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Roma Femminile, Bartoli: "Cafù il mio modello. Essere il capitano è un sogno"TUTTO mercato WEB
© foto di Daniele Buffa/Image Sport
domenica 5 aprile 2020, 18:57Calcio femminile
di Alessandra Stefanelli

Roma Femminile, Bartoli: "Cafù il mio modello. Essere il capitano è un sogno"

Per la rubrica Questa sono io, oggi è intervenuta la giocatrice della Roma Femminile Elisa Bartoli. Ecco quanto ripreso da Vocegiallorossa.it.

Giocavi a calcio anche a scuola?
“Sì, sin dalle elementari mi mettevo in mezzo ai maschietti a giocare a calcio, è stata sempre una mia passione, però il nucleo di tutto è stato il cortile nel primo lotto di mia nonna. Giocavamo lì anche con i ragazzi più grandi, io ero la più piccola e inizialmente mi mettevano in porta quindi puoi immaginare quante pallonate ho preso”.

Quindi è insieme a tuo cugino che hai cominciato a giocare a pallone?
“Sì, è anche grazie a lui che sono approdata nel calcio perché lui nella Nuova Milvia e io andavo sempre a vederlo negli allenamenti e alle partite. Un giorno in un allenamento mancava un giocatore e mio cugino mi ha proposto all’allenatore. Giocai difensore centrale, avevo otto o nove anni e da lì mi hanno chiesto di andare a giocare con loro”.

Come ti accoglievano gli altri bambini quando ti proponevi per giocare con loro?
“All’inizio era un po’ difficile perché ero una bambina. Poi quando vedevano come giocavo e che non mollavo si convincevano che potevo starci. La cosa più bella era quando noi del primo lotto andavamo a sfidare i ragazzi della chiesa con in palio la classica Coca Cola. All’inizio scherzavamo sul fatto che avendo una femmina in squadra eravamo sfavoriti, ma quando poi vincevamo ci divertivamo troppo. Mi apprezzavano, non mi hanno mai mancato di rispetto. Solo chi non mi conosceva a volte faceva le classiche battute del tipo ‘maschiaccio’ o cose così. Nella Nuova Milvia non ho mai avuto problemi, anzi ero anche il capitano, mi volevano bene ed ero veramente felice. Erano le squadre che incontravamo o i genitori degli avversari che ogni tanto creavano qualche situazione antipatica. Contro l’ignoranza si può fare poco purtroppo. Il bambino in fin dei conti è puro, non vede la differenza. È più quello che si ascolta dai genitori che crea dei pregiudizi e condiziona i comportamenti”.

Quando sei entrata per la prima volta in una squadra femminile?
“Sono entrata grazie a Giampiero Serafini nella Roma CF che a quell’epoca giocava in Serie B. La mia partita è stata il derby contro la Lazio in Coppa Italia. Mi fece esordire come centrocampista centrale. Il passaggio al calcio femminile è stato strano all’inizio perché ero abituata a giocare forte, i contrasti con i maschi o li facevi a mille o rischiavi di farti male, dopo ogni partita mi faceva male tutto. Nelle prime tre partite ho preso tre ammonizioni. Ma anche lì ho trovato un gran gruppo, nell’arco di tre anni siamo salite in serie A. In squadra con noi c’era Gioia Masia che per me è stata un modello, il mio idolo. L’ho seguita sempre in ogni insegnamento che mi ha dato. In carriera ha vinto tanto ed era una giocatrice di un’eleganza fuori dal comune”.

Nel calcio maschile invece chi era il tuo modello?
“Cafu. Dopo quei tre sombreri a Nedved come fai a non amarlo? Un altro giocatore che ammiravo tanto era Alessandro Nesta con le sue magnifiche scivolate, nonostante fosse della Lazio”.

E la Roma come la seguivi?
“Mio padre molte volte mi portava allo stadio, ma la cosa più bella era quando ci radunavamo tutti insieme con gli zii e i cugini a vedere le partite a casa, anche in dodici persone a fare un macello allucinante. Erano le giornate più belle per me. Quando si perdeva un silenzio di tomba e quando si segnava si spaccava casa. Bellissimo”.


Qual è prima partita che hai visto all’Olimpico?
“Ero piccola, mi sembra che fosse un Roma-Parma ma non ricordo il risultato. Ricordo solo di aver visto tutto lo stadio giallorosso, l’inno, le bandiere, tutti che si alzavano e cantavano. Questo mi è rimasto impresso, il tifo romano, il calore, i colori, era una festa”.

Tornando alla tua carriera, a 21 anni hai lasciato Roma per approdare alla Sassari Torres.
“Sì, sono andata in quella che è tuttora la squadra più titolata d’Italia. Ho dovuto lasciare casa perché la Roma CF era fallita, quindi o rimanevo in Serie C o me ne andavo. Non è stato facile andare via da Roma. Sono andata a Sassari senza conoscere nessuno, senza un punto di riferimento. Dall’altra parte del mare, con un aereo o una nave da prendere per raggiungere casa. Nella mia prima notte lì ho pianto. Poi però la passione per il calcio mi ha fatto andare avanti pensando ‘Daje Eli’ fatti forza, fai quest’anno e poi si vedrà’. E invece mi sono innamorata della Sardegna, che con il suo mare mi ha cambiato la vita. In più con gli allenamenti di primo pomeriggio con il sole era un’altra vita, con la Roma CF ci si allenava sempre di sera. C’è stato un assaggio di vita professionistica da questo punto di vista. C’erano però altre lacune come ad esempio nel pagamento degli stipendi, ma per fortuna la mia famiglia mi ha sempre sostenuto”.

Quando hai capito che la possibilità di venire alla Roma era concreta?
“La voce girava da febbraio ma ho preferito evitare di pensarci per rispetto della squadra in cui ero e per non crearmi illusioni. A fine campionato sono stata contattata e non ci è voluto molto per convincermi. L’unica incertezza era dovuta al fatto che in estate sarebbe arrivato il Mondiale. Ma non mi piace salire su un treno in corsa. Ho scelto di prenderlo sin dall’inizio. Roma è casa mia e vincere alla Roma sarebbe come vincere dieci scudetti altrove. In più c’era e c’è un progetto importante, sul quale la Società sta lavorando seriamente”.

Come vivi il ruolo di capitano?
“Quando me l’hanno proposto ho fatto fatica ad abituarmi all’idea. Per via di come sono fatta, introversa, di poche parole, una persona che fa fatica a relazionarsi. Mi sono fatta tante domande, se fossi all’altezza o meno ma alla fine mi sono convinta. Esperienza, cuore, passione e grinta non mi mancavano e avrei potuto provare a trasmetterle alle mie compagne. Quindi ho accettato, anche come passo di crescita personale. E poi c’era il sogno: essere capitano della Roma, della mia squadra, della squadra della mia città”.

Come ti senti a far parte di una generazione che sta attraversando un momento di svolta per il calcio femminile?
“Il motore che ha portato avanti il nostro movimento è la passione. Finire gli allenamenti alle 10 di sera, tornare a casa alle undici, rialzarsi alle sei di mattina per andare a scuola oppure far convivere un lavoro con tutto questo. Senza una grande passione non avrei lasciato la mia città e la mia famiglia, non avrei accettato di essere pagata per 10 mesi in tre anni. Che cosa mi spingeva a proseguire? L’abbraccio con le compagne, gli occhi lucidi di mio padre che prende il traghetto per venire a Sassari a vedere la vittoria di uno Scudetto. Tutti i sacrifici, tutte le gioie io me le porto ancora dentro. Per le ragazze di oggi fortunatamente tutto è più alla portata, ci sono strutture migliori, organizzazioni e società più solide. Prima c’era tanta volontà ma le possibilità erano poche. Ora il calcio femminile si sta avvicinando un po’ a quello maschile ma valori come spirito di sacrificio, umiltà, e determinazione non devono mai essere persi”.

Venendo all’attualità e a questo prolungato periodo di isolamento, cosa ti manca di più della vita normale?
“Tutto. Mi manca anche andare a prendere un caffè al bar. Mi mancano la mia famiglia, il mio cane, le mie amicizie. Mi manca il pallone, ridere, scherzare e sudare con le compagne. Mi mancano i sorrisi, gli sguardi di intesa. Mi manca la libertà”.

Approfittando del momento di interruzione che bilancio fai del percorso svolto della Roma in questo anno e mezzo.
“Sicuramente veniamo da un anno di crescita con l’interruzione che è arrivata forse nel nostro momento migliore a livello di organizzazione, di sistema di gioco, di intesa. Spero che questo percorso riprenda da dove si è fermato e spero che questo avvenga il prima possibile, in condizioni di sicurezza ovviamente. Siamo ancora in lotta per il secondo posto, per la Coppa Italia e siamo una squadra in cui quasi tutte le giocatrici segnano: questo dà l’idea della bontà del nostro gioco. In più siamo un bel gruppo, in cui tutte si sacrificano per le compagne. Dobbiamo continuare su questa strada e crescere sempre di più”.