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Spalletti: "Qualificarsi in Champions vale più della Coppa Italia. La mia Roma baciata dal sole"TUTTO mercato WEB
© foto di PhotoViews
domenica 17 maggio 2020, 20:08Serie A
di Alessandra Stefanelli

Spalletti: "Qualificarsi in Champions vale più della Coppa Italia. La mia Roma baciata dal sole"

Ai microfoni di Sky Sport nel corso di ‘Casa Sky Sport’ è intervenuto Luciano Spalletti, ex tecnico di Roma e Inter: “Questo sport mi ha permesso di fare una vita da re, di conoscere campioni e di stare a contatto con persone e personaggi unici che in una vita normale non avrei mai conosciuto, non avrei mai fatto certe cose tipo essere ricevuto dal papa, sentire Andrea Bocelli che canta nella palestra dell’Inter, sono cose che porterò sempre con me. Questo sport mi ha dato dei grandissimi privilegi”.

Come ha vissuto la sua vita senza calcio?
“Questa è una domanda non semplice, è il più grande infortunio di massa della storia del calcio e dello sport in generale. I calciatori sono stati obbligati a fermarsi all’improvviso come succede in un infortunio muscolare. Come si ripresenteranno ai blocchi di partenza dipenderà dalla capacità che ognuno di loro ha avuto nel dialogare con il suo corpo. C’è da fare un applauso al personale sanitario, medici, infermieri, ma anche tutte le persone che si sono impegnate per migliorare le cose. È stata una dimostrazione di cosa significa lavorare per gli altri, mi faceva piacere ringraziare tutti”.

Che idea si è fatto della possibile ripartenza del calcio italiano?
“È chiaro che poi qualunque soluzione verrà adottata per finire il campionato farà dei contenti e degli scontenti. Quando si devono cambiare le cose in corsa non esistono soluzioni eque per tutti. Io penso che bisognerà tornare a giocare mettendosi le mani sul cuore perché la gente vuole vedere il calcio. Io sarei contento di veder ripartire il nostro campionato. Andrà fatto pensando a quanto ha sofferto la gente e pensando che il calcio è lo strumento più forte per l’intrattenimento delle persone. Nei limiti della sicurezza dobbiamo pensare anche a loro”.

Che ricordo ha dell’Inter e dei suoi tifosi?
“Di ricordi belli ne ho molti, anche perché siamo arrivati in fondo a tutte e due le stagioni con il fiato sul collo di quelli che rimanevano fuori dalla Champions. Quei momenti lì sono stati forti, emozionanti. Probabilmente quello della prima stagione a Roma contro la Lazio è uno dei momenti che mi hanno fatto gioire di più. Poi il secondo derby nella seconda stagione quando tutti ci davano per spacciati. Rivedere il popolo interista gioire è stato qualcosa che ormai fa parte dei miei ricordi che sono anche in questa stanza (ha detto indicando le maglie esposte alle sue spalle, ndr)”.

Ma lei si aspettava di ribaltare quel risultato all'Olimpico e di andare in Champions League?
“Me l’aspettavo sì, per forza… Quando si fa questo lavoro bisogna pensare nella direzione giusta. La maniera corretta di pensiero è quello cui badano i calciatori, sono loro che assorbono i movimenti, i pensieri, la convinzione di potercela fare. Nello spogliatoio all'intervallo ci siamo detti le cose corrette e le reazioni sono state quelle che volevo vedere. Poi ci vuole il calciatore di personalità, che non si lascia mettere nell'angolino anche quando le cose non vanno bene".

Crede che abbiamo sottovalutato tutti quanto lei ha fatto all’inter?
“Non so come valutate la mia storia all’Inter, ma il raggiungimento della Champions dopo la vittoria del campionato è l’obiettivo più importante, chiaro escludendo una possibile finale di Champions. È superiore a vincere una Coppa Italia, se si chiede cos’avrebbero preferito chi ha vinto la Coppa Italia sicuramente ti dirà lo stesso, non ti dà trofei ma ti porta a giocare nella competizione più bella del mondo. Delle difficoltà le abbiamo avute, io non ho mai usato le squadre per obiettivi personali, non ho mai barattato gli obiettivi di squadra per salvaguardare la mia immagine. O si fanno le cose in maniera professionale o ci si mette mano. Si dice spesso che i panni sporchi si lavano in casa, ma a volte bisogna portarli alla lavanderia a gettoni e attaccare pure la centrifuga”.

Il rapporto con Sabatini?
“Mi sono alzato in piedi per lui. E’ un vero genio lui, un grande professionista, è un grande amico. All’inizio ci siamo un po’ annusati come gli animali randagi, si fa per capire chi si ha davanti. Poi è stata un’amicizia totale, fatta di professionalità e di stima. Ognuno di noi sapeva di avere davanti uno più malato di calcio. Passavamo notti intere a parlare di calcio e di calciatori. Se Marzullo avesse pensato a noi gli avremmo dedicato nottate di trasmissioni. Se il calcio fosse un film, lui ne sarebbe un grande regista. Sa sempre trovare calciatori che sanno emozionare il pubblico. Nel 2015/16 senza avere soldi a disposizione è riuscito a portarmi dei calciatori fondamentali come Perotti ed El Shaarawy che poi sono stati decisivi nella stagione”.

Come ha fatto a vedere in alcuni calciatori quello che altri non vedono?
“Per quanto mi riguarda cerco sempre di rendere protagonisti i calciatori. Si va a difendere quello che riguarda il club, ma loro sono i protagonisti assoluti. Si va a dialogare con loro, si va a sentire quello che dicono, perché parlano in modo corretto. Ormai sono tutti nella loro realtà e vogliono far bene e creare un marchio nella storia calcistica. Io lì ho tentato di vedere quelle che fossero le loro capacità. Perrotta partiva mediano, lo vedevo nel Chievo che sapeva inserirsi. Assomiglia un po’ a Vecino, che però ha bisogno di uno spazio definito ed è difficile che possa cambiare idea perché ha il passo lungo. Perrotta riusciva ad abbinarci altre situazioni alla scelta fatta all’inizio. Tutt’e due sanno finalizzare bene le azioni. Nainggolan uguale. Per farlo ci vuole lo spazio dentro l’area di rigore da usare, con lo zero lì davanti. Lo zero era Totti, che non si faceva mai trovare dai difensori avversari. Andava a mettersi dove non era prendibile e gli spazi venivano da riempiti da lui. Si ascoltano i loro comportamenti negli allenamenti”.

Il segreto della sua Roma?
“Quella era una squadra baciata dal sole di Roma, era una squadra fatta di calciatori che si passavano la palla senza mai mettere in difficoltà i compagni. Il modo in cui devo dartela è come la vorrei ricevere. Per fare così ci vuole tanta qualità”.


Domanda di David Pizarro: un giorno ti piacerebbe allenare la Fiorentina?
“Lui è il primo che si prende la centrifuga, un paio di cose di lui le ho da raccontare… nella mia carriera mi ha dato una mano fondamentale. È sempre online, è il giocatore che tiene continuamente la squadra connessa. Quando l’go conosciuto la prima volta portato da Gino Pozzo l’ho visto sul lettino dei massaggi e col metro ho pensato ‘Che giocatore m’ha portato?’. Poi l’ho visto in campo e sembrava avesse sempre giocato in quella squadra. Anche alla Roma ha fatto partite di un livello incredibile, forse anche troppo generoso. È un po’ simile a Brozovic, è uno che vuole toccare tutti i palloni che toccano i compagni e questo a volte non è possibile. Pizarro è un elemento eccezionale per lo spogliatoio: ricordo che era uno soggetto a prendere qualche chilo e ormai si era creato un gioco per cui quando arrivava il momento del peso si levava la catenina, si faceva la barba o si tagliava le unghie. Quando saliva sulla bilancia, e si vedeva che era nel peso, i compagni facevano la ovazione e lui cantava. Poi prendeva un vassoio di dolcetti e li offriva a tutti, poi veniva dietro a me e li mangiava perché tanto era nel peso”.

Ma quindi allenerebbe la Fiorentina con un buon progetto?
“Non conta il bel progetto o la possibilità di spendere 200 milioni in un mercato. Io ritorno ad allenare perché mi piace questo lavoro, non vedo l’ora di farlo il prima possibile. Gli allenatori con quello che hanno fatto devono essere pronti ad allenare anche sei mesi, non è che ci deve essere per forza un progetto. Bisogna allenare quello che si ha a disposizione. Io penso che la Fiorentina sia in buonissime mani, Iachini ha fatto vedere di avere le carte in regola per fare anche campionati di alta classifica. Io lo dico da simpatizzante della Fiorentina e da simpatizzante di Iachini. Da simpatizzante viola, dico che i vertici della Fiorentina hanno capito che per fare questo matrimonio ci sarebbe un problema (lo stipendio elevato, ndr) e meno male si sono accorti solo di quello…”, ha detto ridendo.

La Roma 2016/2017 è la più completa che hai mai avuto?

"A Roma avevo una squadra piena di campioni, Nainggolan, Strootman, Manolas, Rudiger, Salah. Poi Dzeko, con lui puoi giocare in ogni modo. Dzeko sa segnare e fare assist, gioca un calcio totale, sa segnare, sa venire incontro a fare il regista, sa giocare in profondità. È completo, si trova in ogni calcio che si gioca. Forse il suo limite è che ogni tanto si accontentava delle grandi giocate che faceva. Ricordo che una volta fece due gol, poi nella riunione di inizio settimana ho cercato di stimolarlo, anche perché le cose di solito a un calciatore le dico quando fa bene, e lui mi rispose in maniera seria. Lui ha un grande carattere, ma in dei momenti tende ad accontentarsi, magari ha fatto due gol, senza pensare che poteva farne altri due".

Videomessaggio di Aquilani: "Quella sera che all'una di notte mi hai bussato a casa, che volevi?"

"In alcune società ho acquisito una confidenza molto profonda. Lui era un ragazzino al tempo, lo minacciavo che lo sarei andato a trovare a casa per controllarlo e allora una sera ci sono andato. Serviva per tenere alta la guardia".

Il rapporto con Totti?

"Penso di essere stato sempre lo stesso con Francesco. Lui ha parlato di fase 1 e fase 2, io sono stato sempre lo stesso, ma queste due fasi richiedevano un atteggiamento diverso. Con Francesco ho avuto un buon rapporto, poi per me contano i risultati della squadra e devo per forza pensare a quello. La Roma meritava di stare in Champions, dovevo portarcela. Io sono sempre stato lo stesso, ciò che cambiava era la situazione. Ho dovuto adottare due comportamenti diversi, ma solo per mettere al primo posto i risultati della squadra. Auguro a Francesco una grande carriera da procuratore".

Gli anni allo Zenit?
“Sono stati anni bellissimi, attraverso il calcio ho visto cose che non avrei mai visto né conosciuto. La Russia di queste cose ne ha tante e io ne ho tante che potrei raccontare. Criscito ha avuto la professionalità e l’intelligenza di sapersi adattare in un posto non facile e di fare una carriera assolutamente di primo livello in un calcio difficile come quello russo. Quando l’ho portato lì mi diedero merito per aver preso quattro calciatori in un colpo solo perché spesso mi capitava di metterlo due volte in formazione, l’ho fatto giocare in tantissimi ruolo diversi. È un bravissimo ragazzo, aveva legato con i russi, con i sudamericani. Quando ci sono calciatori di tutte le etnie non è semplice riuscire a compattare tutto e lui era nel centro di questo compattamento, di questa unione che ci doveva essere nello spogliatoio”.

La frase: 'Uomini forti, destini forti...' come è nata?

"E' nata così... Poi ha avuto un riscontro particolare, tant'è che si cercherà di metterla in evidenza perché merita una cornice. La cosa che mi ha fatto piacere è stata vedere in questi giorni un medico, dentro gli ospedali, che dietro la tuta aveva scritto questa frase col pennarello. Mi ha riempito di orgoglio e di piacere. Però è una frase sintetica, che rende subito l'idea a chi la ascolta, di quelle che si cercano spesso. Si spiega da sola, ma è venuta come tante altre frasi che gli allenatori cercano per ottenere una risposta".

C'è qualche calciatore che avrebbe voluto allenare?

"Ho tante maglie di giocatori che ho allenato e di altri giocatori che ho avuto come avversario. Vieri mi sarebbe piaciuto allenarlo, come Drogba o Rooney. Ma anche gente come Kakà, Cannavaro che è una persona eccezionale. Però poi sono stato fortunatissimo ad allenarne tantissimi che all'inizio, quando ho deciso di fare questa professione, mai avrei creduto di dirigere. Mi bastano questi".