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Castroman: "Tirai la maglietta in faccia a Mancini. Ora vendo santini nella mia Lujan"

ESCLUSIVA TMW - Castroman: "Tirai la maglietta in faccia a Mancini. Ora vendo santini nella mia Lujan"
mercoledì 22 luglio 2020, 06:00Che fine ha fatto?
di Gaetano Mocciaro

Che fine ha fatto Lucas Castroman? Ce lo racconta proprio lui, ai microfoni di Tuttomercatoweb. Oggi 40 enne, l'argentino si presentò alla Lazio segnando nel derby della capitale una rete che valse un pari al 95'. Tanto è bastato per entrare nel cuore dei tifosi biancocelesti. Da 10 anni ha lasciato il calcio, pur senza chiudere definitivamente la porta.

Lucas Castroman, dove vivi oggi?
"Vivo in Argentina, a Luján. A livello turistico è una delle mete più importanti del Sudamerica, le persone vengono da tutto il continente per pregare la Madonna del Luján. La chiesa, peraltro, è la più alta del Sudamerica".

Di cosa ti occupi?
"Ho un B&B che lo gestisco con mia moglie, a 100 metri dalla chiesa. Ho anche un salone per fare gli eventi importanti, che può ospitare 300-350 persone. Prima se ne occupava mia moglie che è una wedding planner e io le davo una mano, poi 5 anni fa è nata la mia ultima figlia e abbiamo lasciato ad altri la gestione. Ho anche dei locali commerciali. E poi con mio padre e i fratelli abbiamo una santeria, dove vendiamo dei santini che sono vicino alla chiesa. Del resto i pellegrini che arrivano sono tantissimi: nei due giorni in cui si celebra la Madonna (8 maggio e 8 dicembre) la stima è di 4 milioni di persone. La prima domenica di ottobre, inoltre, c'è un pellegrinaggio di giovani e lì arrivano mediamente in 2 milioni. Nel weekend infine la città si riempie, con tante persone che giungono a pregare la Madonna di Luján".

E il calcio?
"Non l'ho abbandonato. Da cinque anni ho una scuola calcio e ci occupiamo solo di formazione dei ragazzini. Ma il nostro scopo è fondamentalmente educarli alla vita, farli diventare uomini. Inoltre sto seguendo il corso per diventare allenatore che terminerà a novembre. Punto ad avere il patentino, in futuro non si sa mai. Diciamo che se dovessi scegliere, mi piacerebbe fare il dirigente. Ma non c'è fretta, valuterò con calma".

Ti sei ritirato molto presto dal calcio giocato. Come mai?
"Sì, perché il calcio mi aveva deluso. Ho visto le ingiustizie, magari mi è capitato di poter giocare e tante volte per un fatto politico, della società o dei dirigenti non mi hanno fatto giocare. Mi ero stufato, non mi piaceva dire bugie ma non me la sono sentita più. Mi sono ritirato nel 2010, a 30 anni. Potevo continuare ancora 5-10 anni perché fisicamente stavo bene, ma avevo scelto di stare con la famiglia. Del resto ho cominciato a fare il professionista a 16 anni e 13 anni di carriera possono essere sufficienti. Quando mi sono ritirato, nel 2010, ho continuato a ricevere offerte per alti cinque anni. C'erano squadre che mi cercavano, potevo andare in Qatar a prendere tanti soldi ma io penso che i soldi non facciano la felicità".

Una mosca bianca, nel mondo del calcio
"Quando ero piccolo mio papà lavorava dalle 5 del mattino alle 10 di sera, a volte non avevamo da mangiare, eppure ce l'abbiamo fatta. A volte penso a cosa serva avere tanti soldi. E poi ho tre figli: il più grande ha 16 anni e ho cominciato a 'viverlo' 8 anni fa. Facendo il calciatore mi sono perso 8 anni della sua vita. Adesso è meglio, posso gestire il mio tempo".

Cosa ti ha nauseato del calcio?
"Ci sono stati momenti brutti alla Lazio. Avevo 24 anni potevo rimanere anche a vita ma avevo voglia di giocare. Sono successe delle cose, non mi hanno detto la verità e mi sono trovato in una situazione un po' diversa rispetto ai miei principi. Nel 2003 potevo andare all'Udinese, in una trattativa che coinvolgeva anche Fabio Liverani. Lui rifiutò il trasferimento e l'affare saltò. Mi ritrovai alla Lazio ma fuori dal progetto: Mancini diceva che contava su di me ma che la società voleva vendermi, la società l'esatto opposto. Di fatto ero un corpo estraneo, la squadra era andata a fare delle amichevoli in trasferta, lasciandomi a Formello. Arriviamo a giocare il preliminare di Champions League contro il Benfica e dopo essere stato messo da parte per 25 giorni, Mancini si accorge che non ha alternative se non schierarmi, dato che mancavano tanti giocatori. Quando mi disse di giocare io gli ho buttato la maglietta in faccia, dicendogli: 'Adesso giochi tu, perché sei un grande e io un ragazzino'. A quel punto ho chiamato Spalletti, che allenava l'Udinese, e gli ho chiesto se c'era possibilità. Lui diede l'ok e mi sono trasferito a Udine. Per il resto poi non ci fu l'accordo per comprare il mio cartellino e a fine stagione tornai in Argentina, al Vélez. Da lì dopo qualche anno in patria ho deciso di appendere le scarpe al chiodo".

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