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Lo sport come arma dei potenti e dei dittatori. Per questo le sanzioni durissime, le proteste sui campi e sugli spalti, le finali tolte e le esclusioni sono segnali necessari e forti: non c'è tempo da perdere
Nato a Firenze il 5 maggio del 1985, è caporedattore e inviato di Tuttomercatoweb.com. In tv in Rai con 90° Minuto e Calcio Totale, è stato voce di Radio Sportiva e firma de Il Messaggero
Chi l'ha detto che scendere in piazza, che issare una bandiera su un campo da gioco, che vestire una fascia coi colori giallo e azzurro, che indossare una maglietta con scritto 'No War', che abbracciare Oleksandr Zinchenko in lacrime, che rifiutarsi di giocare in Russia, che togliere una finale a San Pietroburgo o anche semplicemente restare in silenzio tra i propri pensieri davanti alle tragiche immagini dall'Ucraina, non serva a qualcosa? Chi si arroga il diritto di poterlo pensare? Chi crede davvero che il calcio e lo sport non servano a nulla, che i segnali arrivati negli stadi, sugli spalti e nelle conferenze di tutto il mondo siano gesti insignificanti, forse non ha coscienza di una filosofia tanto cara a quelli come Vladimir Putin. Lo sportwashing.
Lo sportwashing
Amnesty International lo definisce come 'sfruttare lo sport per rendere moderna la propria immagine e far distogliere lo sguardo dalla pessima situazione dei diritti umani del Paese'. Un tempo era il panem et circenses, oggi che gli orizzonti si sono allargati, che il mondo è diventato più piccolo, la pratica di cercar di ripulire e platinare la propria immagine grazie allo sport è diffusa in molte parti del mondo. E non da adesso. Delle Olimpiadi e della sua immagine, ne beneficiò pure la Germania Nazista: fu Joseph Goebbels a metter sul piatto di Adolf Hitler il progetto di un torneo buono per la Propaganda del partito. Nei tempi recenti il termine di 'sportwashing' è stato accostato a lungo all'acquisizione del Newcastle da parte del PIF. Dopo una lunga trattativa, la FA e la Premier League hanno dapprima bocciato i sauditi, poiché legati a doppia mandata col Principe ereditario, Mohammad bib Salman Al Sa'ud. In seconda istanza, però, la FA si è affrettata a garantire che 'non ci sono legami col regno saudita' e per questo l'acquisizione è andata in scena. Una pratica che lo stesso Vladimir Putin ha messo in pratica sia per quanto riguarda le Olimpiadi Invernali del 2014 a Sochi che i Mondiali di Calcio nel 2018, ma pure la Cina con quelle recenti invernali.
UEFA e FIFA diano un altro segnale fortissimo
Così, se lo sport è da sempre un'arma dei potenti, il significato che dovrebbero avere nei nostri cuori e anime quelle bandiere ucraine, quelle lacrime, quelle parole forti di Wojchech Szczesny, dei giocatori della Nazionale ma anche e soprattutto dei Fedor Smolov che con coraggio, forza, da russi, contestano duramente la guerra, dovrebbero essere doppi. Quei cinque minuti di silenzio prima delle partite di Serie A forse non sono abbastanza, ma cosa lo è, in pratica, a migliaia di chilometri di distanza, mentre una guerra stravolge le vite di quelli che potremmo essere noi? Scendere in piazza o abbracciarsi per un ideale significa gettare un seme. Cercare con ogni forza che chi c'è a fianco ora e chi ci sarà lotti per un mondo di pace. Utopie, forse. Ma togliere la finale a San Pietroburgo, estromettere da ogni competizione la Nazionale russa, toglier pure la Supercoppa di Kazan e vietare le competizioni europee, da subito, a tutti i club russi, deve essere un imperativo. UEFA e FIFA non perdano tempo e prendano semmai ancora nuove decisioni, ancor più forti. C'è una guerra e un futuro da costruire insieme. Anche con lo sport.
Lo sportwashing
Amnesty International lo definisce come 'sfruttare lo sport per rendere moderna la propria immagine e far distogliere lo sguardo dalla pessima situazione dei diritti umani del Paese'. Un tempo era il panem et circenses, oggi che gli orizzonti si sono allargati, che il mondo è diventato più piccolo, la pratica di cercar di ripulire e platinare la propria immagine grazie allo sport è diffusa in molte parti del mondo. E non da adesso. Delle Olimpiadi e della sua immagine, ne beneficiò pure la Germania Nazista: fu Joseph Goebbels a metter sul piatto di Adolf Hitler il progetto di un torneo buono per la Propaganda del partito. Nei tempi recenti il termine di 'sportwashing' è stato accostato a lungo all'acquisizione del Newcastle da parte del PIF. Dopo una lunga trattativa, la FA e la Premier League hanno dapprima bocciato i sauditi, poiché legati a doppia mandata col Principe ereditario, Mohammad bib Salman Al Sa'ud. In seconda istanza, però, la FA si è affrettata a garantire che 'non ci sono legami col regno saudita' e per questo l'acquisizione è andata in scena. Una pratica che lo stesso Vladimir Putin ha messo in pratica sia per quanto riguarda le Olimpiadi Invernali del 2014 a Sochi che i Mondiali di Calcio nel 2018, ma pure la Cina con quelle recenti invernali.
UEFA e FIFA diano un altro segnale fortissimo
Così, se lo sport è da sempre un'arma dei potenti, il significato che dovrebbero avere nei nostri cuori e anime quelle bandiere ucraine, quelle lacrime, quelle parole forti di Wojchech Szczesny, dei giocatori della Nazionale ma anche e soprattutto dei Fedor Smolov che con coraggio, forza, da russi, contestano duramente la guerra, dovrebbero essere doppi. Quei cinque minuti di silenzio prima delle partite di Serie A forse non sono abbastanza, ma cosa lo è, in pratica, a migliaia di chilometri di distanza, mentre una guerra stravolge le vite di quelli che potremmo essere noi? Scendere in piazza o abbracciarsi per un ideale significa gettare un seme. Cercare con ogni forza che chi c'è a fianco ora e chi ci sarà lotti per un mondo di pace. Utopie, forse. Ma togliere la finale a San Pietroburgo, estromettere da ogni competizione la Nazionale russa, toglier pure la Supercoppa di Kazan e vietare le competizioni europee, da subito, a tutti i club russi, deve essere un imperativo. UEFA e FIFA non perdano tempo e prendano semmai ancora nuove decisioni, ancor più forti. C'è una guerra e un futuro da costruire insieme. Anche con lo sport.
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