente dono al giocatore. Dopo episodi come quelli accaduti a Genova, tali elogi sembrano anzi sarcastici. Le statistiche offrono un dato interessante: a parte Borriello, Totti è l'attaccante maggiormente utilizzato dalla Roma. A fare la differenza sono le sostituzioni patite, ben sette, l'allontanamento dal ruolo di centravanti, ritagliato a perfezione dopo anni di fruttuosa pratica e soprattutto la sensazione, nemmeno troppo latente, di essere scivolato dal ruolo di protagonista indiscusso a quello di pedina utile e talentuosa. Qualcuno dal quale poter prescindere senza far crollare l'impianto. Così Totti, dopo 18 anni di ineguagliabile militanza all'ombra del Colosseo, lascia intravedere un incredibile addio ai colori giallorossi, un'eventualità che ammainerebbe l'ultima bandiera che ancora sventola nel calcio italiano. Totti, primo tifoso della Lupa, azionista del club con una scrivania già assegnata nel 2014, ha infatti messo in dubbio il suo futuro con un laconico "si vedrà" e l'ammissione che ad ogni ingresso a Trigoria viene assalito dalla tristezza. Uno scenario inconcepibile per chi conosce le dinamiche della città capitolina e la visceralità con la quale questa vive le vicende calcistiche. Un'ipotesi irrealistica per chiunque abbia anche soltanto una vaga idea dell'amore che Totti nutre per la Roma, un sentimento ampiamente contraccambiato e che ha dato molti e buoni frutti nel tempo. Sarebbe impensabile che Francesco, coraggioso come pochi nel rifiutare il Milan e il Real Madrid all'inizio degli anni duemila, lasci adesso la squadra, per incomprensioni che sussistono unicamente con Ranieri. Non certo con il resto dello spogliatoio o con i tifosi i quali, dopo qualche tentennamento durante la trattativa per il rinnovo del contratto, hanno ripreso ad amarlo senza condizioni. Non con la società che è impossibilitata a fornirgli le risposte necessarie, semplicemente perchè resta in attesa del piu' volte annunciato riassetto proprietario. Ma unicamente con Ranieri che, secondo un sano e fondato realismo, resterà sulla panchina sino al prossimo mese di maggio. Il tempo è tiranno con ogni essere vivente, Totti non fa eccezione e le 34 primavere iniziano a pesare anche per lui. Ma non sono un fardello tale da renderlo un comprimario da quattro minuti a gara o da suggerirgli un dorato ultimo scorcio di carriera in America o negli Emirati Arabi. Totti può ancora fare la sua parte, senza la continuità dei tempi migliori ma innervando con classe e determinazione i meccanismi offensivi della squadra, che già di per sè abbondano di raffinati interpreti. Totti ha dato e ricevuto moltissimo dalla Roma, è stato ricoperto d'oro e ha ripagato con la stessa moneta un'intera città, non è il caso che esca dalla porta di servizio di un monumento che ha contribuito a costruire. Il colloquio avuto ieri con la dirigenza e Ranieri non sposta gli equilibri in gioco, odora piuttosto di un temporaneo rattoppo della situazione.
Ronaldinho ha invece abbandonato "alla chetichella" il Milan, un divorzio indolore per entrambe le parti che, lo ripetiamo ancora, rende perfettamente sovrapponibile l'avventura del brasiliano con quella di Rivaldo. Una similitudine che abbiamo richiamato piu' volte, e che anzi si colora di un particolare non proprio edificante per il "Gaucho".

Prima di fare ritorno in Brasile, Rivaldo salutò San Siro tra le lacrime e gli applausi, Ronaldinho si è dileguato da Milanello alla maniera di un fantasma, senza rumore, senza contraccolpi e senza rimorsi, al di là del commiato affettuoso presentatogli dal comunicato del Milan, speriamo che il Flamengo gli restituisca l'allegria persa e poi recuperata tra Barcellona e Milano.
Leo Messi Pallone d'Oro 2011. Una scelta inaspettata che ha mandato su tutte le furie i media spagnoli che attendevano l'incoronazione di Iniesta. Da questa stagione il Pallone d'Oro assomma il Fifa World Player e possiamo dire che il risultato raddoppia l'ingiustizia e rende ancora piu' discutibili i criteri di scelta adoperati dalla giuria. Prima l'esclusione di Milito fra i 50 candidati alla vittoria, poi l'estromissione di Sneijder dal podio finale. Ed ora lo scettro consegnato nuovamente a Messi. L'argentino, nella Liga, ha dominato come sempre, riuscendo ad eguagliare il record di marcature di Ronaldo. Nella Champions League ha maramaldeggiato, ma poi è stato messo bruscamente a tacere nella doppia sfida con Mourinho (a sua volta premiato come miglior allenatore). Al Mondiale, infine, Messi è stato costretto a fare scena muta. Un cospicuo bottino che però non regge se confrontato con quanto ideato da Iniesta e Xavi che in Sudafrica hanno offerto lezioni di calcio, o con i due interisti che la Champions l'hanno vinta, per non parlare di Sneijder che ai Mondiali non è rimasto semplicemente a guardare.
Chiudiamo con Luca Toni alla Juventus, un acquisto che va a tamponare l'emorragia in attacco subita da Delneri e che prelude ad un ulteriore arrivo sul fronte attaccanti. Ma non per soffermarci sulla Vecchia Signora, quanto per mettere in evidenza il completo fallimento del mercato estivo messo in piedi da Enrico Preziosi. "Luca Toni rappresenta l'investimento più importante della nostra storia, sono otto milioni di euro d'ingaggio all'anno ma ci darà delle soddisfazioni". Così affermava a fine giugno il presidente del Genoa. Ma dopo sei mesi, qualche fiammata in campionato e diversi guizzi in Coppa Italia contro squadre di serie inferiore, questo investimento è stato dirottato nel giro di 24 ore - e gratis - alla Juventus. I fatti si commentano da soli: le strategie sotto l'Ombrellone sono state totalmente smentite durante i mesi successivi, causando l'ennesima gincana di acquisti e cessioni (questa volta ne ha fatto le spese anche Gasperini) che puntualmente travolge il Genoa e non dà mai una visione d'insieme al progetto tecnico del Grifone. L'unico acquisto azzeccato risulta paradossalmente Boateng, ingaggiato perchè giocasse nel Milan, visto che tutti gli altri "colpi" sono andati a vuoto: insieme a Toni il portiere Eduardo, autore di papere inconfessabili, il portoghese Miguel Veloso, salutato come potenziale fenomeno e presto ridotto al rango di anonimo mediano (un destino simile a quanto vissuto da Alberto Zapater), l'argentino Zuculini non pervenuto e prossimo al rientro in Germania, o Rafinha che non ha dato seguito all'immenso credito maturato nella Bundesliga. Kaladze, arrivato quasi per caso da Milano negli ultimi minuti utili, ha avuto un rendimento discreto e null'altro, come il collega di reparto Chico, ruvido e spesso infortunato. In tutto ciò, appena iniziata la sessione invernale, le caselle "arrivi" e "cessioni" registrano già sei nominativi ciascuna. Si prospettano ennesime scommesse come Formica e Boselli, quest'ultimo naufragato nell'esperienza inglese, mentre Criscito, Sculli e Moretti vengono nuovamente segnalati in lista di sbarco, oltre - manco a dirlo - al neoacquisto Rudolf. Cambiare tanto difficilmente significa migliorarsi, se non si dà continuità e stabilità il rischio è di ritrovarsi al giro di boa impelagati nel centro classifica. Con la conseguente smania di cambiare tutto ancora una volta, alimentando un circolo vizioso che fa solo girare a vuoto.