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Juve: il numero impressionante di Allegri (eppure...). Milan: un anno di Gattuso, "l'inadatto" a prescindere. Inter: il "dilemma Lautaro" secondo Spalletti. Napoli: il turnover di Ancelotti. E su Superclasico e Kolarov...

Juve: il numero impressionante di Allegri (eppure...). Milan: un anno di Gattuso, "l'inadatto" a prescindere. Inter: il "dilemma Lautaro" secondo Spalletti. Napoli: il turnover di Ancelotti. E su Superclasico e Kolarov...
© foto di Alessio Alaimo
martedì 27 novembre 2018, 00:002018
di Fabrizio Biasin

Buondì. È pieno di rompicoglioni, a tutti i livelli. Una volta c’erano meno rompicoglioni, avevano poche possibilità di farsi sentire e un filo di amor proprio in più (“non è che se rompo i coglioni alla fine passo io per coglione?”). Oggi spuntano come funghi prataioli e se ne fregano se gli dici “sei fesso”.

Ma prima di tutto capiamo chi sono i “moderni rompicoglioni”. I moderni rompicoglioni sono quelli che hanno sempre la risposta giusta, solo che ce l’hanno “dopo”.

“Ancelotti, non devi esagerare col turnover! Che cazzata hai fatto contro il Chievo!”. Lo dicono “dopo”. Perché “prima”, invece, era: “Che maestro Carletto che fa girare tutti, mica come Sarri…”.

(da questo momento il termine “coglioni” verrà sostituito da “lampioni” altrimenti l’editore si arrabbia molto).

Costoro sono maghi nel trovare appigli di ogni genere pur di rompere i lampioni. Per dire, Allegri: mi spiegate come si fa a rompere i lampioni a uno che su 16 competizioni (Champions, Campionato, Coppa Italia e SuperCoppa italiana, moltiplicato per 4 anni alla Juve) ne ha vinte 9, in 5 casi ha perso in finale e per 2 volte è stata eliminata dalla favoritissima della competizione (Bayern negli ottavi 2016 e Real Madrid in semifinale 2018)? Sì può eccome! “Cavolo, solo 2-0 con la Spal… E poi il gioco è quello che è…”. Questi rompicoglioni sono straordinari e il paradosso è che Allegri da oggi a maggio può anche vincere tutte le partite, ma se poi per sbaglio perderà la finale di Champions gli daranno “dell’incapace!”.

I rompicoglioni sono micidiali perché dicono cose come “io non voglio fare il professore, ma…”. In realtà non vogliono fare i professori, vogliono direttamente fare i tecnici in serie A, si sentono portati, sicuramente più capaci di chi è al loro posto.

Spalletti, per dire. A Spalletti rompono i lampioni perché “non fa giocare Lautaro e Icardi insieme! È pazzo”. Se gli fai notare: “Eh, ma così ha vinto 8 delle ultime 9 partite in campionato” ti rispondono “non ha coraggio!”. Lui non ce l’ha, invece loro eccome se ce l’hanno (“Dentro tutti!!!”. “Ma chi difende scusa?”. “Skriniar e De Vrij da soli!!!”).

La parola “equilibrio” non piace decisamente ai rompi lampioni. Costoro provavano ribrezzo per un club che “non riesce a prendere neppure Malcom e si accontenta di Policane” (discorsi di 4 mesi fa). Sì, gli storpiavano il nome. Ora che “Policane” si è guadagnato il diritto di essere chiamato “Politano”, i rompi lampioni fanno l’acrobazia opposta: “Con il Tottenham deve giocare, non fare cazzate eh Spalletti!”.

Ma il soggetto che più di tutti offre materiale ai rompicoglioni, in questo periodo è certamente Gattuso. Strano il caso del tecnico del Milan. Seduto sulla panchina rossonera da un anno esatto, si è già sentito dare dell’inadatto a più riprese da chiunque: suoi tifosi (“gli vogliamo bene, ma…”), tifosi altrui (“Bah, Gattuso…”), esperti, non esperti, ministri, fattucchiere. Nel suo caso, tra l’altro, la tendenza delle masse a rompere i coglioni non varia in base al risultato, c’è a prescindere. Perde il derby al 92’? “Colpa sua, non doveva fare i cambi”. Pareggia contro la Lazio al 94’? “Colpa sua, non ha fatto i cambi”. Una roba meravigliosa. Il fatto che abbia giocato a Roma contro la Lazio in condizioni drammatiche (più di mezza squadra fuori) non interessa a nessuno e, anzi, “è colpa sua, li fa allenare troppo” (ebbene sì, si è letto anche questo). La meraviglia di tutta questa faccenda è che non ha una soluzione. I rompicoglioni ci circondano tipo virus e sono destinati a vincere sempre proprio grazie alla tecnica del “dopo”: “Dico e scrivo cosa bisognava fare e lo faccio a partita terminata”.

Ecco perché il terzino serbo Kolarov, di sicuro ieri ha detto una cosa che non doveva dire (mai essere sinceri nel calcio! Sempre meglio limitarsi a cose come “deciderà il mister”, “mi metto a disposizione”, “oggi la palla è molto tonda”), ma con il suo “tutti hanno diritto di arrabbiarsi, ma molti di calcio capiscono poco” ha dato per una volta una spallata a tutti gli straordinari, meravigliosi e permalosissimi “professori della sentenza” (che infatti hanno risposto con l’arma più letale del 21° secolo: la cosiddetta “shit storm” o “pioggia di merda social”. Neanche nel mondo Marvel…).

Avevo promesso che avrei scritto “lampioni” ma credo di non aver rispettato del tutto le consegne: pardon.

Vi lascio alla questione “Quanto è bello il Superclasico, anzi no vergognatevi tutti”, un pezzo assolutamente perdibile sull’ipocrisia che pervade tutti noi. (Twitter: @FBiasin).

Da Esquire.it

C'è stata la finale di Copa Libertadores. Quella di andata però. Quella di ritorno non si è giocata perché si sono tutti altamente rincoglioniti in nome del calcio. In Sudamerica succede spesso, sono fatti così.

Questa partita per questioni di ordine pubblico verrà giocata più avanti. Forse. Nel frattempo noi "esperti" e "grandi appassionati" e "ah, quante ne so io sul calcio sudamericano" e "la passione", il "sangre!", "gli stadi pieni all'allenamento" eccetera, abbiamo messo insieme una figura da minchioni che metà basta.

Ora, lasciamo da parte lo 0.1% della popolazione mondiale che conosce davvero nel dettaglio il calcio sudamericano e quello argentino in particolare: costoro erano sinceramente emozionati per il derby in finale e "quanto è bella Buenos Aries, se vieni con me ti porto Da Morena, un posto dove fanno un dulce de leche straordinario". Ma tutti gli altri... dai... tutti gli altri... non prendiamoci in giro... non sapevano nada de nada, niente di niente, nemmeno le regole base (ovviamente noi compresi).

Abbiamo detto "che bello il Superclasico in Final!", ma poi ci siamo messi a cercare su Wikipedia le regole della Libertadores ("è tipo la Champions, ma del Sudamerica", la comoda soluzione comune).

Abbiamo detto "questo sì che è il calcio!", ma dopo aver visto la finale di andata ci siamo resi conto che - quantomeno tatticamente - quella partita valeva un Frosinone-Chievo o poco di più.

Abbiamo controllato i colori sociali dei club, perché non è vero che li sapevamo.

Abbiamo azzeccato il nome del primo stadio ("allora, quello del Boca si chiama come il regalo degli sposi: la Bomboniera. Anzi, Bombonera"), ma siamo crollati su quello del River ("sarà il Bomboniera Bis. Come dici? Si chiama Monumental? Ma davvero? Tipo il cimitero dei ricchi di Milano! Che storia...").

Abbiamo detto "io cascasse il mondo guardo la finale del Superclasico! Organizziamo tutti assieme?". Ma poi molti sono andati a mangiare la pizza bisunta con gli amici e hanno solo guardato il risultato ("minchia 2-2! Partitone!").

Abbiamo detto "Sì, conosco tutti i giocatori molto bene, li seguo". "Tipo chi?". "Tipo Tevez". "E poi?". "Eh... gli altri". "Gli altri chi?". "Quelli con la garra charrua". "Ma quella non è roba uruguaiana?". "Ah già... Ma allora Adani cosa è andato a fare?". "Boh, forse c'è anche la garra argentina...". "Ah ecco...".

Soprattutto, li abbiamo osannati perché "ah, da loro il calcio... Mica come da noi... Ah, da loro...". E ci siamo riempiti la bocca con frasi come "aaaahhhh, che bellezza la Superfinal" e lo abbiamo fatto così, per fare i figaccioni che tutto sanno, e quando invece ci siamo accorti che laggiù sono stronzi almeno quanto noi (ma forse anche di più) non è che abbiamo detto "ah, mi sa che ci siamo sbagliati", semmai "si sapeva che sarebbe finita così! Che vergogna! Quello non è calcio! Dovrebbero imparare da noi! Io tra l'altro non sono mai stato in Sudamerica perché non mi piace, son mezzi matti...". Abbiamo in definitiva preso le distanze e se prima era "ah, il calcio argentino" ora è "la solita vergogna da terzo mondo!".

Siamo fatti così, del resto ci siamo innamorati per qualche settimana del calcio islandese ("la bella favola islandese... Dev'essere che hanno l'acqua buona... sempre detto che sono una bella razza"), di quello africano nel 1990 ("entro il 2002 il Camerun vince il Mondiale, sicuro. Hanno la fame". Che era un po' la prima "garra", se vogliamo), salvo poi fottercene alla grande appena è passata la moda.

Siamo fatti così. Un po' qualunquisti, un filo cialtroni. Tutti. Anzi, quasi tutti: Lele Adani ci credeva per davvero. Forza Lele, siamo tutti con te.