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#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: Escobar e il Narcofútbol che uccide per un autogolTUTTO mercato WEB
martedì 31 marzo 2020, 01:05Serie A
di Simone Bernabei

#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: Escobar e il Narcofútbol che uccide per un autogol

#iorestoacasa - Tuttomercatoweb.com propone ai suoi lettori delle storie di calcio per tenerci compagnia in queste giornate tra le mura domestiche
Il Rose Bowl di Pasadena è stata la cornice della sconfitta italiana a USA ’94. Il palcoscenico in cui Roberto Baggio, sul più bello, sbagliò quel rigore contro il Brasile. Ma il Rose Bowl di Pasadena, evidentemente a sua insaputa, ha profondamente segnato anche la storia di un’altra Nazionale passata in quei giorni dalla cittadina californiana. La Colombia di Pacho Maturana era forte. Un po’ frastornata dagli eventi sociopolitici del paese, ma terribilmente competitiva: Faryd Mondragon e Freddy Rincon, Carlos Valderrama e Faustino Asprilla. E Andrés Escobar, por supuesto.

La Colombia di quegli anni - Che la terra del caffè fosse, in quegli anni, palcoscenico perfetto per il realismo magico descritto anche da Gabriel Garcia Marquez e da Netflix con la serie Narcos, è un fatto acclarato. Serve una situazione realistica e dettagliata, ricca di particolari. E la Colombia lo è. Ma anche un qualcosa, un fatto, che fa irruzione pur essendo difficile da credere. Nel ’94, anno del Mondiale statunitense, la Colombia era reduce dall’uccisione di Pablo Escobar sui tetti di Medellin. Il re dei narcotrafficanti non è direttamente collegato ad Andrés, protagonista del nostro racconto. Ma il contesto sociopolitico che si creò dopo l’uccisione del signore della cocaina portò a sviluppi inattesi. Con i cartelli rivali che volevano prendere ciò che era di Pablo fino a poco prima. Con le forze statali, o almeno ciò che ne era rimasto dopo anni di omicidi e corruzione, che provavano in ogni modo a far diventare la Colombia un paese tranquillo, sicuro per la sua popolazione.

El Caballero del futbol - Era questo, il suo soprannome da giocatore. Difensore di spessore tecnico e morale, da giocatore si era spesso battuto per dare un’immagine quanto più possibile pulita, umana, della sua Colombia. Una terra che amava alla follia e che proprio per questo amore lo ha richiamato a sé nel momento peggiore. Ma ci arriveremo. Nato a Medellin, ha giocato l’intera carriera con la maglia del suo Atletico Nacional eccezion fatta per la stagione europea allo Young Boys, in Svizzera, nell’89-’90. Al Nacional era di casa e lì voleva giocare, anche perché suo compagno di squadra era pure il fratello Santiago. Nel ’94, prima di volare negli States per il Mondiale, si dice avesse ricevuto una proposta irrifiutabile da parte del Milan e che quindi il suo futuro, dopo il torneo, potesse davvero essere in Italia. Un dubbio che purtroppo resterà per sempre tale.

Escobar va da Escobar. La Colombia ospite nel carcere La Catedral - Nel 1989, per la prima volta nella storia, una squadra colombiana vinse la Copa Libertadores. Questa squadra, ovviamente, era lo sportivamente e politicamente potente Atletico Nacional di proprietà di Pablo Esclobar. Il gruppo di giocatori in cui era presente anche Andrés volò così a Tokyo per l’Intercontinentale poi persa contro il Milan in finale al 119’ per colpa del gol di Evani. Ma il calcio colombiano era in espansione e buona parte del merito era proprio dei narcodollari immessi nel sistema da Pablo. Che evidentemente qualche benefit se lo era guadagnato: nel ’92, proprio quando lui ed il suo gruppo di narcos erano in ‘prigione’, convinse la federazione a disputare un’amichevole all’interno de La Catedral. Si consideri che poco tempo dopo, quella Colombia, asfaltò l’Argentina in trasferta e si conquistò il pass per il Mondiale. In pochi, fra i giocatori, avevano realmente voglia di rispondere presente, ma tant’è. Il pensiero singolo che raccoglie quello di tutti fu espresso dal ct Pacho Maturana, come raccontato nel documentario 30-for-30 diffuso negli States: “Se Vito Corleone ti invita a pranzo, tu ci vai”. Ecco, come dire di no a Pablo Escobar? Fra i presenti, chiaramente, c’era anche Andrés Escobar, difensore del suo Atletico Nacional.


Quei Cafeteros - René Higuita era reduce da 7 mesi di carcere per aver fatto da mediatore, senza avvertire la polizia, in un sequestro di persona. Normale non ci fosse. La Colombia si presenta a USA ’94 da quasi favorita. Era una squadra forte, una squadra che nell’immediato passato aveva vinto 23 partite consecutivamente. Logico che le aspettative fossero alte, normale (visti i tempi e i contesti) che dietro la Nazionale di Maturana ci fossero altri (ma non alti) interessi. Le tossine politiche c’erano, impossibile nasconderlo. E la gara inaugurale contro la Romania non fu proprio l’ideale. Non perché la Romania fosse una squadra imbattibile, anzi. Ma all’interno della sua rosa c’era un genio. Il Maradona dei Carpazi, Gheorghe Hagi. Che se e quando era in giornata, difficilmente potevi fermarlo. E quel 18 giugno 1994 fu proprio una di quelle giornate. La Romania si impose 3-1 con gol appunto di Hagi e doppietta di Raducioiu. Fatto che costringeva la Colombia a vincere la seconda sfida contro i padroni di casa degli Stati Uniti, per passare il girone.

L’autogol - 4 giorni dopo però, ancora a Pasadena, non successe niente di buono. Come detto, la situazione sociopolitica in Colombia era caldissima. Così come l’amore del popolo per la Nazionale. Il giorno prima della sfida, era il 21 giugno, il ct ricevette una chiamata: l’interlocutore, sconosciuto alle cronache, era qualcuno di potente. I Los Pepes (PErseguidos por Pablo EScobar, un'organizzazione paramilitare che combatteva il capo del cartello di Medellin)? Il Cartel de Cali? Chissà. Quel che è certo, è che mister x additò i giocatori dell’Atletico Nacional, quindi gli uomini di Pablo, come principali responsabili del ko con la Romania. Pagava uno per tutti: “Gabriel Gomez non deve scendere in campo”, si sentì intimare Maturana. Gli argomenti a quanto pare furono convincenti, visto che Gomez non solo si autoescluse, ma addirittura lasciò gli States e disse addio al calcio. La Colombia, nonostante tutto, scese in campo poche ore dopo. Immaginate con quale spirito, sebbene i suoi giocatori fossero abituati a certi ‘modi di fare’. Il corpo era in campo, la testa chissà dove… Minuto 35, cross apparentemente per nessuno che piove nell'area colombiana, intervento maldestro e insensatamente paranoico di Andrés Escobar e palla alle spalle di Oscar Cordoba per l’autogol che sarebbe tristemente passato alla storia. La Colombia non riuscì più a riprendere quella partita ed il suo Mondiale finì lì, nonostante l’ultima vittoria con la Svizzera. Piccolo aneddoto: l’arbitro di quel Colombia-Stati Uniti era l’italiano Franco Baldas, spettatore inconsapevole della storia.

Escobar ucciso dal Narcofútbol - “La vida no termina aqui”. Con questo pensiero Andrés Escobar pensò di liquidare l’accaduto, nel giorno del suo rientro in Colombia. Eh già, mica poteva immaginare ciò che sarebbe successo poche ore dopo. In tanti, dopo l’autogol, gli consigliarono di non tornare a Medellin. A Las Vegas, pochi chiometri di deserto più in là, Escobar aveva dei parenti e fu invitato a raggiungerli, magari poi partendo da lì per l’Italia (ricordate l’offerta del Milan?). Ma Escobar, quello buono di questa vicenda, amava troppo la sua Colombia. La sua Medellin. Dieci giorni dopo quell’eliminazione, Andrés Escobar decise di passare una serata in un noto locale della città. In quel locale, caso volle (o forse no), c’erano anche i fratelli Santiago e Pedro David Gallon Henao. Ovvero quelli che qualche tempo dopo sarebbero stati legati al suo omicidio. Perché la discussione fu accesa ed il motivo fu proprio quell’autogol. Che aveva estromesso la Colombia dal Mondiale per colpa di uno degli uomini di Pablo Escobar. E che aveva fatto perdere milioni di pesos ai cartelli della droga, che ovviamente avevano messo le mani anche sull’illimitato mondo delle scommesse. Uno dei più famosi sicarios di Pablo Escobar, John Jairo Velasquez, molti anni dopo in un’intervista spiegò come i due spesero una quantità incalcolabile di soldi per depistare le indagini. Anche se, casualmente, il giorno dopo l’omicidio denunciarono il furto della loro auto con cui la sera prima erano sul luogo del fatto. Alla fine fu incriminato e incarcerato l’autista dei fratelli, tale Humberto Munoz Castro, che a quanto pare uscì dall’auto parcheggiata verso la fine del diverbio e aprì il fuoco, senza pieta, sul povero calciatore che gli stava dando le spalle. “Era nel posto sbagliato al momento sbagliato”, disse poco dopo il ct Maturana, ben consapevole della situazione. Nel 2018 Santiago Gallon Henao fu arrestato per legami col narcotraffico verso gli Stati Uniti e il popolo colombiano, contestualmente, chiese giustizia anche per Andrés Escobar. Ma dopo qualche mese di carcere a Cucutà e la mancata estradizione per un processo negli USA, Henao fu scarcerato per decadenza dei termini. E Medellin, dal canto suo, ha potuto solo dedicare una statua a quel figlio dei suoi sobborghi assassinato per colpa del calcio. Per colpa di un autogol.