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Dybala si prende la Juventus… o il Manchester United? Il piano Agnelli per la Champions non ha limiti: ecco perché la strada a Pogba può essersi spianata. Perché Agnelli ha provato a sbolognare Marotta

Dybala si prende la Juventus… o il Manchester United? Il piano Agnelli per la Champions non ha limiti: ecco perché la strada a Pogba può essersi spianata. Perché Agnelli ha provato a sbolognare MarottaTUTTO mercato WEB
mercoledì 3 ottobre 2018, 00:002018
di Tancredi Palmeri

Finché Dybala è stato l’uomo del giorno prima, ha sofferto i paragoni ed è andato in crisi di prestazione. Chissà che adesso che l’attenzione si è spostata su Cristiano, non possa tornare a esprimersi con libertà e leggerezza (sempre che giochi). Al di là della tripletta e della prestazione contro gli acerbi Young Boys, rimane un gol che ha avuto venature di Baggio, o anche di Del Piero visto il contesto: senza voler uccidere la Joya con altri paragoni letali, ma una carezza balistica degna degli altri due numeri 10 come lui, tutti e tre accomunati dall’essere dei 9 e mezzo. Ma con il paragono ci fermiamo qua.

Teoricamente Dybala si riprende la Juventus, quella senza Cristiano almeno, perché era pur sempre in campo con Bernardeschi e Cuadrado dietro di lui, qualcosa di impensabile in presenza della contundenza di CR7 accoppiata però a una limitata generosità nella copertura.
Chissà però che Dybala non possa prendersi in un immediato futuro il Manchester United. Non che lui stia spingendo in quel senso, o che la Juve si sia messa a cercare acquirenti: è Mino Raiola che paradossalmente potrebbe venire a bussare per lui.

Perché i grandi affari, si sa, ormai li imbastiscono i procuratori e solo quelli più intraprendenti: Cristiano finisce alla Juventus grazie all’architettura e alla manovalanza di Jorge Mendes. E per questo, se Paul Pogba dovesse muoversi a gennaio, questa al momento sarebbe l’unica via praticabile (che non vuol dire si debba praticare): un Pogba direzione Torino, per un Dybala direzione Manchester.

Ricordiamo che, come svelato da Pep Guardiola, già a gennaio dell’anno scorso Raiola offrì Pogba al Manchester City, l’unico in quel momento che se lo potesse permettere, vedendosi la porta sbattuta in faccia. La situazione un anno dopo se possibile è ben peggiore: Mourinho sta sulla panchina come d’autunno sugli alberi le foglie, ma per ora resiste, salvato nel martedì di Champions da un recupero miracoloso all’89’ di Luke Shaw. Magari nel giro di due settimane Mourinho crollerà, e allora a quel punto gli del mondo pogbiano si cheteranno, e non ci sarà bisogno di cercare nuovi orizzonti, perché il presente con Zidane a farti da allenatore sarà più che sufficiente.

Ma se fino a gennaio Mourinho dovesse resistere, aiutato dagli abbondanti 20 milioni di penale che dovrebbe pagare il Manchester United in caso di esonero, allora in quel caso Raiola fermo non ci starà. Anche perché fermo non ci sta mai, e anzi proviene da un’estate dove la casella delle commissioni è stata ben poco animata.

Due erano e sono le strade percorribili per Pogba: Barcellona, dove gli accordi erano già raggiunti ad agosto tra calciatore e società, ma da dove non è mai partita l’offerta giusta per il Manchester United; e appunto Juventus, dove le riunioni assomiglierebbero a formalità.
Ma a Barcellona hanno appena presentato il bilancio, e i conti sono allarmanti: un monte stipendio che pesa per 630 milioni di €, un fatturato che deve crescere ancora di più per non finire in regime controllato di financial fair play, e insomma l’offerta allo United da almeno 120 milioni più 17-18 milioni all’anno per il giocatore sembrano di colpo insormontabili.

La Juve però dal canto suo è rimasta con in pancia circa 170 milioni non coperti della spesa per Cristiano, che dovranno essere coperti in futuro con i ricavi CR7iani in espansione, insomma una felice incognita a cui sicuramente non aggiungerne un’altra.
Ma se Agnelli si è preso questo rischio d’impresa per poter vincere la Champions finalmente, allora niente toglie che a gennaio possa fare lo stesso ragionamento, aggiungendo un Pogba di cui sicuramente ci sarebbe bisogno, al posto di un Dybala che è uno spreco faccia il 12esimo.
Non è qualcosa che sta avvenendo, ma badate che non è fantacalcio: anche perché alla Juve lo sanno bene che una stagione con tutte le altre grandi europee più o meno in crisi come quest’anno potrebbe non ricapitare più. E Cristiano va per i 34 anni, ed è longevo ma non eterno…

Sicuramente eterno non lo è nessuno, men che meno i dirigenti. Ma c’era modo e modo di terminare la storia di Marotta alla Juventus. Non si parla di stile, ma semplicemente di rispetto per quello che comunque ha potuto portare al club, accanto a Agnelli e Paratici.
La Juventus perderà l’architettura italiana, che è stata una delle tre stampelle su cui poggia il progetto juventino: se Agnelli è la mente globale del progetto, se Paratici è l’uomo dei colpi stranieri che hanno innescato un circolo virtuoso, Marotta però è stato il fautore di tutto il mercato italiano che ha fornito alla Juve preziose seconde linee, e soprattutto preziose plusvalenze nonché una rete di prestiti e giovani che foraggiano questo circolo virtuoso dei conti juventini.
Difficile credere al concetto di rinnovamento di cui parla Agnelli: che senso ha cambiare il capo di qualcosa che tu stesso hai giudicato andare perfettamente?
Lo hanno capito tutti che Marotta è stato fatto fuori, anche se nessuno pensava lui e il presidente non avessero totale identità di vedute. E infatti nemmeno si tratta di divergenze, ma forse di occupazione del potere, di presidenti che forse ritengono i fedeli amministratori delegati troppo ingombranti.
Del resto è stata una costante di questo ciclo agnelliano il repulisti di chi potesse oscurarne il dominio assoluto, che si trattasse di allenatori come Conte, o di leggende come Del Piero.

Onestamente nessuno aveva intravisto potesse esserci una sensazione simile verso Marotta, eppure pur essendo fedele ad Andrea Agnelli, l’amministratore delegato però ab origine era stato scelto dall’altra ala della famiglia, quella di John Elkann, il che probabilmente lo rendeva smarcato dalla totale subalternità al presidente della Juventus.

Forse dietrologia, forse supposizioni. Ma allora perché licenziare così Marotta? (Perché di licenziamento si tratta, quando non rinnovi un contratto in scadenza così importante).
E soprattutto, perché un mese fa provare a sbolognarlo, mandando in giro la voce della sua candidatura in Figc, provando a testare il terreno, chiedendo l’aiuto della politica sportiva a Roma, insomma facendo di tutto pur di toglierselo dai piedi?

Cambiare è lecito, per carità. Ma lo dicevano già i latini: est modus in rebus.