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Juve: due fatti notevoli (uno fuori dal campo). Inter: cinque insignificanti considerazioni su Conte (e un po’ di ottimismo). Milan: la questione scudetto e il guaio Ibra. Sassuolo: parla De Zerbi

Juve: due fatti notevoli (uno fuori dal campo). Inter: cinque insignificanti considerazioni su Conte (e un po’ di ottimismo). Milan: la questione scudetto e il guaio Ibra. Sassuolo: parla De ZerbiTUTTO mercato WEB
© foto di Alessio Alaimo
martedì 24 novembre 2020, 08:00Editoriale
di Fabrizio Biasin

Eccoci arrivati alla fase friccicarella delle partite “tutti i giorni”. In passato l’abbiamo già vissuta, ma mai come questa volta. Da qui a Natale giocheremo sempre, vivremo una grande sbornia pallonara per cui, da tifoso, ti incazzi un giorno e, magari, quello dopo sei felice come una Pasqua. E un giorno dai dello stronzo a un terzino e quello dopo ti fa vincere la partita. Ovviamente al gran ballo dei “giudizi ballerini” parteciperemo noialtri scribacchini in veste di attori principali (in merito, qui in fondo, trovate il giudizio di un bravo tecnico di serie A).
Ma veniamo a noi.
L’Inter ha vinto contro il Torino. Per un’ora ha faticato assai, ma ha vinto. Molti tra i tifosi dell’Inter l’hanno presa male, in realtà ci sono molteplici punti di vista. Eccoli.
1) Se per un’ora giochi malissimo ma quando attivi la macchina disintegri il tuo avversario, allora significa che il tuo potenziale è enorme (e, certo, che i tuoi avversari si sono spenti). Questa, converrete, in prospettiva è una buona notizia.
2) Se regali un’ora ai tuoi avversari - tra scarsa intensità e scarsissima applicazione - devi metterti nell’ottica che non sempre ti andrà bene, soprattutto se il tuo obiettivo è “vincere qualcosa”. E questa no, non è una buona notizia.
3) Se il tuo allenatore a partita finita è incazzato, oppure triste, oppure felice, oppure assente, oppure presente, oppure nessuna delle precedenti, ti deve interessare il giusto: quasi niente. Ormai sembra sia diventato indispensabile fare l’analisi lombrosiana post-gara al tecnico dell’Inter, mentre dovrebbe interessarci solo quello che accade sul campo. L’Inter ha enorme potenziale ma anche un difetto: non varia mai il suo gioco. Questa è l’unica cosa che ci sentiamo di rimproverare realmente a Conte: con quel materiale lì sarebbe interessante vedere qualcosa di diverso dal “piano A” (3-5-2 o 3-4-1-2 e sotto con l’intensità), se la partita lo richiede. E invece no, al momento esiste solo quello, il piano A. E questa non è una buona notizia.
4) Rinunciare ad Eriksen è un peccato, ma non perché l’Inter non possa esistere senza il danese (del resto non è mai esistita), semmai perché da un tecnico bravo come Conte ci saremmo aspettati qualcosa più di “ha avuto tante occasioni”. Il fallimento di un giocatore così forte è il fallimento del giocatore stesso, certo, ma anche di chi non lo ha saputo valorizzare. E questa non può essere una buona notizia: per l’allenatore, per il giocatore, soprattutto per l’Inter.
5) Tutte le cose scritte qua sopra lasciano il tempo che trovano perché, domani, si gioca Inter-Real e a seconda del risultato diremo che Conte è un genio “e ve l’avevamo detto” o un infamone “e ve l’avevamo detto”. Va sempre così. Quello che è certo è che i nerazzurri non possono sbagliare e questa non è una notizia né buona, né cattiva. È solo un dato di fatto.
Il Milan ha vinto a Napoli. Alzi la mano chi pensava che sarebbe finita così. Ecco, il qui presente non ha alzato la sua mano. Questa squadra (mi) sorprende sempre di più, perché ha qualità, unità d’intenti e il “buonumore” indispensabile per far bene, ma era difficile immaginarsela competitiva fino a questo punto.
C’è chi parla di scudetto possibile per i rossoneri. Noialtri facciamo un passo indietro: non perché non sia possibile, ma perché parlare di “squadre da scudetto” dopo solo 8 giornate ci pare una boiata. Poi, certo, si è fatto male Ibra e questo è un gran problema: perché Ibra è Ibra, certo, ma anche perché a differenza dei suoi “simili” (i Ronaldo e i Lukaku, per capirci) lo svedese incide molto anche sul rendimento dei suoi giovani compagni.
Ora vedremo di che pasta è fatta la squadra di Pioli che, va detto, ha già dimostrato di saper reggere anche in assenza del suo faro. E questo è merito esclusivo del tecnico.
Una cosa sulla Juve, velocissima. Ieri mattina ci è arrivato un comunicato. In sintesi dice che i dirigenti bianconeri rinunciano alle loro ferie e con i soldi risparmiati garantiscono lo stipendio ai dipendenti “meno fortunati”. Questa cosa vale molto, anche più di tre punti (tra l’altro ottimamente conquistati dalla prima, “vera Juve” di questa stagione). Ed è giusto che l’iniziativa sia stata “sbandierata” perché può essere da esempio per tutti gli altri club. E magari anche per la categoria più fortunata nel mondo del calcio di serie A: i calciatori.
Ps. L’amministratore delegato dell’Inter per la parte economica, Alessandro Antonello, ha detto ad alta voce: “Il tema di calmierare gli stipendi dei calciatori è essenziale che sia affrontato il prima possibile per garantire la continuità e la sopravvivenza del sistema. Il tema è diventato insostenibile per i club. Oggi, nel post Covid, l'incidenza dei salari sul fatturato sfiora il 70-80%: con questi dati non c'è industria che possa reggere a lungo senza una riforma". La sintesi – tradotta in francese, perché noi siamo “tagliati grossi” – è la seguente: sono cazzi. Meglio che se ne accorgano tutti in fretta, altrimenti tanti saluti al Bar Sport.
Ps/2. Il giovinotto che da ormai 10 anni riceve ogni santo lunedì notte codesto editoriale, si chiama Alessio Alaimo, è una pregevole firma di tuttomercatoweb e ha pubblicato un libro. Si intitola “Cuore spezzato – Dagli anni d’oro alla scomparsa, alcuni segreti del mondo rosanero che fu”. Parla di Palermo, lo trovate su Amazon. Dategli un’occhiata, anche solo perché una parte del ricavato sarà devoluta alle associazioni che si occupano delle famiglie meno abbienti del capoluogo siciliano. Mica male.
Ps/3. Ci ha lasciato un grande tifoso dell’Inter. Si chiamava Gabriele Porri. Io e tanti altri lo conoscevamo solo su twitter. Sapete quando si dice “era una bella persona”? Ecco, io che ne so. Ma so che in tanti anni di “twittate” è sempre stato assai gentile e leale, anche quando pensava che le mie fossero puttanate. Hanno aperto una sottoscrizione su paypal a suo nome in favore “della moglie Antonella e del piccolo Emiliano. In ricordo del suo stile, della sua bontà, dell'affetto che ci ha regalato”. Trovate tutto su twitter, che spesso è l’infermo ma in questo caso decisamente no.
Fine.
(In chiusura pensavo di buttar giù quattro balle su Roberto De Zerbi. Poi mi è venuta in mente questa intervista fatta insieme a Claudio Savelli - @pensavopiovesse - nell’ottobre del 2018, proprio al mister del Sassuolo. È il modo migliore per capire la sua idea di calcio, in più mi permette di realizzare un riciclone clamoroso, perché del giornalismo sportivo, come del maiale, non si butta via niente).
Buona lettura, se vi va.

«Ciao ragazzi, vi hanno offerto il caffè?».
Eh, magari mister (De Zerbi ndr). Fa freddino, c' è il cielo coperto qui a Sassuolo. Un po' triste se vogliamo...
«A me il tempo così piace moltissimo, al contrario mi dà fastidio il sole. Del resto è tutto relativo, come nel calcio: non c' è una cosa bella a prescindere, dipende da chi la osserva».
Mister, stai facendo tu l'intervista a noi, fai il bravo e dicci cosa pensi di questa Nazionale traballante.
«Abbiamo giocatori molto forti come Bernardeschi, Chiesa o Barella, ma fatichiamo perché non hanno ancora esperienza, non sono al pieno del loro potenziale. Comunque Barella è fortissimo».
Al posto di Mancini porteresti la tua idea di gioco o sarebbe impraticabile?
«Le qualità per applicare il mio tipo di gioco ci sono, e sono contento che Mancini abbia schierato giocatori di questo tipo, è un grande punto di partenza. La qualità non tradisce mai. Ma io ho già abbastanza faccende da risolvere nel Sassuolo, non mi permetto di pensare al lavoro di Mancini».
In effetti il vostro è proprio un mestiere...
«...di merda? Per me è il più bello del mondo».
Vivete con l'angoscia costante dei risultati...
«Io ogni mattina sono felice per quello che farò durante la giornata. Poi, certo, non disfo mai completamente la valigia, anche se ho la fortuna di essere in una società che non guarda solo all' oggi ma al domani e al dopodomani. Un allenatore sogna di finire in posti così».
Spesso non succede...
«Mi è capitato di rifiutare club dove intravedevo difficoltà nel portare avanti il mio lavoro. Questa è una conseguenza della mia esperienza a Palermo a soli 37 anni: è stata una grande scuola, ho imparato che il lavoro non basta se non viene accompagnato non dico da un "progetto" - è una parola che in Italia non esiste - ma almeno dalla serietà».
Diresti ancora «sì» a Zamparini?
«Sì, proprio perché mi ha formato. A Palermo ero in difficoltà perché la squadra non l'avevo creata io, se giocavo "a 3" mi dicevano che dovevo giocare "a 4", se schieravo Giovanni mi dicevano che doveva giocare Piero. Io spiego le scelte perché è giusto motivare, ma esigo autonomia: è il mio lavoro».
In una situazione complicata come quella di Benevento sei riuscito a «fare calcio» e tutti se ne sono accorti.
«Quello che mi rende più orgoglioso è che quella squadra ha assorbito il mio carattere. Si allenava al massimo, andavamo in giro rispettando tutti, ma con coraggio e un'idea chiara».
...e noi giornalisti scrivevamo «che bravo De Zerbi!» quando vincevi e «sì, ma dovrebbe coprirsi di più!» in caso contrario.
«Rispetto tantissimo le opinioni altrui perché parto da un presupposto: non esiste un solo tipo di calcio, quindi tutti hanno ragione e tutti hanno torto, anche chi ha vinto. Perché anche chi ha vinto, come Mourinho ad esempio, ha pure perso. O Conte: ha stravolto la Juve ma prima era stato cacciato dall' Atalanta. L' importante è che quando si va a giudicare un'idea la si rispetti e si cerchi di comprenderla».
È vero che snobbi la fase difensiva?
«Quando mi dicono "non cura la fase di non possesso" divento matto: se uno viene con me una settimana capisce che l'aspetto difensivo per me è prioritario, però utilizzo modalità diverse, non tradizionali e lontane dalla cultura italiana. Spesso la stampa arriva a conclusioni facili, dettate solo dal risultato: mi sta bene, però devi fermarti alla cronaca. Se invece vuoi "giudicare" devi avere gli strumenti per capire la partita e spiegarla, non partire dal risultato e andare in retromarcia».
Ti senti «diverso» dai tuoi colleghi?
«Non sono diverso io, lo è la mia richiesta. Non è più bella o più brutta, è solo differente rispetto a quella classica. La conseguenza è che quando le cose vanno bene mi esaltano oltre i miei meriti e quando vanno male mi massacrano. Da questo punto di vista i colleghi più "tradizionali" sono meno sotto pressione. Lo accetto, ma vorrei si cambiasse qualcosa nell' analisi delle partite, invece si banalizza troppo».
Noi media siamo fissati con il risultato, arrenditi.
«Se non abbiamo meritato io vado in conferenza stampa e mi autodenuncio: con il Genoa abbiamo vinto ma ero insoddisfatto e l'ho detto. Con la Juve abbiamo giocato una delle nostre migliori partite, ma abbiamo perso e allora "il Sassuolo si è sgonfiato".
Per me il risultato non è importante, è importante "come" arrivo al risultato. Se vinco "per caso" non mi interessa».
Ci spieghi perché per molti tecnici è diventato fondamentale far partire il gioco dal portiere?
«È semplice: se lo fai bene hai molte più possibilità di arrivare in porta: attiri gli avversari, esci palla al piede e crei una superiorità dall' altra parte».
Sì ma a volte si rischiano colossali figure di merda...
«Fa niente! Io non me la prendo se un mio giocatore sbaglia facendo una cosa che gli ho chiesto, mi arrabbio se sbaglia e poi si nasconde. Locatelli con il Napoli ha sbagliato ma non si è nascosto».
...poi ha sbagliato ancora. C' è chi ha pensato: «Non è in giornata, perché De Zerbi non lo toglie?».
«Non tolgo un giocatore durante il primo tempo, i ragazzi non vanno umiliati. A Coverciano ti insegnano che se uno non è in giornata va tolto anche subito, io non lo faccio. La psicologia è fondamentale».
Se potessi scegliere nel muc...
«Verratti. Volete sapere che giocatore vorrei, vero? Verratti, perché ha tutto».
Il tuo difensore preferito?
«Koulibaly non è male...».
E l'attaccante?
«Vabbé Messi. O Cavani per lo spirito. Ma anche André Silva mi piace molto».
Qual è l'allenatore con cui sei andato più d' accordo?
«Ho litigato con quasi tutti, ero un rompipalle. Litigavo, però ci volevamo bene, in particolare con Mandorlini e Marino. Molti non avevano la sensibilità che io cerco di avere con i miei ragazzi: se giocavi male ti escludevano, non si avvicinavano emotivamente».
Come dici tu: «La psicologia è importante».
«La società di oggi è diversa rispetto a quando ero giovane io. All'epoca allenatori e insegnanti li rispettavi a prescindere, altrimenti le prendevi. Se oggi pretendi rispetto senza darlo è sicuro che finisce male: io chiedo il tuo parere, ti ascolto, tu in cambio devi accettare le mie scelte».
Contro l'Empoli hai cambiato mezza squadra: lo hai fatto per un problema di fatica o per altri motivi?
«Per gestire le forze e per coinvolgere tutti. Se dico ai miei "in campo dobbiamo divertirci" ma poi non li metto mai, non sono credibile».
Chi ha pensato a Boateng?
«L'estate scorsa dovevo andare al Las Palmas, era tutto pronto ma rinunciai perché mi avevano chiesto di non essere completamente sincero con i ragazzi. Osservai Boateng: era un attaccante di manovra ma atipico, con il fisico di una vera prima punta. Quando mi sono accordato con il Sassuolo ho pensato che sarebbe stato perfetto, anche per una questione di "personalità"».
Marlon sta facendo bene...
«Viene dal Barcellona, è un '95 brasiliano... È un giocatore da grande squadra, anche se ogni tanto ha delle pause come se fosse a Copacabana».
Ti sta stupendo Sarri?
«Sì, non immaginavo potesse partire così bene. Di fatto ha ricostruito il Napoli a Londra».
È più difficile essere Allegri alla Juve e dover gestire i campioni o Ventura al Chievo e cercare la salvezza con una rosa limitata?
«Alla Juve le partite le vinci, al massimo devi saper gestire qualche insuccesso, quando devi salvarti è la resistenza ai ko che cambia la stagione. Resistere, resistere, resistere!».
Come si gestisce uno come Ronaldo?
«Come richiede un giocatore di talento. In proporzione nella stessa maniera in cui gestisco ora Berardi. I giocatori di talento devi trattarli in maniera diversa, non meglio o peggio, ma diversamente. Perché il talento ha bisogno di esprimersi, non è lineare, bisogna creare un contesto in cui possa brillare. E poi cercherei di migliorarlo: ogni giocatore ha la possibilità e deve incrementare il suo potenziale, altrimenti è finito».
Escludendo gli attuali, chi è il giocatore che hai allenato più bravo in assoluto?
«Faccio fatica a dirne uno: Sarno, Vacca, Agnelli, Diamanti, Sandro, Sagna. Al 95% dei ragazzi mi affeziono, si crea un rapporto di fiducia. Quando la fiducia viene a mancare può finire anche male...».
In che senso?
«Male... Ma non a Sassuolo: quel 95% qui è un 100%».
(A chiacchiere finite Roberto De Zerbi ci mostra la "stanza dei bottoni", un piccolo open space con 7 scrivanie e 7 «scienziati» che studiano 24 ore al giorno dati, avversari, moduli. Ci sono un laureato in filosofia, uno in matematica, un ragazzo scovato a Napoli che elabora strategie. «Qui decidiamo tutto», ci dice, e negli occhi gli leggiamo la follia dei grandi).

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