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I deserti dell'Ajax
C'è un luogo in un mondo verde che Massimiliano Allegri chiama deserto. E' quel posto dove galoppare, sconfinato, goloso, dietro agli avamposti nemici. Solo che l'Ajax ha trincee alte e ben serrate, asfissianti. Ha maglie strette e giocatori pronti a spendere ogni singolo polmone, per l'impresa. Per gettare il cuore oltre l'ostacolo, come Erik ten Hag vuole, come ha studiato, come ha progettato. Architetto di una dinastia e di una filosofia, è stato allievo di Pep Guardiola, nella scuola di Johan Cruyff. E' la moderna sublimazione del pensiero Orange, meccanico e totale. L'Ajax pressa alto, rischia grosso, è giovane e scavezzacollo. Coi terzini, con le punte, coi mediani, col regista. Aggredisce e, almeno ad Amsterdam, subisce poco. Massimiliano Allegri, però, lì ha visto il pertugio, da scassinatore tattico. Ha capito che lì sta la chiave, nel palleggio veloce, nel tempo rubato. In quell'istante lungo una vita, che ti apre le autostrade. Avrebbe sperato di avere Douglas Costa, che è a un terzo di servizio. Ha il rimpianto sottaciuto, spesso giustificato ma vero, di aver rinunciato a Juan Guillermo Cuadrado, in tempi però di magra difensiva. Loro due, frecce nel suo arco. Cavalli e praterie, binomio perfetto. Amsterdam è terra di canali, acqua, arida d'occasioni e di fiato lasciato agli avversari. Però dietro nasconde deserti. Basta trovarli. Sfruttarli. Correre e segnare.
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