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La sindrome dell'accerchiamento, le fate e i folletti
martedì 1 dicembre 2020, 00:00Editoriale
di Alessandro Cavasinni
per Fcinternews.it

La sindrome dell'accerchiamento, le fate e i folletti

Perché ci sono critiche e critiche. Ci sono analisi e analisi. E, francamente, di critiche serie e di analisi serie, a proposito dell'Inter, se ne vedono davvero poche. In questa settimana, dal Torino al Sassuolo e passando per il Real Madrid, abbiamo letto di "crisi Inter", di "Pazza Inter", di essenze, di dna, di "tradimento di Vidal" e altre fesserie assortite. Ma di commenti concreti, che andassero sui contenuti calcistici, poco o nulla. Qui s'incastona l'arringa di Antonio Conte, che dalla sua posizione ha constatato direttamente l'accanimento sul club nerazzurro. Qualcuno l'ha liquidata come "sindrome dell'accerchiamento". Ma è davvero così? Possiamo davvero parlare di sindrome? Davvero gli interisti soffrono di questa psicosi, si sentono attaccati da tutti e riversano la colpa sugli altri in modo da sfuggire alle proprie responsabilità?

Innegabile che si trovi un certo gusto malsano nel creare casi dal nulla quando si parla di Inter. Una moda in voga da svariati anni e che non muta a seconda del rendimento della squadra. L'Inter può essere prima o ventesima, ma troveremo sempre qualche notizia che riguarda qualche "caso" all'interno della Pinetina. Basti rammentare la stagione 2009/2010, l'apice della storia interista. Ebbene, anche in quella stagione, culminata nel leggendario Triplete, si trovò modo e maniera di accusare Mourinho e soci una domenica sì e l'altra pure. Perfino dopo la conquista della Champions c'era chi parlava più delle dichiarazioni di Milito che del trofeo appena sollevato al cielo di Madrid. Per cui, nessuno stupore se ora si parla di Eriksen o di Hakimi e non di Barella e Darmian. Fisiologico. Magari Conte da fuori non aveva capito fino in fondo cosa volesse dire stare all'Inter. Ora, di certo, l'ha capito benissimo. Quello che in altri club è normale, semplice o scontato, all'Inter non lo è mai. Perché se vogliamo fare i pignoli, i casi ci sono ovunque. Dalla Juventus al Crotone. Discorso affrontato mille e mille volte. Ma, come dice il buon Antonio: "All'Inter non è semplice. Niente è semplice. Sull'Inter non si vede l'ora di buttare negatività".

Ancora peggio quello che accade per quanto riguarda le critiche. Si parla solo per luoghi comuni o concetti astratti, tipo "eh ma questo è il dna dell'Inter" oppure "Vidal ha tradito Conte". Ma dna cosa? Tradito cosa? È calcio, è sport, non fate e folletti. Tre partite col 3-5-2 e con la difesa titolare e tre prestazioni serie, concrete e aderenti alle aspettative. Ci riferiamo a Lazio-Inter, Atalanta-Inter e Sassuolo-Inter. Conte ha provato a variare il canovaccio, ha tentato di inserire maggior qualità: un investimento che potrebbe tornare utile in futuro. Ma le ragioni che oggi fanno preferire le vecchie certezze sono svariate: non tutte le squadre sono state intaccate allo stesso modo dal virus e dagli infortuni, dalle soste per le nazionali e dalla fatica della stagione precedente. Già fuori dalla Champions? Può essere. L'Inter oggi si gioca tutto, è a un passo dal baratro. Sarebbe deludente non passare agli ottavi? Certo. Ma si vada oltre il mero risultato e si analizzino bene tutte le partite del girone. E anche la qualità del girone. A detta di tutti, la squadra di Conte "meritava" molto di più nelle prime tre uscite. Non è che l'ultima partita cancella le altre. Oppure si vuole giocare al gioco dello smemorato? Buttiamo a mare due mesi di giudizi positivi perché negli occhi ci restano gli ultimi 90 minuti? E anche qui: male 20 minuti, certamente. Poi però meglio e gara di fatto chiusa sul rigore/rosso per Vidal. Dal possibile 1-1 allo svantaggio di un uomo in aggiunta a quello del risultato. Tralasciando il netto rigore poi negato dal pessimo Taylor a Gagliardini sul risultato ancora di 0-1. Le analisi vanno fatte per bene, a 360 gradi, e non raccontando solo una parte della storia, perché poi spesso è quella che più ci fa comodo. Ma in questo modo diventa un esercizio incompleto, per non dire disonesto. Altro che sindrome dell'accerchiamento.

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