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L'editoriale sulla C - Squadre B? Progetto da non riproporre
“Seconde squadre? Per come è stato frettolosamente concepito e introdotto dalla gestione commissariale, non è il mio progetto e lo chiuderò. Dobbiamo lavorare ad un sistema diverso, che premi davvero i giovani, innanzitutto abbassando il limite da 23 a 20 anni. Per com’è ora, serve solo a schierare giocatori in esubero". Così il presidente federale Gabriele Gravina nei giorni scorsi è tornato sul progetto Squadre B o Seconde Squadre recitando il de profundis di uno dei tanti lasciti negativi della stagione commissariale. Una bocciatura che era nell’aria visto che fin da quando era solamente presidente di Lega Pro, Gravina aveva osteggiato questa riforma se non nel merito quantomeno nei tempi. Del resto che questo progetto fosse nato morto era sotto gli occhi di tutti: una sola squadra al via (Juventus U23), problemi legati agli impianti (la stessa squadra bianconera è costretta a giocare ad Alessandria in mancanza di uno stadio adeguato) e alla digeribilità da parte dei tifosi di quelli che non ho mai esitato a definire dei cloni di plastica che mal di addicono a un campionato come quello di Serie C che deve essere il palcoscenico per le lotte di campanile e alla valorizzazione delle piazze piccole, più o meno storiche che siano.
Se la Serie C ha bisogno di riforme, e tutti sappiamo quanto siano esse necessarie, quella dell’introduzione delle Squadre B è probabilmente l’ultima e quella meno utile per ridare credibilità e respiro a un movimento in contrazione dove anche in questa stagione non mancano le criticità. Ben venga quindi la chiusura di quel progetto, ma che sia chiusura vera e definitiva. Nelle parole di Gravina infatti si legge fra le righe, magari mi sbaglio, un tentativo di tenere aperto uno spiraglio con le grandi che potrebbero iscrivere le proprie squadre di riserva con un limite d’età portato a 20 anni. Sarebbe un errore ancor più madornale poiché per i giocatori under 20 c’è già il campionato Primavera, che negli ultimi anni è cresciuto in competitività, che verrebbe così minato. Sono d’accordo con il collega Ivan Cardia quando dice che “rendere le regole troppo stringenti, orientate a schierare una banda di ragazzini fuori competizione, non aiuterebbe poi troppo”. Meno quando cerca di difendere un progetto che sta imbarcando acqua da ogni parte (“Sono squadre B? Le grandi possono usarle anche per far giocare elementi che non possono più andare in Primavera, ma che conviene tenere vicini alla casa madre, per una ragione o per l’altra”).
Chiudere il progetto, a prescindere dai possibili correttivi che la Federcalcio ha in mente, riporlo in soffitta e dimenticarlo lì è la cosa più logica da fare. E anche la più giusta. L’occasione è del resto ghiotta e lasciarsela sfuggire per provare a rianimare un progetto morto sarebbe deleterio e non certo un bel segnale per il nostro calcio.
Se la Serie C ha bisogno di riforme, e tutti sappiamo quanto siano esse necessarie, quella dell’introduzione delle Squadre B è probabilmente l’ultima e quella meno utile per ridare credibilità e respiro a un movimento in contrazione dove anche in questa stagione non mancano le criticità. Ben venga quindi la chiusura di quel progetto, ma che sia chiusura vera e definitiva. Nelle parole di Gravina infatti si legge fra le righe, magari mi sbaglio, un tentativo di tenere aperto uno spiraglio con le grandi che potrebbero iscrivere le proprie squadre di riserva con un limite d’età portato a 20 anni. Sarebbe un errore ancor più madornale poiché per i giocatori under 20 c’è già il campionato Primavera, che negli ultimi anni è cresciuto in competitività, che verrebbe così minato. Sono d’accordo con il collega Ivan Cardia quando dice che “rendere le regole troppo stringenti, orientate a schierare una banda di ragazzini fuori competizione, non aiuterebbe poi troppo”. Meno quando cerca di difendere un progetto che sta imbarcando acqua da ogni parte (“Sono squadre B? Le grandi possono usarle anche per far giocare elementi che non possono più andare in Primavera, ma che conviene tenere vicini alla casa madre, per una ragione o per l’altra”).
Chiudere il progetto, a prescindere dai possibili correttivi che la Federcalcio ha in mente, riporlo in soffitta e dimenticarlo lì è la cosa più logica da fare. E anche la più giusta. L’occasione è del resto ghiotta e lasciarsela sfuggire per provare a rianimare un progetto morto sarebbe deleterio e non certo un bel segnale per il nostro calcio.
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