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Le cinque lezioni che il Milan può portarsi dietro da questa ChampionsTUTTO mercato WEB
© foto di DANIELE MASCOLO
mercoledì 8 dicembre 2021, 08:00Il corsivo
di Ivan Cardia

Le cinque lezioni che il Milan può portarsi dietro da questa Champions

Il Milan saluta la Champions League, e anche la sua sorella minore, nel modo più amaro. L’eliminazione arrivata dopo la sconfitta di ieri sera brucia forte, perché, nonostante il girone di ferro e un percorso a ostacoli, a un certo punto sembrava che l’impresa fosse nell’aria. È andata come è andata, e ora la testa dei ragazzi di Stefano Pioli, sognando lo scudetto ma con il primo obiettivo di difendere la qualificazione alla prossima edizione della Champions. Cinque piccole lezioni che il Diavolo può tenere con sé per il suo futuro e per quando tornerà a sentire la musichetta.

La strada è quella giusta. Partiamo da una cosa positiva: il Milan non ha sfigurato. Anche quando nella classifica del girone sembrava un gatto in tangenziale, in realtà aveva sempre tenuto testa ad avversari molto più preparati, quantomeno sul piano dell’esperienza. Esce dalla Champions senza aver mai perso con più di un gol di scarto: magra consolazione, ma qualcosa vuol dire. La strada scelta da Pioli, in linea con l’evoluzione del calcio che non dev’essere per forza giochista ma nel quale il gioco ha una sua importanza, è quella giusta. I rossoneri sono stati convincenti soprattutto quando hanno sfoderato le proprie armi migliori: ritmo, intensità, aggressione alta, velocità nel far girare la palla. Alla fine sono usciti, ma perché, nell’Europa che conta, ci sono squadre che queste cose le sanno fare meglio. Al momento.

Non è più il tempo delle scommesse. Al netto di alcune operazioni - Maignan e Giroud su tutte - l’ultimo mercato del Milan è stato una specie di caccia all’uova dalle galline d’oro. La dirigenza ha scommesso sul fatto che Brahim Diaz potesse reggere l’eredità di Calhanoglu, che Messias potesse reggere l’impatto con un triplo salto in avanti, che Pellegri recuperasse il tempo perso e diventasse il bomber del futuro. Non è il momento di tracciare un bilancio: alcune di queste scommesse oggi sembrano vinte e altre perse, ma la verità si saprà soltanto a fine stagione e non è questo il punto. Per il futuro, ai rossoneri servono giocatori pronti e di alto livello. Gente che costa, per capirsi. E la congiuntura economica è quella che è, non si sfugge. Però il Milan della rinascita può anche vivere tutto come una favola, ma ora che è tornato a questi livelli deve fare il salto di qualità.


La profondità della rosa conta. Non è soltanto una questione di quantità e non è soltanto una questione di qualità. È in parte un corollario della lezione precedente. Oggi la rosa del Milan ha delle lacune, se si guarda alle seconde linee e in qualche caso anche ai titolari. Ballo-Touré non è un’alternativa credibile a Theo Hernandez; Brahim Diaz non ha un vero sostituto; Saelemaekers è molto sottovalutato ma è un titolare “migliorabile”. L’età di Ibrahimovic e Giroud era un fattore ben conosciuto, eppure anche il terzo centravanti in rosa non dava segnali di grandissima affidabilità dal punto di vista fisico e della continuità, almeno a giudicare dalla storia recente. Ad alto livello, con una mole infinita di partite da giocare, servono ventidue titolari e oggi il Milan non li ha o almeno non in tutti i ruoli.

La preparazione è una questione da affrontare. Pioli ha assicurato che ci stanno ragionando in maniera seria. Al netto di Kjaer, il Milan si è giocato tutto senza Calabria, Rebic e Leao: giocatori fondamentali. Gli infortuni muscolari, inoltre, sono stati un tema già nella scorsa stagione. Di recente sono tornati di attualità e sono tanti per non pensare che ci sia qualcosa da registrare sotto questo profilo. Probabilmente la rosa rossonera - e ci mettiamo dentro anche lo sfortunato sorteggio - non sarebbe stata allo stesso livello delle altre tre neanche a pieno organico. Ma questo non lo sapremo mai.

Bisogna andare oltre gli episodi. Dopo la sconfitta di San Siro, Pioli se n’è mostrato ben consapevole quando ha detto che “con i se e con i ma non si fa la storia”. Per inciso, un segnale che a farla ci pensa eccome. A livello mentale e di prestazione, il 2-1 di Origi è stata una mazzata dalla quale i rossoneri non sono riusciti a riprendersi. È una cosa su cui lavorare, considerato che da qui a fine campionato serviranno nervi saldissimi. Nella testa, rimangono anche degli episodi arbitrali non felici: in alcuni casi la percezione supera la realtà, in altri - la gara casalinga con l’Atletico Madrid - è oggettivo che abbiano condizionato l’esito. Alla fine, però, l’arbitraggio finisce per essere sempre un alibi, anche quando c’è un fondo di verità, perché a chi vince non interessa mai e a chi perde interessa sempre. Lo scatto da fare è quello: per diventare grandi, alzare un troppo, gli episodi - di sfortuna, di infortuni, di arbitraggio - diventano qualcosa da superare, non macigni su cui soffermarsi nell’analisi della sconfitta.