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Juve: 113 motivi per temere il Barcellona e 1 solo (ma decisivo) per non avere paura. Inter: il futuro di Pioli e la scelta dei nerazzurri. Milan: 2 nomi concreti per il mercato (e l’agenda di Fassone). Un appunto a Orsato

Juve: 113 motivi per temere il Barcellona e 1 solo (ma decisivo) per non avere paura. Inter: il futuro di Pioli e la scelta dei nerazzurri. Milan: 2 nomi concreti per il mercato (e l’agenda di Fassone). Un appunto a OrsatoTUTTO mercato WEB
© foto di Alessio Alaimo
martedì 18 aprile 2017, 08:142017
di Fabrizio Biasin

Da tre giorni non faccio altro che pensare ai celebri ricercatori dell’Amaro Montenegro, alla loro perseveranza nell‘individuare e mettere in salvo l’Antico Vaso. Li invidio molto, perché si danno sempre un gran daffare e cascasse il mondo non falliscono mai.
Questi signori dopo aver affrontato mille peripezie trovano sempre l’Antico Vaso, ma poi non stanno lì a tirarsela, a dire “oh, io ho trovato l’Antico Vaso, tu niente?”, semmai festeggiano in grande semplicità con litrate corpose di amaro che dispensano ad amici e conoscenti.
Vorrei sentirmi realizzato come uno dei ricercatori della Montenegro, davvero, altro che “fare il giornalista”.

Questo sfogo è rivolto a tutti quelli che “vorrei fare il tuo mestiere perché è sempre meglio che lavorare”, il ché è vero ma non sempre.
Vi racconto brevemente la mia Pasqua.
La mia Pasqua inizia venerdì Santo. Venerdì Santo molti di voi hanno lasciato le rispettive abitazioni per andare chi al lago, chi al mare, chi dall’amante. Altri sono semplicemente rimasti sul divano e hanno scritto “tanti auguri a te e famiglia” a molti conoscenti. Sono scelte.
Io no. Sono andato alla conferenza di insediamento dei cinesi del Milan. A codesta conferenza si è parlato di molte cose, nessuna che contemplasse grigliate pasquali, menu per pranzi luculliani, gite in amicizia. Si è parlato solo di “prestiti con interessi di un certo tipo”, o “protezionismo cinese” o “bilanci e mercato”. Neanche lo straccio di un amaro, insomma.
All’uscita dalla conferenza uno mi ha anche detto “stronzo giornalista” e io gli ho risposto “perché scusa?” e lui mi ha detto “non ho tempo di parlare con te, parto per il fine settimana pasquale”.
A quel punto sono tornato in redazione. Il venerdì Santo è terminato alle ore 23 circa, dopo aver scritto cose abbastanza inutili. All’uscita dalla redazione non c’era nessuno: parcheggi mediamente vuoti, poco traffico, tutti via. E uno dice “che fortuna, Milano deserta è bellissima…”. E tu: “Mah, insomma. Tu dove sei?”. E lui: “A Santa Margherita a sbocciare, son mica scemo”. E lì ti senti molto solo.
Sabato mattina mi sono svegliato presto: c’era il derby. Appena sono sceso in strada ho capito perché a Milano non c’era nessuno: erano tutti in metropolitana, linea lilla, direzione San Siro. Sulla linea lilla il regolamento impone che non ti devi lavare. Cioè, io il regolamento non l’ho letto ma tutti sapevano di agnello, forse per l’approssimarsi della Santa Pasqua. Dopo soli 50 minuti di ressa in metropolitana sono arrivato allo stadio e ho pensato “oh, saranno anche tutti al mare, al lago o con l’amante, ma io mi vedo lo straordinario derby cinese!”.
Circa novantasette minuti dopo avevo idee diverse e il telefono rovente. Amico 1: “Te la sei presa nell’Orsato eh?”. E un altro: “Ti giro via mail i dati sui bilanci della Elliott negli ultimi 10 anni. Sono molto interessanti”. E un altro ancora: “Tanti auguri a te e famiglia”. Anche in questo caso niente amari. Appena ho poggiato il telefono in tasca, uno mi fa: “Vaffanculo a te e Pioli”. Se avesse avuto l’Antico Vaso tra le mani me l’avrebbe spaccato certamente in testa, quindi ho scelto di accelerare il passo verso la redazione.
La giornata è passata tra prese per il culo oratoriali, articoli scritti a fatica, umiliazioni pubbliche, dirette tv di fianco a colleghi che non te la fanno pesare, tipo Mauro Suma. In compenso, tornato a casa, ho trovato subito parcheggio (“che bella Milano quando tutti sono via e tu, fortunato, puoi goderti la pace e il silenzio offerti da questa straordinaria città”. Sì, vaffanculo a te e ai tuoi cari).
La domenica di Pasqua è trascorsa tra pranzi in famiglia a dover fronteggiare attacchi pallonari (“Icardi è una sega”, “Per me no”, “Icardi è un fallito”, “Per me no”) e allegati molto maturi ricevuti su WhatsApp tipo teste di Zapata che escono dall’uovo di Pasqua o foto di Orsato che intima a Gesù di non uscire dal Sepolcro al grido di “non ancora! Conto fino a cinque!”. In serata consueta diretta tv a parlare di calcio e di Icardi (“che è una sega”, “per me no”, “è un problema”, “per me no”), quindi comodo parcheggio sotto casa perché, ovviamente, non c’era un cazzo di nessuno.
Lunedì tipica gita di Pasquetta? No, redazione fino ad ora, ovvero le 23. In compenso tra breve tornerò a casa e non troverò parcheggio a causa del “grande rientro” e di quelli che “beato te che ti sei goduto la Milano deserta, certi silenzi che solo la città sa dare. A proposito, sono stato su Marte, quanto è finito il derby?”. Ed è proprio in questi momenti che pensi a come sarebbe bello vivere nella comune della Montenegro, là insieme ai ricercatori che con la scusa di ‘sta fava di Antico Vaso se ne fottono di Orsato, dei parcheggi, della linea lilla e passano intere giornate perennemente strafatti di amaro zuccherino. Credete a me, quelli sì che hanno capito tutto.

QUI INTER
L’Inter ha perso, anzi pareggiato, ma conta davvero poco. Quello che è successo nel finale del primo derby cinese stronca ogni velleità a qualsiasi livello: inutile parlare di classifica, prospettive, inutile provare a ragionare.
Il gol di Zapata condanna una squadra certamente immatura e stravolge ogni analisi. Se Orsato avesse fischiato al 96’: “Che bravo Nagatomo, una partita di grande applicazione la sua!”.
E, invece: “Ma che cazzo gioca a fare Nagatomo che è un pippone?”.
Se Orsato avesse fischiato al 96’: “Oggi bene Kondogbia, gran ruba palloni nel momento di difficoltà!”.
E, invece: “Kondogbia 40 milioni buttati al cesso”.
Se Orsato avesse fischiato al 96’: “Dai, finalmente Pioli ha vinto uno scontro diretto, a momenti Biabiany fa il gol del 3-1, comunque la squadra ha dimostrato che segue ancora il suo allenatore”.
E, invece: “Pioli cazzo ha messo Biabiany? Doveva entrare Gabigol! Tecnico incapace, fuori dalle balle, non regge la pressione”.
Tutto giusto, in fondo contano i risultati, non i “se”.
A meno di un finale di stagione miracoloso Pioli lascerà il posto a “un big”, uno di quelli che “garantiscono i risultati”. Tipo Mancini, per dire, che poi è diventato “quello da cacciare”. O tipo De Boer, che dopo 15 giorni si è trasformato nel “problema”.
Ecco, molti mi scrivono “cazzo difendi Pioli? Cazzo difendevi De Boer?”. A questi rispondo facendo notare che non difendo Pioli oggi, così come non difendevo De Boer ad ottobre. Il sottoscritto, banalmente, prova a difendere l’Inter dall’isterismo di chi appena capisce che non potrà esultare per una qualche vittoria, trova nell’attacco al tecnico un’alternativa alla noia. Senza un minimo di equilibrio anche il prossimo allenatore finirà sulla forca come è successo a tutti i precedenti. Tutti tranne Mourinho, che ha avuto la lucidità di andarsene da vincente.
L’Inter era ed è una squadra con ancora troppi difetti, ma anche qualche punto fermo. Icardi, per esempio. Anche con lui si va “sull’altalena”. Si è passati dal definirlo “sopravvalutato e assetato di denaro” a considerarlo “unico degno”. Tutto per quel legittimo minuto e mezzo in più di recupero concordato da un arbitro assai autorevole.
Ecco, Orsato. Bravo, bravissimo. Lo dicono tutti e in fondo è davvero così. Solo che a volte l’eccesso di “autorevolezza” rischia di trasformarsi in pizzico di “arroganza”. L’arbitro non deve essere “amico dei giocatori” ma neppure “maestra isterica delle elementari”. L’Inter ha pareggiato il derby per colpa sua (e questo va detto ad alta voce), ma certe decisioni (il mancato rosso a Locatelli per fallo su Nagatomo, la scelta di rendere “effettivo al millesimo di secondo” il tempo di recupero) sono buoni argomenti per chi crede che il regolamento del gioco del calcio sia al giorno d’oggi decisamente “imperfetto” perché troppo “interpretabile”. E se il regolamento è “interpretabile” il capitano di una squadra ha diritto di chiederti “perché?” e tu hai il dovere di non dire “conto fino a 5”. Il rispetto è legittimo, ma è giusto che sia reciproco.

QUI MILAN
E closing fu. Sapete già tutto perché per una volta non si tratta di “fidarsi di giornalisti o amici degli amici”, bensì di ascoltare direttamente chi ha in mano le sorti del club.
Fassone ha parlato ed è stato certamente molto chiaro.
Ora, si può decidere di iscriversi a due partiti. 1) Quello di coloro che si fidano. 2) Quello di coloro che non si fidano.
Partiamo da “quelli che si fidano”.
A loro, Fassone ha raccontato di un presente ricco di impegni: appuntamenti con Montella per decidere “come impostare il Milan”, con Raiola per parlare del rinnovo di Donnarumma, con le banche per pagare i debiti della stagione in corso, con i giocatori su cui puntare per il futuro e i rispettivi club per “quagliare”.
Sappiamo che già 4 profili sono stati “sondati”. Si fanno i nomi più disparati: da Luiz Gustavo a Benzema, Morata, Aubameyang. Qualcuno dice persino Vidal. Ecco, l’obiettivo sbandierato (“il ritorno in Champions nella prossima stagione”) ha già scatenato quelli che “associamo ogni tipo di nome ai rossoneri, così se arrivano saremo stati bravi noi, viceversa avranno illuso loro”. Tutto molto “comodo”, insomma.
Chi scrive non ha certezze sui nomi, ma sa due cose: 1) se il closing fosse arrivato a dicembre, Fassone e Mirabelli avrebbero avuto chance di arrivare a Fabregas. 2) Kovacic è un nome che interessava in passato e interessa ancora. Stop.
E veniamo a quelli che “non si fidano” e “tutto andrà malissimo”. Ecco, ai disfattisti a prescindere diciamo che, forse, questo, non è davvero il momento di "dubitare", semmai di continuare a "capire" e fare domande senza inutili preconcetti. Ma se invece di fare domande si procede solo per sentenze ("finirà tutto malissimo!”) allora si continuerà a raccontare una “storia imperfetta”.
Avevi paura che il closing non arrivasse e che tutto sarebbe andato a farsi benedire? Hai quantomeno esagerato nelle tue valutazioni. Pensi che ora il destino sia quello che tutto finisca nelle mani dei cattivissimi signori del fondo Elliott? Chiedi, e ti spiegheranno qual è il loro disegno (fiducia nel fatto che in Cina allenteranno il “protezionismo”, possibilità di farsi anticipare dalle banche i quattrini relativi ai futuri diritti tv - la cosiddetta “cartolarizzazione” -, possibilità di quotare il club in Borsa, volontà di investire da subito ingenti somme sul mercato…). Il fatto che siano tutte questioni noiose e un po’ complicate (ahimè, lo sono) non significa che per forza nascondano misteri e cattive intenzioni.

QUI JUVENTUS

Domani è il giorno del “partido”, in realtà più per gli avversari che per la Signora. Il Barcellona ci prova: stuzzica, “spaventa”, intimidisce, ma dall’altra parte trova una squadra pronta alla sfida. Al Camp Nou Luis Enrique apparecchierà un 11 iper-offensivo, con 8 uomini “d’attacco” e 113 gol stagionali complessivi in campo.
Allegri fa spallucce e ha le idee chiarissime: niente barricate, volontà di fare gol e zero paura. Il coraggio, in particolare, deriva dalla capacità del tecnico toscano di “capire le partite”. Se ci sarà da soffrire la Juve sarà pronta a farlo così come è successo a Napoli in campionato, quando i bianconeri dopo essersi resi conto che sul piano del palleggio Sarri avrebbe dettato legge, si sono messi con pazienza a difendere. Che poi è la cosa che riesce meglio alla Signora da un lustro a questa parte.

Saluti e baci, se avete ancora tre minuti vi lascio con una favola meravigliosa, il racconto di un calciatore che “era fottuto”… e ora invece no (Efisio Collu per ilsensodelgol. Twitter: @FBiasin @ilsensodelgol mail: ilsensodelgol@gmail.com).

Se è scritto che deve arrivare, la gloria prima o dopo arriva. Solo, non dove te l'aspettavi te.

Prendi per esempio la storia di Nick Powell, fumigante esterno del Cheshire classe '94.

A diciott'anni è in cima al mondo. Ha fatto una stagione assurda in League Two col Crewe Alexandra, culminata in una bomba sotto l'incrocio da fuori area in finale play-off. E' arrivato lo United coi soldi in bocca - 6 milioni di sterline, non banane - e se lo è portato via di peso. Sui giornali esce che Ferguson stravede per lui, che sarà il nuovo Scholes, che al settore giovanile non ne vedevano uno così dal famoso '92. Pronti, via e lo buttano dentro: 15 settembre 2012, in casa col Wigan (il Wigan segnatevelo perché è importante), cambio al 71': fuori Giggs dentro Powell. Il quale Powell, ovviamente, non impiega che qualche minuto a segnare. Finisce 4-0, vai con la festa.
Fin qui la roba bella. Perché da lì Powell smette di vedere il campo e procede a trascorrere il resto della stagione tra panchina e tribuna. Perché quel gol finirà per essere l'unico segnato in quattro anni di contratto con lo United. Nella bellezza di nove presenze tra campionato e coppa con la maglia dei Red Devils. Perché per il resto il tabellino del carriera del nuovo Scholes reciterà: un anno di prestito al Wigan (risegnatevelo) così così; un anno al Leicester disastroso; un anno all'Hull peggio che al Leicester. Un'altra storia di un altro predestinato che un'altra volta a fare il salto non ce l'ha fatta.

E arrivi a a giugno 2016, scadenza del contratto con lo United, la società non rinnova. Arrivederci. A nemmeno ventitrè anni, Powell è un ex giocatore sul mercato degli svincolati. Sembra che debba andare al Wolverhampton, ma niente. Poi pare lo stia per prendere il Blackburn, ma niente. A un certo punto si vocifera di un ritorno di fiamma dell'Hull, ma niente. Finché alla fine non spunta fuori - indovinate - il Wigan, che deve fare la lotta salvezza in B e non è che può permettersi di andare tanto per il sottile. Lo prende a zero, gli fa un triennale e via. I tifosi non la prendono benissimo. E tutti i torti si dimostrerà che non li avevano, dato che Powell al giro di boa della stagione si presenta con il non esattamente terremotante score di quindici presenze e una rete.

Dopodiché si rompe. Guaio muscolare in coppa col Nottingham Forest a gennaio, stagione finita. Per rendersi conto di quanto modesto risulti l'impatto della tegola sul Wigan, basti dire che la dirigenza - dopo avere brevemente accarezzato l'idea di rimpiazzarlo prendendo dalla Lazio Ravel Morrison, altro notevole esemplare di predestinato venuto male - decide che non vale la pena nemmeno di sostituirlo. Anche perché nel frattempo la stagione si è messa male: lo spettro della retrocessione incombe, e ci sono emergenze più urgenti da tamponare se si vuole provare l'impresa impossibile.

Senonché Powell si mette sotto. Cure, fisioterapia, riabilitazione: in nemmeno tre mesi è abile, arruolato e convocato. A far numero in panchina, ma sempre meglio di niente.

8 aprile, Wigan in casa col Rotherham. Al 74' sta 2-2, e la panchina del Wigan chiama il cambio. Fuori Gilbey, autore del gol del pareggio, dentro Powell. Il pubblico non gradisce e rumoreggia. Non sanno che da lì a una ventina di minuti ci sarà da rumoreggiare sul serio: il Wigan fa il 3 a 2 al novantasettesimo, gol di Powell.

13 aprile, Wigan in casa col Barnsley. All 66' sta 0-2, e la panchina del Wigan chiama il cambio. Fuori Obertan, dentro Powell. Il pubblico nemmeno rumoreggia perché cosa vuoi rumoreggiare a questo punto. Non sanno che negli undici minuti che seguono dovranno prendere fiato e rumoreggiare non una, non due ma tre volte. Perché Powell pianta dentro una tripletta da maratona di pippe (nell'ordine, punizione fortunosamente deviata, tap-in su goffo intervento del portiere, rigore assai dubbio: paginone di Playboy scansate) e regala la vittoria alla squadra, rilanciandone potentemente le ambizioni salvezza.

Da reietto che era, Powell diventa un eroe nazionale in divenire, e c'è da stare sicuri che da qui a fine campionato il posto in squadra non glielo leva nessuno. Poi si vedrà. Hai visto mai che a diventare davvero il nuovo Scholes si fa ancora in tempo?