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Juve: Allegri andrà via, ma guai a dare i bianconeri per “finiti”. Milan: la follia dei processi a Gattuso. Inter: l’operazione Champions spaventa solo i deboli. Napoli: occhio all’uragano Sarri. E forza Roma, ovvio

Juve: Allegri andrà via, ma guai a dare i bianconeri per “finiti”. Milan: la follia dei processi a Gattuso. Inter: l’operazione Champions spaventa solo i deboli. Napoli: occhio all’uragano Sarri. E forza Roma, ovvioTUTTO mercato WEB
© foto di Alessio Alaimo
martedì 24 aprile 2018, 00:002018
di Fabrizio Biasin

Tra breve parleremo di calcio. Davvero. Ma prima l’Uomo-Ken.

Ognuno nasce con uno scopo: alcuni diventano astronauti, altri benzinai, altri missionari, altri Uomo-Ken. L’Uomo-Ken è un tizio che ha come unica ragione di vita assomigliare a Ken, il noto bambolotto Anni ‘80. In questi anni di profondo malessere morale e bestiale perdizione, in Italia passa il seguente messaggio: “Se vuoi andare in televisione, se vuoi avere una speranza, non metterti a studiare, diventa Uomo-Ken”. Io lo so che qui dobbiamo parlare di calcio, della sfida tra Juve e Napoli, del mercato, ma io vi prego di pensare per un secondo all’Uomo-Ken e anche all’Uomo-Tarzan. L’Uomo-Tarzan è un altro dei concorrenti del nuovo Grande Fratello, attualmente rinchiusi nella celebre Casa. L’Uomo-Tarzan è uno la cui vita è difficile da riassumere in poche parole, ma ci ha provato lui con una frase che più o meno suona come “le trombo tutte io”. L’Uomo-Tarzan e l’Uomo-Ken sono nella Casa con un altro tizio del quale non ricordo il nome, ma l’aspetto sì: è uno con dei tatuaggi in faccia, persino sotto l’occhio. Si è presentato nella celebre Casa con un costume verde acido in stile Borat e il fare di chi vuole sfidare l’Uomo-Tarzan a “trombarella”. E infatti anche l’Uomo-Tatuaggio pare abbia detto “ne ho trombate circa 2000 nella mia vita”. Ora, i casi sono due: o l’Uomo-Tatuaggio non sa far di conto, oppure è una sorta di Varenne-Umano, una pericolosa bestia da monta. Se fosse davvero così ci permettiamo di dare un consiglio all’Uomo-Ken: Uomo-Ken, fai attenzione che è un attimo fare la fine del 2001esimo.

Tutta questa gente è circondata da altra gente bizzarra al punto che potremmo andare avanti per ore e ore a dire cose senza senso: c’è la Donna-popputa, c’è l’ex della ex dell’ex della ex dell’ex del cugino di un amico dell’ex di Belen, c’è la Donna-Schiamazzo, una tizia spagnoleggiante che si è messa a urlare tipo sirena antisismica e non si spegne mai, ci sono tutta un’altra serie di personaggi che sono stati messi lì evidentemente con uno scopo. Il primo scopo è fare ascolto e infatti lo fanno (22% di share per la prima puntata). Il secondo scopo è farci sentire migliori di loro: tu li guardi e dici “io non sono così” e ti senti subito meglio. Il terzo scopo è produrre della facile indignazione al grido di: “Questa gente vota come me e te! È uno schifo!”. Detto che la risposta è “sì, lo è” vi invito ad osservare i veri protagonisti di tutta la faccenda: quelli del pubblico in studio del Grande Fratello. Quelli del pubblico in studio del Grande Fratello sono i peggiori di tutti: applaudono per ogni puttanata, vedono l’Uomo-Tatuaggio e non dicono “sei scemo?” ma “minchia che stile l’Uomo-Tatuaggio!”, li vedi che pensano “ah, quanto vorrei essere al posto dell’Uomo-Tarzan…”, stanno lì delle ore a fare da contorno a continue e devastanti cadute di stile e fiducia nel prossimo. Tutta questa cosa verrà fatta passare come “è uno show, suvvia, si scherza, e poi comunque se vuoi c’è il telecomando, basta cambiare canale”, ma la verità è che se cambi canale ci sono quelli che parlano del Grande Fratello, ci sono i live, ci sono i parenti dell’Uomo-Lupo e dell’Uomo-Ken che raccontano altre storie agghiaccianti. E voi penserete: “Ullapeppa come la stai mettendo giù dura”, ma la verità è che in un Paese normale tutto questo non andrebbe in onda perché qualcuno tra quelli che contano direbbe “oh, ma siamo diventati scemi?”, solo che qui “quelli che contano” sono impegnati da un mese a trovare un incastro per offrire al popolo un governante. L’Uomo-Tarzan può essere la soluzione che mette d’accordo tutti, pensateci.

(Porca miseria che pezzo indignato, fate finta di niente).

Di calcio parliamo ben sapendo che arriviamo ultimi nel “processo ad Allegri”. Chi legge codesti articoli ben sa che il sottoscritto è da sempre grande sostenitore del tecnico della Juve, ma non in questo caso. Massimiliano Allegri, maestro di strategia, ieri l’altro stava per realizzare l’ennesimo “colpo gobbo” ma questa volta - diciamolo - non se lo sarebbe meritato. L’atteggiamento della sua squadra è stato per tutta la partita quello di un gruppo provinciale che prova ad “ottimizzare”, che stringe il culo, che riconosce la superiorità tecnica del suo avversario e sceglie di piegarsi al vento come un salice piangente. In genere Massimiliano Allegri stravince queste sfide tattiche, ma questa volta no e - ribadiamo - è giusto così. La Juventus e il Napoli viste domenica sera sono due squadre stanche, ma mentre una (il Napoli) ha mantenuto la sua caratteristica di “macchina” che prova sempre e comunque a costruire gioco, l’altra (la Juventus) ha scelto di subire e non provare neppure a controbattere.

La Juve si è improvvisamente scoperta stanca, il suo tecnico avrebbe dovuto proteggerla con un centrocampo ancor più nutrito e, invece, ha semplicemente atteso nella speranza che a un bel punto i suoi avversari calassero la pressione, facessero un passo indietro, si accontentassero. Ebbene, non avevano fatto i conti con questo Napoli, dato per spacciato e arrendevole almeno una dozzina di volte negli ultimi due mesi e, al contrario, “arrapato” grazie al famoso patto stretto tra giocatori l’estate scorsa. Il guaio di gran parte dei critici è che hanno detto talmente tante volte al loro avversario “giochi un gran bel calcio ma non vinci mai un cazzo” che quello alla fine ha appreso la lezione: più pragmatismo e meno fronzoli, “battaglia” fino al fischio finale e zero rimpianti. Esattamente ciò che è successo a Torino.

La Juve si riscopre “umana” e il resto è il segreto di Pulcinella: Allegri a fine stagione cambierà aria. Alla dirigenza bianconera (lo scrivevamo settimana scorsa) non è piaciuto l’atteggiamento del tecnico nel post Real-Juve: mentre Buffon e compagni sbraitavano, lui analizzava i perché dell’eliminazione. Piani diversi che non hanno impedito ai bianconeri di stravincere in questi anni e, badate bene, possono permettergli di vincere ancora. Sul piatto ci sono uno scudetto (per Max sarebbe il 4° di fila) e una finale di Coppa Italia (idem). Il punto è che tutto deve passare da una ritrovata unità d’intenti che attualmente pare smarrita, soprattutto perché - lo ribadiamo - non assecondata da un’adeguata condizione fisica.

Altri problemi incombono su Milano, sponda rossonera. Puntuale come l’herpes quando hai voglia di limonare, sono arrivate le prime critiche a Gattuso. Anzi, peggio, ché le critiche sono legittime, ma i processi sommari no. Massacrare il tecnico rossonero per la figuraccia rimediata contro il Benevento sarebbe superficiale e poco corretto: ha preso una squadra “ferma”, le ha chiesto uno sforzo micidiale per provare a tornare in pista, ci è riuscito, sta pagando le conseguenza della rincorsa. Tutto questo non è sufficiente per perdonare un ko contro l’ultima in classifica, ma non può neppure essere argomento valido per i promotori di deliri (“bisognava aspettare Conte!!!”).

Il problema del Milan è in realtà molto più antico e profondo, ovvero quello di una società che l’estate scorsa ha osato troppo quanto a compere, ma lo ha fatto ben sapendo che, causa antichi errori, avrebbe avuto problemi nella prossima sessione di mercato (l’Uefa imporrà i suoi paletti). L’errore imperdonabile, semmai, è stato quello di non puntare da subito su un attaccante di razza, qualcuno che potesse concretizzare non il 100% delle occasioni create, ma neppure il 5%. Il Milan in questo momento è fisicamente a terra, ma questo non è un mistero per chi lo allena e, ora, deve trovare le energie – fisiche e psicologiche - necessarie per andare in Europa League (magari evitando l’inferno del doppio preliminare). Sparare nel mucchio è la soluzione? No, anche se c’è chi lo pensa (e chi non vedeva l’ora).

In casa Inter i discorsi sono molto più banali: mancano 4 partite e per avere certezze europee servono altrettante vittorie. Tra il dire e il fare ci sono Juventus, Udinese, Sassuolo e Lazio. La partita di Verona ha detto che i nerazzurri sono una squadra in salute, con tutti i suoi difetti, per carità, ma in salute. La vittoria prolunga l’agonia di quelli che da una settimana insistono col mantra “l’Inter è già fuori dalla Champions!” e sono costretti ad almeno un’altra settimana di attesa prima di poter dire “eh, io l’avevo detto”. Nel frattempo la squadra dei “bolliti” porta avanti i suoi umili numeri: il quarto migliore attacco, la seconda migliore difesa, una delle rose che corre di più in serie A. Tutto questo non basterà per “volerle bene” in caso di mancata qualificazione Champions, ma dovrebbe essere sufficiente per evitare i consueti processi “in diretta” di chi di fronte a una sfida (combattere per il raggiungimento di un obiettivo) preferisce nascondere le sue paure dietro a un comodo “non ce la faremo mai”, piuttosto che alzare la testa e dire “siamo in ballo… e allora balliamo”.

Ci rimane il tempo per scrivere tre cose:

1) Qui sotto appiccichiamo un pezzo pubblicato su Esquire e dedicato a Sarri, uomo del momento.

2) De Zerbi ci piace un sacco e confidiamo nel fatto che qualche club di prima fascia si accorga di lui (ma, occhio, forse se ne sono già accorti…).

3) Questa sera la Roma gioca per i suoi tifosi e per tutti quelli che vedono nei giallorossi una micidiale speranza di riscatto per il calcio italiano “de-mondializzato”. Più banale di “forza Roma” non c’è niente, ma lo gridiamo volentieri: forza Roma (twitter: @FBiasin).

Maurizio Sarri è una contraddizione in termini: ha la faccia da stronzo del genere che, o sei suo adepto e allora "muto e obbedisci", oppure sei suo nemico e allora prima o poi finirai col litigarci. Maurizio Sarri è come lo vedi e non è che ci sia molto da filosofeggiare: se è il tuo allenatore lo ami, se è tuo avversario ti sta abbastanza sulle balle. In fondo è il destino dei "bravi con carattere".

Maurizio Sarri, a Torino, prima è andato come di consueto in vistita a Superga, poi si è presentato all'Allianz Stadium sfoggiando un colossale dito medio da "Sorbona scansati" che davvero non si fa. Gli stavano urlando "merdaaaa!!!" e lui tra l'ignorare e "sentirsi superiori" e il "reagire come all'osteria" ha scelto la seconda: no Maurizio, porca miseria, controllati! Ma lui mica ti ascolta, non gli interessa il tuo giudizio, e in fondo questa è anche la sua fortuna, quella di chi tira sempre dritto, costi quel che costi.

Maurizio Sarri è arrivato assai tardi nel sedicente "calcio che conta", prima di Empoli era visto come un buzzurro con qualche buona idea di calcio, oggi è sempre "il buzzurro" ma per i più "degno erede di Sacchi". Il suo modo di fare, probabilmente, gli impedirà lo sbarco nei club degli sceicchi e dei milioni a strafottere, ma questa cosa apparentemente non sembra preoccuparlo più di tanto.
La sua priorità si chiama scudetto.

Per tentare di vincere questo maledetto campionato, Sarri ha fatto una cosa che non si era mai vista: si è inchinato alla logica dei sanguinosi calcoli. Ha pensato "punto fiches su tutti i tavoli per provare a prendere qualcosa o faccio una giocata unica per centrare il bersaglio grosso?". Ha scelto la seconda con tanti saluti a coppe e coppette. Anche in questo caso c'è poco da fare gli indignati e schizzinosi: se vincerà il tricolore lo celebreremo come grande stratega pallonaro, viceversa gli daremo del pirla (la consueta logica del "su e giù dal carro" tanto cara a noi filibustieri del commento).

Il dato di fatto, ad oggi, è che dobbiamo a lui, l'uomo col mozzicone in bocca, il fatto di poter assistere al campionato di calcio più bello e combattuto da illo tempore. Se tu glielo facessi ipoteticamente notare, lui ti risponderebbe "e a me che cazzo me ne frega se ti piace il campionato?" e in qualche modo c'avrebbe anche ragione. Vuole vincere per se stesso e per Napoli, Sarri, perché è il primo a sapere che la discriminante tra la storia e il dimenticatoio è solo il successo. Vuole vincere e certo non per elevarsi dalla condizione di "allenatore con la tuta" che, al contrario, sfoggia ai quattro venti come per dire "ce l'ho fatta anche se non seguo le regole dello star system, provateci voi se ci riuscite".

Maurizio Sarri non fa le conferenze pre-partita, quando è costretto il più delle volte ti manda affanculo, non è "comunista così" è "comunista cosiiiiì!!!" (cit. Mario Brega), è quello che a cena con la moglie si incazza come una iena se è finito il parmigiano, vive perennemente attaccato al suo taccuino e vai a sapere cosa ci scrive sopra, è in definitiva qualcosa che a certi livelli non si era mai visto. Mai.

Una settimana fa a un bel punto il suo Napoli era virtualmente a 9 punti dalla vetta e tutti dicevano "il solito Sarri bello e perdente", oggi è a un passo dal Paradiso e in 15 mila questa notte si sono presentati a Capodichino per omaggiare lui e i suoi ragazzi: una cosa che fa venire i brividi a tutti, forse un po' meno a lui che ti guarda negli occhi e dice "ora però non possiamo fare altro, hanno un punto di vantaggio e il destino è solo nelle loro mani". Lo dice, è vero, ma mentre prova a convincerti lo vedi che pensa "forse questa volta ce la faccio davvero". Se lo osservi bene ti accorgerai che gli manca solo la coppola per sembrare una sorta di Che Guevara pallonaro (cit. @sarrismofficial), comandante inconsapevole che indica la strada a un popolo meravigliosamente devoto.