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ESCLUSIVA TMW - Coronavirus, il paziente 1 a Valencia: "Da S. Siro all'isolamento: ecco la mia storia"TUTTO mercato WEB
sabato 7 marzo 2020, 09:45Serie A
di Giacomo Iacobellis
esclusiva

Coronavirus, il paziente 1 a Valencia: "Da S. Siro all'isolamento: ecco la mia storia"

Dalla notte Champions di San Siro al ricovero per Coronavirus presso l'Hospital General Universitario di Valencia, in pochissimi giorni la vita di Kike Mateu è stata letteralmente stravolta. Tornato a casa dopo la trasferta lavorativa a Milano, dove aveva seguito l'andata degli ottavi di finale tra Atalanta e Valencia insieme a tanti altri colleghi, il noto giornalista valenciano di Intereconomia Valencia, Las Provincias ed El Chiringuito de Jugones è stato infatti colto ben presto dalla notizia che nessuno, in questi giorni, vorrebbe mai sentirsi dare: positivo al COVID-19. Un fulmine a ciel sereno, che non gli ha però mai fatto perdere il sorriso, il buon umore, la fiducia... Perché, con ormai già dieci giorni alle spalle in isolamento, il vero problema per Kike Mateu non è stato infettivo, bensì affettivo, a causa della lontananza obbligata dalla propria famiglia e dai propri cari. Quanto alla malattia? "Niente più di un semplice raffreddore".

"Sto bene, non vi preoccupate per me", esordisce ai microfoni di TuttoMercatoWeb.com direttamente dalla sua stanza d'ospedale dopo l'ennesima giornata passata nella più profonda solitudine. "Non ho mai avuto tanti sintomi e adesso mi è rimasta semplicemente un po' di tosse secca. E pensare che sono arrivato in ospedale ormai mercoledì 26 febbraio... Vedendo che il raffreddore con cui ero tornato da Milano dopo Atalanta-Valencia non se ne andava, insieme al contemporaneo boom di casi in Lombardia, ho deciso infatti di farmi per scrupolo il test del Coronavirus. Volevo essere sicuro al 100% di non essere infetto per chi mi stava vicino, mai e poi mai avrei pensato di risultare positivo al tampone".

Cosa le è passato per la testa in quei frenetici istanti?
"È successo tutto in fretta, dai controlli al tampone fino al ricovero. Non mi sono mai turbato più di tanto per le mie condizioni fisiche, vi dico la verità. La prima cosa che mi è venuta in mente è stata piuttosto avvertire la mia famiglia e le persone con cui ero stato a Milano o a Valencia. Tutti dovevano subito sapere che cosa mi stava succedendo e a loro volta controllare di stare bene".

Che sintomi ha avuto lei nel dettaglio?
"Febbre, tosse, raffreddore, niente di più. Il problema sta semmai nelle categorie più deboli, come anziani o persone già affette da altre patologie. A correre i veri rischi sono infatti proprio quelle persone che dovrebbero prestare maggiore attenzione con qualsiasi altra infezione in circolazione, non solo col Coronavirus".

Ansie, preoccupazioni, paure... Lei sta vivendo tutto questo in prima persona: com'è vista in Spagna l'emergenza Coronavirus che ha messo sotto scacco l'Italia intera?
"La stiamo vivendo con grande apprensione. Sappiamo tutti che spagnoli e italiani hanno da sempre relazioni personali, lavorative e turistiche. Si tratta d'altronde di due Paesi vicinissimi, tanto umanamente quanto territorialmente, ma il numero crescente di casi sul suolo italiano ci allerta non poco. Da fuori sembra infatti che l'emergenza sia stata gestita con approssimazione e la paura è quindi quella che anche la Spagna possa diventare presto un focolaio".


L'allarme COVID-19 ha sconvolto anche il calcio. Eppure, a Valencia non sembrate troppo convinti delle porte chiuse scelte per il ritorno di Champions con l'Atalanta di martedì prossimo.
"Questa decisione non ha alcun senso, sono sincero. Il Governo spagnolo afferma che tale provvedimento serve a limitare l'afflusso di italiani che potrebbero venire a vedere la partita, ma tutto ciò è assurdo se non si limita in alcun modo anche la loro partecipazione alle Fallas (feste tradizionali di Valencia in programma ogni anno a marzo, ndr). Pensate che solo per la rituale Mascletà nella Plaza del Ayuntamiento di Valencia sono solite ritrovarsi migliaia di persone, molte di più e, soprattutto, molto più vicine tra loro rispetto a quanto avverrebbe al Mestalla".

Una misura priva di efficacia dunque secondo lei?
"Insensata e inutile, sì. Qui a Valencia siamo convinti che nonostante le porte chiuse saranno comunque tanti i tifosi dell'Atalanta che si presenteranno in città, passeranno un giorno di festa e caricheranno la loro squadra fuori dallo stadio prima e dopo la partita. Perché giocare a porte chiuse Valencia-Atalanta, se allo stesso tempo non impedisci a tutti gli italiani, specialmente a quelli del Nord, di raggiungere Valencia o il nostro Paese più in generale?".

Proviamo a parlare anche di calcio giocato. Le porte chiuse complicano ancora di più i piani della squadra di Celades: lei crede nella remontada?
"Considerando la fragilità difensiva mostrata all'andata da entrambe le formazioni, ero sicuro che al ritorno l'Atalanta avrebbe concesso ancora più occasioni rispetto alle già numerose palle gol di cui ha beneficiato il Valencia a San Siro nonostante il risultato finale. La remontada insomma mi sembrava possibile, non facevo drammi dopo quel 4-1 anche perché il Mestalla è uno degli stadi più caldi al mondo. Con uno stadio vuoto però cambia tutto: sarà molto, molto più difficile ribaltare il risultato di Milano senza la spinta dei tifosi di casa. Vada come vada la partita, lasciatemi mandare però un ultimo messaggio a chi ci sta leggendo. Ci tengo davvero".

Prego.
"Restate tranquilli, ascoltate chi come me si è ammalato e seguite alla lettera le misure di contenimento - chiosa Kike Mateu con una voce sempre piena di speranza -. Per una persona con un organismo ben funzionante, ovvero la maggior parte della popolazione, i sintomi del Coronavirus sono lievi. È molesto e fastidioso, ti obbliga a fermarti per due settimane, ma per fortuna non supera quasi mai quella soglia. Allo stesso tempo, tuttavia, è importante fare tutti la nostra parte quotidiana affinché i più deboli vengano protetti. Tutti uniti contro il virus, non smettiamo di combattere e, soprattutto, di prevenire".