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Juve: Sarri ha vinto due volte, ecco perché. Inter: la richiesta di Conte al club. Milan: Ibra, Donnarumma e una mossa ancora più importante. Top 11: la sorpresa è Amrabat

Juve: Sarri ha vinto due volte, ecco perché. Inter: la richiesta di Conte al club. Milan: Ibra, Donnarumma e una mossa ancora più importante. Top 11: la sorpresa è AmrabatTUTTO mercato WEB
© foto di Alessio Alaimo
martedì 28 luglio 2020, 18:43Editoriale
di Fabrizio Biasin

Ciao. È finito il campionato. In realtà non è così, resta da capire chi salverà la pelle tra Genoa e Lecce e poi tanti saluti. Sono stati bravi, a monte s’intende. E fortunati. Chi scrive era scettico sulla ripartenza del campionato e invece è andato tutto liscio: abbiamo un vincitore, le qualificate alla Champions, quelle per l’Europa League, le retrocesse. A guardar bene abbiamo assistito a una specie di “calcio”, ma in questo momento bisogna sapersi accontentare e va bene così.
Pare incredibile, eppure il calcio quest’anno ha avuto un problema persino più ingombrante del virus: la “rigorite”. La rigorite è il morbo che ha colpito gli arbitri italiani, improvvisamente diventati nemici del buonsenso. Il rigore in Italia non è più una componente del calcio, è diventato il calcio stesso. Troppi rigori, troppe mani pilatescamente lavate in nome di un regolamento che ovunque viene adattato alle situazioni ma da noi no, si è trasformato in un codice penale senza attenuanti. Così, francamente, non si può andare avanti.
Passiamo alle celebrazioni, doverose. Per non scrivere le solite quattro balle (“la Juve è la più forte… Le altre devono svegliarsi… ecc ecc”) ci concentriamo sul tecnico col più alto differenziale tra risultati ottenuti e critiche ricevute: Alberto Malesani. Anzi no, Maurizio Sarri.
Partiamo dal celebre luogo comune: “Al posto suo avrei vinto anch’io”. Codesta boiata risuona fin dai tempi di Allegri e qualcuno ci crede per davvero. Sarri ha portato a casa il suo primo scudetto e ci è riuscito a un anno dal trionfo con il Chelsea in Europa League. Allora si disse: “Quella squadra era troppo forte per perdere”. Oggi si dice: “Ha vinto pur con tutto l’ambiente contro”. Può darsi che sia così e, allora, il merito è doppio.
L’allenatore in tuta effettivamente mal si sposa con l’universo zebrato: ha un’idea di calcio ambiziosa che può trasmettere agli “ubbidienti” Insigne e Callejon (per citarne due a caso), non certo a sua santità Ronaldo, abituato da un paio di lustri a fare – giustamente - quello che vuole. Una volta insediato sulla panchina più prestigiosa, i suoi dirigenti (Nedved e Paratici) avrebbero dovuto aiutarlo portando a casa una prima punta da 20 gol e un centrocampista “alla Jorginho”, non hanno fatto né l’una né l’altra cosa.
Sarri si è dovuto adattare a una rosa sì fortissima, ma satura di giocatori fuori dal progetto. Se ci aggiungete la polmonite di inizio stagione (un mese, il più importante, senza allenare) converrete che c’erano tutte le premesse per dare più di una speranza ai suoi avversari. Alla fine ha vinto lui e ci è riuscito perché - pur con tutti i suoi limiti (l’incazzatura perenne, lo stile non proprio oxfordiano) - ha saputo fare un passo indietro rispetto al suo credo calcistico. Il “giochiamo bene e vinceremo!” ha lasciato spazio al ben più sabaudo “intanto vinciamo, poi si vedrà”. In definitiva è stato molto più pragmatico lui di chi lo ha prescelto.
Secondo i più la conferma del tecnico è in discussione, soprattutto in caso di mancata qualificazione dei bianconeri alla “fase-portoghese” della Champions. Si vedrà.

A prescindere da tutto il matrimonio tra le parti potrà continuare solo e soltanto se chi comanda deciderà di assecondare l’allenatore nelle sue minime richieste tecnico-tattiche. Il paradosso è che “farlo” significa mettere a rischio la vittoria che, però, a Torino è da sempre “l’unica cosa che conta”. Un bel casino, insomma.
Morale della favola: ancora una volta hanno vinto i più forti e ci sono riusciti non “nonostante” ma “grazie” a un tecnico intelligente. Sarri poteva fare la fine del buon Maifredi e, invece, da domenica assomiglia un po’ di più a chi lo ha preceduto.
Altre balle assortite.
Oggi torna il campionato. E gioca l’Inter. Contro il Napoli. La partita vale 10 milioni, ovvero i soldi in più che i nerazzurri possono incassare in caso di secondo posto. Non pochi. Conte a proposito del secondo posto è stato chiaro (“il primo dei perdenti”) ma sa anche lui che il piazzamento ha la sua importanza, perché può aiutare il gruppo a fare l’indispensabile salto di qualità: addio squadra solo competitiva, benvenuta squadra pronta per vincere.
Finale di campionato e cammino in Europa League ci diranno come è andato il primo anno di Conte: i numeri sono buoni a prescindere, ma gli ipercritici non vedono l’ora di massacrare il mister. Di sicuro la vittoria diventerà un comandamento a partire dalla prossima stagione: il diretto interessato non solo lo sa, ma sarà il primo a pretenderla.
Per riuscirci ci si affida al mercato. Arriverà un difensore (Kumbulla è sempre nel mirino), arriverà Tonali (si continua a far di conto con Cellino), arriverà una punta (Dzeko resta un sogno proibito del mister), arriverà un esterno a sinistra (Emerson Palmieri è un papabile), molto probabilmente arriverà un altro e “scafato” centrocampista. Tutto questo ovviamente passa dalla cessione di almeno altrettanti giocatori, altrimenti ad Appiano a settembre si rischiano fastidiosi assembramenti.
Ed eccoci al capitolo “Milan di Pioli”. Una settimana fa scrivevamo “noi confermeremmo Pioli”. Lo hanno fatto. Capiamoci, non è che hanno dato retta a noialtri minchioni, semplicemente hanno usato il buonsenso. Pioli è la garanzia che si può dare continuità a un progetto che finalmente sembra avere un senso; la conferma di Ibra e il prolungamento di Donnarumma sono passaggi fondamentali e sempre più probabili. Nell’anno che non lascia spazio agli esperimenti (tra una stagione e l’altra balla meno di un mese) la dirigenza rossonera ha preso una decisione saggia. Ora deve solo proseguire su quella strada: oltre ai giovani promettenti il mercato deve portare un paio di certezze.
Chiudiamo con il gioco più scemo e opinabile del mondo. Ecco a voi la nostra Top 11 (con 3 cambi) della serie A 2019-2020. Noialtri buttiamo là uno spallettiano 4-2-3-1, voi potete tranquillamente insultarci sul social dove tutti si incazzano come bestie, twitter (@FBiasin).
Szczesny; Cuadrado, DeVrij, Acerbi, Gosens (Theo Hernandez); Amrabat, MilinkovicSavic; Dybala, Gomez (LuisAlberto), Ronaldo; Lukaku (Immobile).
Ps. Ricordatevi di non uscire nelle ore calde e di bere tanta acqua: qua e là c’è già chi sta svalvolando di brutto.

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